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Adattarsi o estinguersi
30 gen 2015
Il Liverpool ha perso i pregi della scorsa stagione ma ha mantenuto i difetti. Le modifiche tattiche di Rodgers riusciranno ad arginare la crisi?
(articolo)
26 min
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Se guardiamo al Liverpool dell’anno scorso, in lotta per il titolo fino all’ultimo grazie ad un gioco entusiasmante, e quello di quest’anno, in competizione con il West Ham per il settimo posto, non si può non pensare al peso che singoli avvenimenti hanno sul corso degli eventi.

Oggi una buona fetta dei tifosi del Liverpool chiede la testa di Brendan Rodgers criticando praticamente tutto ciò che l’allenatore ha fatto dalla fine della scorsa stagione ad oggi, dal calciomercato alla gestione dello spogliatoio, dal rapporto con Gerrard alle scelte tattiche. “Sei o sette mesi fa ero l’allenatore dell’anno e stavo per diventare questo e quello. Ma dato che abbiamo perso i nostri due top player [Luis Suarez e Daniel Sturridge] adesso sono inutile. Ma lo accetto”.

Da una parte il Liverpool sembra aver smarrito i pregi messi in mostra l’anno scorso: il dominio nel possesso del pallone, la pressione continua sugli avversari, la creatività nella trequarti avversaria; dall’altra però ha mantenuto i difetti: la fragilità difensiva, la debolezza sulle palle inattive, la scarsa fisicità. Una graduale perdita di una parte d’identità che ha pericolosamente allontanato i Reds dalle prime quattro posizioni in classifica e ha fatto loro perdere la sfida per il secondo posto del girone B della Champions League in favore del Basilea (con il Real Madrid primo indiscusso proprio dopo la vittoria per 3-0 di Anfield Road). Il cambiamento di prospettive da un anno all’altro è rappresentato bene dalla (mancata) sostituzione di Suarez: perso l'uruguaiano, il Liverpool ha deciso di affidare la sua eredità a Mario Balotelli, reduce dai tremendi Mondiali brasiliani e con più di una difficoltà ad inserirsi negli schemi di Rodgers.

È legittimo, quindi, chiedersi quanta fiducia si debba dare a Rodgers. Ma è impossibile rispondere se non si tiene conto di chi è, e di quanto ha già dimostrato di saper fare fin qui.

Fallire ancora, fallire meglio

Brendan Rodgers rientra in quella categoria di allenatori che non ha mai toccato un pallone da professionista. E non perché non avesse talento. Ha giocato la sua prima partita 11 contro 11 all’età di tredici anni. Tardi, perché nella cittadina dov’era nato, Carnlough, Irlanda del Nord, non c’era nemmeno una squadra. Deve trasferirsi pur di giocare a calcio, andare a Ballymena. Lì viene notato e fa provini con diverse squadre, a partire dallo United.

È bravo ma non rientra nella classe dei prodigi. A diciotto anni viene messo sotto contratto dal Reading ma non gioca mai una partita con la prima squadra, dopo due anni gli viene scoperta una malformazione genetica al ginocchio e la sua carriera da calciatore professionista finisce.

Di fronte al primo bivio della sua vita Rodgers decide di inventarsi qualcosa, arrangiarsi: a vent’anni decide di dare il via alla sua carriera da allenatore professionista. Rimane al Reading come allenatore degli under 11, durante il giorno fa il magazziniere o l’impiegato per mantenere la famiglia, la sera allena i bambini. Così per dieci anni.

Nel 2004, durante uno dei suoi viaggi studio in Spagna, viene notato da Steve Clarke, secondo allenatore del Chelsea, che lo consiglia al suo superiore, José Mourinho. L’uomo che ha distrutto i sogni di gloria di Rodgers è lo stesso che ha dato il via alla sua carriera da allenatore professionista nominandolo direttore delle giovanili del Chelsea.

Dopo cinque anni, una promozione ad allenatore delle riserve del Chelsea e una stagione al Watford, con una salvezza in Championship, maturata interamente nella seconda parte di stagione, Rodgers torna al Reading come allenatore, sempre nella Serie B inglese. Nonostante i sentimentalismi l’esperienza è un disastro: viene esonerato dopo appena sei mesi di gestione in cui ha collezionato dieci sconfitte e cinque pareggi in venti partite. Poco meno di due mesi dopo si spegne sua madre all’età di 53 anni.

