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Gli acquisti più improbabili di gennaio
05 feb 2018
05 feb 2018
Quello invernale è il calciomercato delle grandi idee.
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Uno dei migliori amici dei giocatori di Football Manager è un riquadro piccolo, da scovare nel mare di opzioni del mercato. In principio, la dicitura era “Escludi obiettivi non realistici”. Un’indicazione che ha resistito al passare del tempo, ai restyling massicci o impercettibili che si sono susseguiti, diventando un più asciutto “Mostra trasferimenti realistici” nel dialogo con il vice allenatore. Durante le ore perse a cercare il centrocampista giusto per una nuova stagione in Serie B o il centravanti ideale per l’assalto alla Champions League, quella minuscola spunta rappresenta il sapore di un freno all’ambizione, indipendentemente dalla categoria.

Ma i videogiocatori più pazienti sono disposti ad aspettare mesi pur di portare a casa il loro obiettivo. Non vuoi trasferirti adesso? Ti tengo d’occhio, cambierai idea. Può capitare che l’ex gioiello del settore giovanile di un grande club, disoccupato da mesi dopo essere stato scaricato a 23 anni, pur di tenere il punto preferisca il prematuro ritiro.

La realtà è un’altra cosa. L’over 30 sul viale del tramonto non sa scendere a patti con il proprio declino e accetta piazze improbabili pur di rimanere sotto i riflettori, la stella martoriata dagli infortuni vuole dimostrare di avere ancora qualcosa da dire. Alcune trattative del mercato di gennaio ci hanno trasportato in un universo parallelo. Quella di Bacary Sagna al Benevento ne è l’ultimo esempio. Ma non è il primo acquisto della storia del calcio italiano che ha rappresentato un corto circuito, una dissonanza tra la forza (o la reputazione) del calciatore e la condizione drammatica di chi si apprestava a comprarli. Il mese di gennaio aguzza l’ingegno dei club più o meno disperati, riviviamo quattro (più uno) colpi che hanno lasciato i fan delle follie di mercato.

Paulo Futre alla Reggiana – Novembre 1993

L’antenato della finestra trasferimenti di gennaio è stato il mercato autunnale, collocato tra ottobre e novembre fino alla rivoluzione di metà anni ’90. La Serie A, nel 1993, guarda con occhio particolarmente interessato al disastro Olympique Marsiglia. La società transalpina, fresca campione d’Europa, viene travolta da uno scandalo epocale. Una bufera scatenata dalle dichiarazioni di Jacques Glassmann, giocatore del Valenciennes, solamente quattro giorni primadell’incornata di Basile Boli che avrebbe regalato ai francesi la Coppa dei Campioni. Stando all’accusa, Jean-Jacques Eydelie, calciatore dell’OM, avrebbe cercato di corrompere Glassmann, Christophe Robert e Jorge Burruchaga, supportato dal general manager Jean-Pierre Bernes. Soldi in cambio di scarso impegno, vista la vicinanza con la finale di Coppa dei Campioni. Glassmann rifiuta, il Marsiglia vince 1-0, si impone sul Milan a Monaco di Baviera, quindi stende il Paris Saint-Germain e si aggiudica anche la quinta Ligue 1 consecutiva. L’inchiesta parte in sordina, a fine giugno la polizia trova 250.000 franchi seppelliti nel giardino di Robert, che aveva accettato l’offerta (così come Burruchaga) a differenza di Glassmann. La Uefa non può restituire la Coppa dei Campioni al Milan di Capello ma esclude l’OM dalle competizioni internazionali – spedendo i rossoneri a giocarsi l’Intercontinentale - e intima alla Federcalcio francese un provvedimento rapido, pena l’esclusione di tutte le formazioni transalpine dalle coppe. La FFF squalifica Bernes, Eydelie, Robert e Burruchaga, togliendo il titolo 1993 al Marsiglia.



Dietro l’ascesa dell’OM c’è un imprenditore illuminato e spietato, che anni prima aveva intravisto nel mondo dello sport il trampolino di lancio ideale per le sue idee, Bernard Tapie. Nel 1984 aveva allestito una squadra di ciclismo con fuoriclasse come Hinault e Lemond e nel 1986 ha deciso di entrare nel calcio. Riesce a fare dell’Olympique Marsiglia una delle migliori squadre d’Europa, portando Papin, Abedi Pelé, Waddle, Deschamps, Francescoli e Stojkovic, andando persino a un passo da Diego Maradona. Il successo continentale, giunto dopo l’ennesima campagna acquisti scintillante (Barthez, Desailly, Boksic, Völler) e in finale proprio contro i rossoneri, sembra la ciliegina sulla torta. Nell’estate del 1993, quando scoppia lo scandalo, Tapie è ancora immacolato: una favola che durerà poco.

