Daniele De Rossi, un romanzo di formazione
di Emiliano Battazzi
Si diventa tifosi, da bambini, in diversi modi: c’è chi viene colto da una specie di chiamata, chi ha un’epifania, chi semplicemente segue amici, fratelli, padri o parenti più grandi. Ma nessuno, quando diventa tifoso di una squadra di calcio, sa bene cosa succederà in futuro, e dove lo porterà questo percorso.
📅 | #OnThisDay in 2001, Daniele De Rossi made his debut for #ASRoma!
The midfielder came on as a substitute against Anderlecht in the @ChampionsLeague! 🐺 pic.twitter.com/VtbEnAWXyh
— AS Roma English (@ASRomaEN) 30 ottobre 2018
Quel 30 ottobre 2001, allo Stadio Olimpico, nessuno aveva capito niente: c’era un inutile Roma-Anderlecht di Champions League, ultima giornata del girone iniziale (all’epoca ce n’erano due). I giallorossi erano già qualificati, i belgi erano già fuori, e io avevo preso i biglietti proprio per assaporare in tranquillità il sapore della Champions (era la prima partecipazione della Roma nel nuovo formato della competizione). Nel classico copione delle partite inutili, in cui entrambe le squadre eseguono sostanzialmente degli esercizi di stile, a venti minuti dalla fine ci si indirizzava verso l’1-1.
All’improvviso l’evento a cui nessuno pensava di assistere e di cui avremmo capito l’importanza solo molto tempo dopo: ci vuole tempo anche per capire l’amore. Al 71’ entrava in campo, al posto di Ivan Tomic, tale Daniele De Rossi, un biondino con il numero 27 sulla maglia Palio di Siena utilizzata dalla Roma solo per la Champions. Poche righe del quotidiano L’Unità del giorno successivo descrivono bene questa mancanza di percezione dell’evento, come chi avesse incontrato van Gogh ad Anversa: «Il pubblico vorrebbe vedere in azione l’oggetto misterioso Cufrè, difensore argentino, ma Capello continua a non dargli spazio, concedendo invece questa soddisfazione al ragazzino De Rossi, che trova il modo di toccare un paio di palloni nonostante l’emozione».
E in effetti non ricordo nulla di De Rossi in quella sera, chissà se qualcuno invece ancora li ricorda, quei due palloni toccati all’esordio da professionista con la Roma. Non sembrano esserci aneddoti su quel momento, come ce ne sono invece per altri esordi di mitici capitani romanisti. Esordire in Champions è un privilegio riservato a pochissimi, ma pensavamo fosse un esordio come un altro.
De Rossi non era il predestinato, De Rossi si è costruito su una passione. Come raccontato proprio da lui in un’intervista a Rivista Undici: «Non ero un ragazzino che credeva che davvero potesse succedere tutto questo a me. Ci speravo, ho lavorato. […] I primi anni ho anche giocato poco nella Roma, non ero uno dei titolari, non ero una delle stelle individuabili come il futuro campione, il futuro capitano della Roma. Non ero per niente così».
Neppure noi allo Stadio Olimpico, in quella notte di Champions, credevamo che De Rossi sarebbe diventato tutto questo. Come da bambini, quando si sceglie una squadra (o si viene scelti), non si è consapevoli di ciò che verrà, dell’amore e del dolore, della rabbia e della passione: tutto ciò che De Rossi ha rappresentato in 18 anni di Roma.