Rodgers è di nuovo sull’orlo del dimenticatoio. Decide allora di andare a Dubai per schiarirsi le idee, inizia ad inviare curriculum a diverse squadre. Nessuna risposta. Sei mesi di nulla, una trattativa mai andata in porto per entrare nello staff del City di Mancini, poi, quando lo stesso Rodgers pensava che la sua carriera da allenatore stesse seguendo lo stesso tragitto di quella da calciatore, la chiamata dello Swansea. A luglio del 2010 è l’allenatore della squadra gallese, ancora in Championship. Questa volta però arriva il successo.

La rivoluzione gallese

La squadra gallese è terreno fertile per quell’idea di dominio del gioco attraverso il possesso del pallone che Rodgers ha appreso in Spagna e in Olanda. L’arrivo dell’allenatore nordirlandese allo Swansea era stato preparato negli anni precedenti da due allenatori iberici: Roberto Martinez e Paulo Sousa, che facevano del dominio territoriale attraverso il controllo della palla la propria filosofia (seppur il secondo in maniera prettamente difensiva).

Rodgers porta quello stile di gioco ad un livello superiore grazie ad alcune intuizioni felici: il ritorno di Britton, storico regista della squadra fuggito dallo Swansea per incomprensioni con Sousa, l’esplosione di Allen, giovane tuttocampista pescato da Martinez dal vivaio della squadra, l’acquisto di Sinclair, ex riserva del Chelsea che finirà la stagione con 27 reti all’attivo.

Lo Swansea arriva terzo al termine della prima stagione di Rodgers e si qualifica ai playoff per la promozione in Premier League. Dopo aver faticato contro il Nottingham Forest in semifinale, arriva a giocarsi la finale a Wembley. A contendersi la promozione in Premier con i “Cigni” è proprio il Reading. Chiaramente è la partita più importante della carriera di Rodgers e della storia recente dello Swansea, sugli spalti c’è anche suo padre, Malachy, che nel frattempo sta perdendo la sua sfida con il cancro.

La finale sembra già finita dopo il primo tempo, con lo Swansea avanti di tre goal, ma il Reading non si dà per vinto. Segna due goal in poco più di dieci minuti e al 57' la partita è di nuovo viva. Per l’ennesima volta, a soli 38 anni, Rodgers è a un passo dal dover rimettere tutto in discussione. Alla fine arriva il goal della sicurezza, un rigore realizzato da Sinclair all’80'. Lo Swansea ottiene la promozione in Premier League, è la prima squadra gallese ad entrare nella più importante competizione inglese di calcio (e scacco matto al Cardiff, storico rivale, che rimane in Championship).

Il palo colpito dal Reading al minuto 4:53 dimostra quanto l’inerzia della partita stesse portando al 3 a 3.

Lo Swanselona

Durante l’estate tutti si chiedono se lo Swansea way, l’elegante possesso palla dei "Cigni" nato con Martinez e portato a maturazione da Rodgers, possa reggere l’impatto della Premier League. Non ci credono gli esperti, che danno lo Swansea tra le favorite alla retrocessione. Rodgers non si fa intimidire e mantiene l’impalcatura della squadra dell’anno precedente: un 4-3-3 iper-offensivo (in realtà molte volte più un 4-1-4-1) a cui però aggiunge due importanti pedine: Vorm, che raccoglie l’eredità di portiere olandese bravo con i piedi lasciata da de Vries, e Sigurdsson, centrocampista offensivo islandese che però arriverà solo a gennaio.

Iper-offensivo perché, oltre alla punta centrale (Graham) e le due ali a tagliare centralmente (Sinclair e Dyer), a gestire la fase offensiva sono anche i due terzini e una delle due mezzali. Il passaggio tra le due fasi di gioco è quindi affidato al fondamentale lavoro delle mezzali che fanno da “ascensori” tra la linea d’attacco in fase di possesso e quella mediana in fase di non possesso.

In questo senso, l’intelligenza tattica e la dinamicità di Joe Allen rendono il modulo malleabile a seconda dell’andamento della partita. Il centrocampista gallese si abbassa allineandosi con Britton quando Sigurdsson si inserisce in profondità a formare un 4-2-3-1, mentre si alza sulla stessa linea dell'islandese in fase di pressing in modo da recuperare il più in avanti possibile il pallone.