«Valenciennes-Om è stata una gara regolare –tuona il patron - e l'hanno ammesso tutti. Eppure non disputo la Coppa Campioni, non ho più lo scudetto, forse farò la Coppa di Francia, il mio collaboratore diretto non può più lavorare. E le prove? C'è solo un tizio che parla di soldi nascosti in giardino, in mezzo alle barbabietole. Falso. Ci riprenderemo il titolo sul campo, dove per vincere non abbiamo bisogno di imbrogliare».

L’inchiesta inizia a toccare anche match internazionali, come il 6-0 rifilato al CSKA, e qualcuno teme la retrocessione nell’anno successivo, puntualmente concretizzatasi una volta emerse le prove dei coinvolgimento attivo di Bernard Tapie nella corruzione dei testimoni Primorac e Eydelie. «Il CSKA è una squadra debolissima, la peggiore tra quelle arrivate alla fase finale –fa notare Völler – della Coppa Campioni. Ha senso corrompere una squadra ridicola? Diverso è il caso Valenciennes: prima di giudicare aspettiamo i risultati dell'inchiesta. Se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi. Io, comunque, non ci credo. E in B non ci vado». Il fuggi-fuggi inizia a novembre. Il Milan mette le mani su Marcel Desailly, che Capello trasforma da difensore centrale a straordinario mediano. La Lazio, dopo mesi di corteggiamento, fa suo Alen Boksic. Se ne va anche un talentuoso fantasista portoghese, arrivato in estate nonostante la bufera. Ha 28 anni, un’eleganza smisurata, un secondo posto nella classifica del Pallone d’Oro 1987 e tanta voglia di brillare in Italia. E allora per quale motivo ha firmato per il club penultimo in classifica?

La Reggiana di Franco Dal Cin sborsa cinque miliardi di lire per aggiudicarsi le prestazioni di Paulo Futre. Ha appena giocato - e perso – a San Siro un match decisivo per le qualificazioni a Usa 1994:lo ha risolto Dino Baggio, spedendo gli azzurri ai Mondiali e condannando a un’estate da spettatori i tifosi del Portogallo, di cui Futre è numero 10 e stella assoluta. Nelle sue prime ore da Reggiano afferma: «So che la Reggiana domenica ha perso 2-0 e ci gioca il brasiliano Taffarel e nient’altro. Le vostre partite le guardo sempre, ho un archivio di videocassette molto fornito. Non è una squadra che lotta per il primo posto, cercherò di sfruttarla come una vetrina, per farmi vedere e apprezzare da vicino. Poi, chissà». All’hotel Astoria, per la presentazione, c’è tutta la città. La data del debutto, 21 novembre 1993, è cerchiata in rosso sui calendari. «Ho sempre vinto la mia partita d’esordio», dice prima del match. Dopo un’ora di gioco, il nuovo idolo di Reggio Emilia entra in area da destra, inganna due avversari con una finta e di sinistro batte Gigi Turci. Esultano tutti, al Mirabello. Anche quelli che stanno assistendo al match dai balconi intorno allo stadio. Forse la bellezza non salverà il mondo, ma in quel momento sembra davvero poter salvare la Reggiana.



Il destino si presenta una ventina di minuti più tardi sotto forma di Alessandro Pedroni, terzino della Cremonese. Un’entrata in ritardo sul ginocchio di Futre, l’urlo di dolore. Qualche ora più tardi, la diagnosi. Rottura subtotale del legamento rotuleo del ginocchio destro. I medici fissano in tre mesi il rientro in campo, previsione errata. La Reggiana riesce comunque a salvarsi nella domenica della tragica morte di Ayrton Senna a Imola, con l’aiuto di un Milan già campione d’Italia e proiettato alla storica finale con il Barcellona.Il destro di Massimiliano Esposito fa infuriare il Piacenza di Cagni, costretto ad anticipare il proprio match al venerdì per l’imminente ultimo atto della Coppa delle Coppe tra Parma e Arsenal e beffato con 48 ore di ritardo quando tutto sembrava pronto per lo spareggio. Futre riparte dalla Reggiana ma non è più il genio di una volta. Gioca poco, segna quattro gol. Un anno più tardi il Milan gli regala un altro giro di giostra in un grande club, prima di finire al West Ham e ingaggiare una clamorosa lite con Harry Redknapp per il numero di maglia a pochi minuti dalla sfida con l’Arsenal. Trovando il numero 10 sulle spalle di John Moncur e ricevendo la 16, Futreattacca furiosamente il manager: «Futre 10, not 16. Eusebio 10, Maradona 10, Pelé 10, Futre 10, not fucking 16». Pur di avere il suo numero di maglia, Futre offre 100.000 sterline a Moncur, che si accontenta di molto meno: vuole trascorrere due settimane nella villa di Paulo ad Algarve per accordare il cambio di numero. Futre accetta, consegna le chiavi, si prende la 10 e floppa miseramente anche a Londra. Uno degli ultimi guizzi di una carriera sulle montagne russe.