L’impatto con la Premier è comunque traumatico. Lo Swansea alla prima giornata va all’Etihad Stadium a perdere 4-0 con il Manchester City di Touré, Silva e Agüero. Ad uno sguardo più attento, tuttavia, si iniziano già a vedere i primi tratti di quello che sta per diventare lo Swanselona. La squadra di Rodgers finisce la partita con un impressionante 55,9% di possesso palla, con 486 passaggi completati (144 in più rispetto al City) e con Vorm che tocca il pallone 76 volte (più del doppio di Hart) facendo 11 parate.

Alla fine della stagione questo tipo di statistiche sono mostruose: lo Swansea finisce terzo per media di possesso palla (58%, dietro all'Arsenal, 60,2%, e al Manchester City, 58,2%) e secondo per accuratezza dei passaggi (85,7%, dietro al City, 85,9%). Lo stile dello Swansea è talmente riconoscibile da far nascere durante la stagione il neologismo Swanselona, che unisce lo Swansea di Rodgers al Barcellona invincibile di Guardiola. Il duo Britton-Allen viene addirittura accostato a Xavi-Busquets con il regista della squadra gallese che a fine stagione avrà un’accuratezza nei passaggi maggiore rispetto ai due campioni del Barcellona (93,4% contro, rispettivamente, 92,4% e 91,5%). L’accostamento è appropriato anche fuori dal campo, con le due squadre unite dall’orgoglioso senso di diversità nazionale che accomuna il Galles alla Catalogna.

A fine stagione lo Swansea si classifica undicesimo con West Bromwich Albion e Norwich, a 11 punti dalla zona retrocessione. Un risultato fuori da ogni previsione di inizio campionato, che lascia comunque qualche ombra dato l’hype venutosi a creare intorno alla squadra durante la stagione. Il problema principale è che la squadra gallese fatica a trasformare in azioni pericolose il dominio territoriale e quando il possesso palla non produce frutti lo Swansea non ha nessuna arma alternativa per rendersi pericoloso, nessun piano di riserva.

La partita simbolo di questo limite è quella contro il Newcastle al Liberty Stadium, il 6 aprile del 2012. I bianconeri lasciano volutamente il possesso palla allo Swansea con l’unico intento di ripartire in contropiede. A fine partita i “Cigni” ottengono il 77% del possesso palla con 835 passaggi completati ma la statistica più importante, quella dei goal fatti, segna 0-2, doppietta di Cissé.

Non è un caso che la stagione dello Swansea esploda definitivamente con l’arrivo di Sigurdsson a gennaio. Il centrocampista ha aggiunto ciò che mancava al possesso palla, la profondità nell’ultimo quarto di campo. In 17 apparizioni Sigurdsson fa 7 goal e 3 assist con un media di 2,8 passaggi chiave a partita (più bassa solo di quella di Juan Mata e David Silva). Con lui in campo lo Swansea batte Arsenal, Manchester City e Liverpool.

Alla scarsità di soluzioni offensive si aggiunge una certa fragilità in difesa una volta perso il pallone (lo Swansea finirà quella stagione con una differenza reti di -7 e 51 goal subiti) dovuta principalmente alla scarsa copertura garantita dal centrocampo disegnato da Rodgers. Con Britton, che è tutto fuorché un incontrista (solo 1,7 tackle e 1,6 anticipi a partita durante quella stagione) e Sigurdsson, che è un centrocampista prettamente offensivo, rimane solo Allen, già oberato dal superlavoro tattico descritto in precedenza, a recuperare il pallone.

Sono anche questi i motivi che hanno portato i tifosi dello Swansea a dimenticare molto in fretta Rodgers quando è stato sostituito da Laudrup. Già ad agosto sugli spalti del Liberty Stadium si sentiva cantare “Who the fuck is Brendan Rodgers!? And the Swans go marching on! On! On!”, vedendo lo Swansea mantenere un gioco spettacolare anche sotto la guida dell’allenatore danese.

L'arrivo a Liverpool

Il primo anno di Rodgers alla guida del Liverpool è assolutamente trascurabile (arriverà solo settimo a fine stagione, lontanissimo dalle top four) ma iniziano ad emergere alcune indicazioni importanti. Rodgers mantiene il 4-3-3 già utilizzato in Galles, ma il credo tattico non è più solamente il dominio territoriale attraverso il possesso del pallone: da un lato le statistiche del possesso palla e dell’accuratezza dei passaggi si normalizzano (rispettivamente 55,6% e 84,1% in media a fine stagione); dall’altra aumentano quelle legate alla produzione offensiva, come il numero di tiri e di dribbling (rispettivamente 19,5 e 9,9 a partita). La grande pecca del primo anno ad Anfield di Rodgers è quello di non credere fino in fondo nella squadra che lui stesso ha contribuito a costruire. I vari Sturridge, Coutinho e Sterling, che saranno fondamentali l’anno successivo, vengono utilizzati a singhiozzo, rimpiazzati da giocatori come Shelvey, Downing e Suso.

L'anno successivo il Liverpool cambia pagina: vende Carroll, Downing e Shelvey per quasi 27 milioni di sterline e manda Suso in prestito in Spagna. Nel frattempo Carragher si ritira e Rodgers può quindi lavorare su una squadra completamente sua. Dal mercato estivo arrivano Mignolet, Sakho, Touré e Iago Aspas. L’allenatore nordirlandese si affida di nuovo al 4-3-3 di swanseloniana memoria. Il modulo, però si trasforma in 3-4-3 in fase di possesso (con la salita dei due terzini e la discesa del mediano in mezzo ai due centrali) e in 4-5-1 in fase di non possesso. Ancora una volta è fondamentale il lavoro delle mezzali sia in fase di non possesso, per portare altissimo il pressing e impedire così a centrocampo e difesa avversaria di impostare tranquillamente, sia in fase di possesso, per inserirsi velocemente negli spazi creati dai movimenti dei tre attaccanti. Rodgers trova in Henderson, Coutinho e Allen tre interpreti perfetti per questo tipo di lavoro, essendo i tre giocatori tecnici, dinamici e tatticamente intelligenti allo stesso tempo.

Il vero tesoro, però, lo trova in attacco. Suarez, al di là dell’immensa dote di goal che porta con sé, è quasi maniacale nei suoi continui movimenti sia incontro al pallone che in profondità. Questo movimento a elastico spezza in continuazione la linea difensiva avversaria creando spazi perfetti per le ali e le mezzali. L’altro gioiello è Sterling, giovane ala pescata nell’Academy dei Reds, che con la sua velocità aggiunge ulteriore creatività al gioco offensivo del Liverpool (finirà la stagione con una media di 2,79 dribbling riusciti a partita, meno solamente di Hazard, 3,77, e lo stesso Suarez, 2,82). A completare il quadro c’è Sturridge, ennesimo giocatore prelevato da Rodgers dalle “sue” giovanili del Chelsea (tra i precedenti c’è anche Borini), che durante la stagione trova un’incredibile vena realizzativa.

Questa alchimia offensiva produrrà a fine stagione 101 goal (di cui 52 segnati dal duo Suarez-Sturridge), la cifra più alta mai registrata dal Liverpool in Premier League.

L’importanza dei movimenti di Suarez. Kompany sta fronteggiando l’arrivo di Coutinho, Suarez porta fuori posizione Lescott in modo che Allen possa inserirsi alle sue spalle.

L’altra forza del Liverpool risiede nella sua grande malleabilità tattica. Rodgers, grazie alla duttilità dei suoi giocatori (particolarmente impressionante quella di Henderson), riesce a cambiare faccia alla sua squadra (anche durante la partita) senza particolari problemi, passando dal 4-3-3 al 4-2-3-1 al 4-4-2 a rombo. In questo modo riesce a sfruttare sempre al meglio le capacità dei propri giocatori a seconda della situazione tattica che le partite propongono.

Il Liverpool abbandona definitivamente l’ortodossia del tiki-taka (a fine stagione risulterà solo sesto per possesso palla e quarto per accuratezza dei passaggi, superato anche dallo Swansea di Laudrup) e riesce a trovare risorse alternative per fare male all’avversario anche in maniera non ragionata. Risulta primo sia per goal segnati in contropiede, 9, che per goal segnati su palla inattiva, 26.

Come già successo con lo Swansea, però, la stagione lascia delle incognite pesanti, al di là dello psicodramma collettivo vissuto durante e dopo lo scivolone di Gerrard in Liverpool-Chelsea. Le responsabilità sono da dividere tra i vari reparti. L’attacco, innanzitutto. Se schierare contemporaneamente Sterling, Sturridge e Suarez porta ad una bulimia creativa in fase offensiva, non garantisce però alcuna protezione al centrocampo in fase di ripiegamento. Con il 4-3-3 sia Sturridge che Sterling sono pigri a coprire i fianchi delle mezzali. Una soluzione è stata fare a meno del tridente pesante sostituendo uno tra Sterling o Sturridge con Coutinho largo sulla fascia.

In secondo luogo la responsabilità dei troppi gol subiti ricade sul centrocampo. Portare il pressing alto con le due mezzali ha grandi vantaggi ma anche grandi rischi se il primo pressing viene evitato dalla squadra avversaria. In questo caso, il mediano (uno tra Gerrard e Lucas Leiva) rimane solo ad assorbire gli inserimenti dei centrocampisti avversari.

Infine non è esente da colpe la difesa. Un difetto endemico del Liverpool sembra essere quello di non accompagnare il pressing alto del centrocampo salendo anche con la difesa. In questo modo lo spazio tra le due linee si allarga permettendo a centrocampisti e attaccanti avversari di inserirsi facilmente. A ciò si deve aggiungere una certa sbadataggine (il Liverpool finirà la stagione primo per errori difensivi, 42, e secondo per errori difensivi causanti goal, 13) probabilmente dovuta anche allo sforzo in fase di impostazione che Rodgers chiede al suo reparto difensivo. In caso di pressione avversaria sul regista, infatti, il Liverpool aggira il pressing impostando con i due centrali (che non a caso hanno ottime statistiche legate all’accuratezza dei passaggi).

La difesa non accorcia sul centrocampo. Nello spazio che si viene a creare si inserisce Silva che può tranquillamente essere servito da Kompany.

Il Liverpool dopo Suarez

Arriviamo così alla storia recente, comprese tutte le ombre della stagione passata che si sono allungate minacciosamente sul presente della squadra. Almeno fino a prima che Sturridge si infortunasse e Rodgers non si schiarisse le idee sul reale contributo di Balotelli alla squadra, il Liverpool ha in realtà abbandonato il classico 4-3-3 oscillando nella prima parte della stagione tra il 4-2-3-1 e il 4-4-2 con il rombo a centrocampo.

Il primo prevede un doppio play davanti alla difesa (i soliti Gerrard e Lucas Leiva) dietro ai tre trequartisti, Lallana, Coutinho e Sterling, a supporto dell’unica punta (uno tra Sturridge e Balotelli). Il secondo, invece, lascia il solo Gerrard davanti alla difesa affiancato da due mezzali (come Henderson e Allen) con il trequartista ad assistere le due punte. Dato che Sturridge si è infortunato a settembre e che Rodgers ha dimostrato fin da subito di avere scarsa fiducia in Balotelli, la scelta è ricaduta costantemente su un 4-2-3-1 con Sterling punta atipica davanti. Le due formazioni, tuttavia, cambiano solo gli interpreti lasciando l’impostazione tattica della squadra invariata. In fase offensiva, infatti, portano entrambe quattro uomini (due attaccanti e due centrocampisti oppure un attaccante e tre centrocampisti) ad attaccare le difese avversarie centralmente.

Una scelta che è naturale per un 4-4-2 a rombo mentre è molto meno scontata in un 4-2-3-1. Eppure, anche in quest’ultimo caso, i due trequartisti esterni rimangono molto vicini a quello centrale in modo da infilarsi tra il difensore centrale e il terzino avversario, oppure tagliare al centro riempendo lo spazio lasciato dalla punta che viene incontro al pallone.

La gestione offensiva delle fasce è lasciata quasi totalmente ai due terzini che si affiancano (a volte anche contemporaneamente) ai quattro più avanzati, in modo da attaccare lo spazio ai lati e garantire un’ampiezza che allarghi le difese avversarie. Questa è una delle differenze rispetto all’anno scorso: quando i terzini erano molto più parsimoniosi nelle incursioni in avanti.

La ragione probabilmente risiede nella consapevolezza da parte di Rodgers di non avere la stessa varietà in attacco, da qui la decisione conseguente di portare più uomini in fase offensiva. In fase di non possesso entrambe le formazioni diventano un ordinato 4-4-1-1 con una delle due punte o il trequartista che scalano sull’esterno a coprire l’offensiva avversaria.

Il 4-2-3-1 del Liverpool con i trequartisti esterni molto stretti. Lo spazio ai lati viene attaccato dai terzini.

Come al solito il passaggio dalla fase difensiva a quella offensiva è gestito totalmente palla a terra, da una parte per la grande qualità tecnica garantita dai centrocampisti del Liverpool (fondamentali i piedi di Gerrard, Lucas e Coutinho), dall’altra per la scarsa competitività dei Reds nel gioco aereo (l’altezza media della squadra è di 180 cm). In generale gli uomini di Rodgers preferiscono portare il pallone fino alla trequarti avversaria in maniera ragionata per poi sfruttare i tagli improvvisi di attaccanti, centrocampisti e terzini.

Il Liverpool continua ad avere statistiche ottime per quanto riguarda il possesso palla e la precisione dei passaggi (anche se in leggero calo rispetto all’anno scorso, rispettivamente il 53% e l’84% in media dall’inizio della stagione) ma sembra aver perso quella creatività davanti che gli permetteva di sopperire alla sterilità del gioco a terra (ha segnato solamente 2 goal in contropiede e 3 su calcio da fermo, sui 31 totali in Premier League).

La mancanza di alternative nella gestione della partita spiega perché il Liverpool quest’anno se la sia giocata unicamente con squadre di media e bassa classifica e non abbia mai vinto contro squadre tecnicamente superiori (0-3 con Real Madrid e Manchester United; 1-3 con il Manchester City; 1-2 contro il Chelsea; 2-2 con l’Arsenal).

I problemi in difesa

La perdita di creatività davanti non è stata controbilanciata da una maggiore solidità dietro. Parliamo di una squadra che ha già preso 27 goal in Premier League e 9 in Champions League. Il nodo fondamentale è legato al gravoso lavoro dei terzini. Alla delicatezza del compito richiesto loro da Rodgers non corrisponde eguale livello tecnico/tattico del parco giocatori: la vecchia guardia, rappresentata da Glen Johnson e Henrique, ha per adesso rasentato il disastro mentre i nuovi innesti, Alberto Moreno e Manquillo, si sono rivelati meno incisivi di quanto sperato. Moreno, proveniente dal Siviglia, è l’unico ad aver convinto realmente, anche se alle ottime qualità offensive non ne affianca di simili in fase difensiva.

Molti goal presi derivano da errori individuali, derivanti a loro volta dai limiti tecnici dei singoli giocatori (qualcuno insegni a Glen Johnson la diagonale). Il quadro sulla tenuta difensiva va completato aggiungendo la cronica debolezza del Liverpool sulle palle da fermo e le incertezze legate al portiere titolare, con Mignolet duramente criticato dai tifosi per la sua scarsa autorità in area (per questo ha più volte fatto spazio al suo vice Brad Jones).

Il primo goal preso dal Liverpool in questa stagione è un concentrato di errori difensivi. Lovren esce in pressione su Tadic, nel frattempo Lucas non segue Clyne che sta entrando alle sue spalle e Johnson rimane a guardare. In qualche modo la palla filtra tra le gambe di Lovren in chiusura e Clyne batte Mignolet.

I limiti tecnici e tattici dei terzini vengono ulteriormente accentuati dalla scelta di Rodgers di voler far giocare davanti alla difesa due registi, Lucas Leiva e Gerrard, che pur garantendo notevoli vantaggi nella costruzione del gioco e nel possesso del pallone soffrono di evidenti limiti dinamici. Limiti che minano l’equilibrio tra le due fasi sia in caso di ripartenza avversaria (dati gli enormi spazi lasciati dai terzini alle loro spalle), sia in caso di uscita degli avversari dal pressing (vista la scarsa dinamicità dei due) e addirittura in caso di attacco a difesa schierata (molte volte Gerrard e Lucas non riescono ad assorbire gli inserimenti dei centrocampisti e terzini avversari).

Una soluzione vincente, ma per adesso poco utilizzata, è stata quella di sostituire uno dei due registi con Henderson. Il giovane centrocampista inglese non è un regista (anche se non è neanche un semplice incontrista: è attualmente il principale uomo assist della squadra, 6 nella stagione in corso, e nel 2014 è stato il terzo in tutta la Premier League per passaggi filtranti completati, 9, a pari merito con Hazard e Fabregas) ma garantisce una dinamicità infinitamente maggiore sia nel recupero del pallone sia nella proposizione di nuove linee di passaggio.

A pagare il prezzo più alto di questa impostazione tattica è stato lo stesso Gerrard. Lo storico capitano del Liverpool, utilizzato con meno frequenza rispetto agli anni scorsi, ha deciso di trasferirsi negli Stati Uniti a fine stagione anche se in realtà viene penalizzato più dalla decisione di affiancarlo ad un altro regista che dai demeriti personali. Nonostante i limiti di dinamicità, il numero 8 rimane un giocatore fondamentale. In una squadra che ancora segna poco (la media in Premier per adesso è di 1,4 goal a partita) Gerrard fornisce opzioni offensive alternative come il tiro dalla distanza e i calci da fermo. In assenza di attaccanti prolifici, il capitano è il capocannoniere della squadra in Premier e in assoluto in questa stagione (9 goal segnati in tutte le competizioni finora).

Il fatto che Gerrard sia il capocannoniere della squadra dice l’ultima parola sul fallimento di Balotelli, che ha giocato solo 760 minuti e molte volte è stato lasciato in panchina al di là dei problemi fisici. Rodgers ha giustificato le sue esclusioni tirando in ballo l’intensità e il pressing: il centravanti della Nazionale italiana (?) non ha la dinamicità né la maniacalità di Suarez nei movimenti senza palla, uno dei fattori chiave per il successo del Liverpool dell’anno scorso. Al contrario, Balotelli tende a stare spalle alla porta chiedendo la palla sui piedi, il suo movimento tipico è quello di allontanarsi dalla linea d’attacco per ricevere il pallone e puntare la difesa palla al piede, al fine di tirare o scaricare.

Con l’unica punta lontana dalla porta per le difese avversarie è più facile annullare gli inserimenti di trequartisti e terzini. Il movimento all’indietro, inoltre, porta Balotelli ad occupare la zona di Coutinho, un giocatore che, dal canto suo, non ha nell’inserimento in profondità la sua arma migliore.

Balotelli e Coutinho chiedono il pallone nella stessa zona di campo e alleggeriscono di fatto la difesa dell'Aston Villa (Senderos torna in linea).

Il passaggio al 3-4-3

Rodgers ha cercato di tagliare il nodo gordiano di netto a partire dallo scorso 14 dicembre, quando il Liverpool è andato all’Old Trafford ad affrontare lo United dopo un novembre nero, in cui la squadra era riuscita a vincere solo una partita in tutte le competizioni (un misero 1-0 con lo Stoke City). A partire da quella partita il Liverpool si è presentato con un atipico 3-4-3, formazione che è stata mantenuta in tutte le apparizioni successive. Rispetto al 4-2-3-1 precedente il cambiamento è rappresentato dall’eliminazione del trequartista centrale e dalla contemporanea aggiunta di un difensore centrale.

Così come nel 4-2-3-1, i due trequartisti esterni rimangono molto stretti (a volte talmente stretti da risultare paralleli ai due mediani, formando una sorta di quadrato a centrocampo) mentre i terzini si occupano di attaccare la profondità sulle fasce. A differenza del 4-2-3-1, però, la difesa a tre copre meglio l’estensione del campo in assenza dei terzini garantendo una migliore tenuta difensiva. Inoltre, l’eliminazione del trequartista centrale evita che quest’ultimo e la punta centrale si pestino i piedi nella stessa zona di campo.

È curioso notare che se le squadre avversarie alzano il pressing sul centrocampo e il Liverpool è costretto ad allargare i difensori centrali per impostare da dietro, la discesa di uno dei due mediani forma nuovamente una difesa a quattro, facendo tornare il modulo al primordiale 4-3-3. In fase di non possesso invece la formazione diventa un copertissimo 5-4-1 con i terzini che si affiancano ai difensori centrali e i due trequartisti che ripiegano sull’esterno coprendo le fasce.

Il nuovo 3-4-3 in fase di possesso. I trequartisti, Coutinho e Lallana, rimangono stretti, formando il “quadrato” centrale con i mediani e lasciando le fasce ai terzini, che in questo caso sono Henderson e Markovic.

A stupire, ancora una volta, è la duttilità tattica dei giocatori di Rodgers (o forse la capacità di Rodgers di utilizzare i propri giocatori in tutte le zone del campo), attraverso la quale sono stati eliminati alcuni problemi descritti in precedenza: Gerrard è stato molte volte spostato dalla mediana alla trequarti (o alla panchina) in modo da sfruttare tutte le sue qualità offensive e liberarlo da compiti difensivi; Borini è stato riciclato da riserva a punta centrale per garantire quell’intensità nel pressing che Balotelli non può assicurare (in attesa che Sturridge superi i suoi problemi fisici); Sterling, dopo essere stato sacrificato per lunghi tratti come punta centrale, è stato riportato sulla trequarti per sfruttare la sua abilità nel saltare l’uomo tra le linee; Markovic, talentuoso trequartista serbo, è stato utilizzato con successo come terzino; Emre Can, acquistato quest’estate dal Bayer Leverkusen, è stato reinventato difensore centrale per mantenere quella qualità nell’impostazione da dietro che a Touré manca.

L’insieme di questi accorgimenti tecnico-tattici ha donato una rinnovata solidità difensiva al Liverpool (la media goal concessi è passata da 1 a 0,36 con la difesa a 3) che ha finito per giovare anche ai risultati: dopo la partita con lo United i Reds hanno perso unicamente contro il Chelsea in Capital One Cup (soccombendo solamente ai supplementari), raccogliendo cinque vittorie tra Premier League e FA Cup.

Il Liverpool sembra anche aver ritrovato la creatività della scorsa stagione. Da quel fatidico 14 dicembre, infatti, la squadra di Rodgers guida la classifica delle occasioni create (104) con un netto distacco rispetto a City (85), Chelsea (81), United (61) e Arsenal (59). Certo, rimangono diversi problemi, come una certa disarmonia tra i reparti, con la squadra che rimane spaccata in due, tra i cinque che attaccano e i cinque che difendono, o la mancanza di un vero finalizzatore in assenza di Sturridge; ma la nave con ogni probabilità è stata salvata dalla tempesta che si intravedeva nella prima parte della stagione. Con una vittoria sabato contro il West Ham, il Liverpool supererebbe la stessa squadra allenata da Allardyce avvicinandosi di molto alle prime cinque della classifica.

Conclusioni

Probabilmente l’evoluzione è meno casuale o dettata dalla disperazione di quel che può sembrare a una prima occhiata. Quando venne chiesto a Gerrard cosa rendesse Rodgers speciale, il capitano del Liverpool rispose: “Tatticamente è molto intelligente e rapido: reagisce alle situazioni, cambia le cose. Vede i problemi e li risolve molto velocemente”.

Alla luce della storia sportiva di Brendan Rodgers non si può dare torto a Gerrard. Il nordirlandese non ha mai chiuso gli occhi di fronte ai suoi errori né ha mai creduto che un singolo modulo o stile potesse salvare la sua carriera. E su questo probabilmente ha influito la sua storia privata.

In un’intervista al Daily Mail del 28 marzo dello scorso anno, esattamente un mese prima che il fato lo privasse di un meritato trofeo mettendo una buccia di banana invisibile sotto il piede del suo capitano, Rodgers rispondeva così alla domanda su quale fosse il segreto del suo successo: “La risposta per me è fallimento. È così che hai successo. Per quanto tu voglia abbellirla, qualcosa non ha funzionato. Per la prima volta nella mia vita ho pensato che avevo fallito a Reading. Avevo una scelta. Potevo sparire e diventare direttore delle giovanili, come avevo fatto per 14 anni. Oppure potevo dimostrare carattere, perseveranza e provarci di nuovo. Per fortuna ci sono riuscito. Di sicuro il successo non mi è stato regalato. So quanto può essere difficile la vita”.

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