Mario Jardel e Magnus Hedman all’Ancona – Gennaio 2004

Tutto o quasi, nel racconto della mitologica stagione 2003/04 dell’Ancona, può essere riassunto con uno dei tormentoni di Corrado Guzzanti nelle vesti di Fausto Bertinotti: “È un grandissimo scherzo”.

Le partite casalinghe dei marchigiani, così come quelle di Brescia, Chievo, Empoli, Modena e Perugia, vengono prodotte e diffuse da un’emittente durata meno di un governo balneare: Gioco Calcio, presieduta prima da Enrico Preziosi e poi da Antonio Matarrese, parte con gli squilli di tromba tipici delle nuove avventure. «Ci saranno nuove risorse, più fatturato dalla televisione verso i club e siamo gli unici a garantire concorrenza, ricchezza e futuro a un bel gruppo di squadre».

Capitale iniziale: 100.000 euro. Iniezione promessa a stagione in corso: 30 milioni di euro, 3 da versare entro il 21 luglio, il resto durante il campionato. Gli azionisti sono Plusmedia Trading (i club di A e B rimasti senza contratto Sky) al 67,5 %; la fantomatica Italopec, di cui non si conoscono sede e consistenza patrimoniale, al 7,7%; il presidente della Roma Franco Sensi allo 0,6%; Bg Tv (Marco Bianchi) al 24,2%. In più, la promessa di un ingresso della Lega Serie A con il 10% delle quote. Gli abbonamenti sono un flop, il capitale rimane quello di base, i club coinvolti sono allo stesso tempo creditori e debitori. Quattro delle sei squadre che danno vita al progetto Gioco Calcio retrocedono a fine stagione, ma tre di loro hanno almeno il buon gusto di lottare. L’Ancona no. L’Ancona passa alla storia come uno degli esperimenti più surreali della storia della Serie A.

Il presidente è Ermanno Pieroni, ex dirigente del Perugia e grande scopritore di talenti,“addetto all’arbitro” in occasione di una delle pagine più kitsch dell’album del massimo campionato,la rissa Gaucci-Matarrese della stagione 1999-00. La guida tecnica sapiente di Gigi Simoni e i gol della coppia Graffiedi-Ganz, insieme alla presenza di giocatori di categoria come Schenardi e Maini, regalano all’Ancona la promozione in Serie A. Una salita programmata, arrivata con un lavoro sensato, studiato a tavolino. In estate, nello stupore generale, qualcosa si rompe. Pieroni blinda i veterani e fa arrivare nelle Marche un carico di over 30: Milanese, Parente, Sussi, Di Francesco, Poggi, Berretta, Rapaic e Dario Hübner, reduce da un biennio da 38 gol con la maglia del Piacenza.

Le voci vogliono il patron sulle tracce di Carlo Mazzone per guidare un gruppo a dir poco attempato, il Sor Magara ha fatto benissimo a Brescia e secondo alcunisogna un clamoroso ritorno alla Roma, che sta cercando di capire cosa fare con Fabio Capello. Mazzone ci pensa, poi declina, accettando il Bologna. Ma lascia lì un consiglio: Leonardo Menichini, suo storico vice, un debuttante in Serie A. Pieroni saluta Simoni e abbraccia l’idea del cambio di allenatore. Il nuovo che avanza regge quattro giornate, la dirigenza biancorossa cavalca quindi uno dei principali cliché del calcio italiano anni ’90-2000: lo specialista della salvezza. Spazio a Nedo Sonetti, eppure a fine 2003 la classifica è impietosa, con quattro punti raccolti grazie ad altrettanti pareggi. La squadra è praticamente già in B ma Pieroni prova a rivoluzionare tutto. Partono diciotto giocatori e arrivano nomi fantascientifici. Il fantasma di Dino Baggio, Luis Helguera (fratello di Ivan), Sartor, Grabbi, Bucchi, Zavagno, Sogliano e Goretti. Ma la stampa italiana si esalta soprattutto per due calciatori: Magnus Hedman e Mario Jardel.


Tra i giocatori ceduti a gennaio (e tra le immagini prodotte da Gioco Calcio) c’è anche Pietro Parente, che sul collo porta ancora il calco della mano di Jaap Stam. Una scena talmente assurda da imbarazzare anche Fernando Couto.



Pallone d’oro svedese del 2000, Hedman dice sì all’Ancona per non buttare altri sei mesi al Celtic Glasgow. Non vuole perdere la possibilità di difendere la porta della nazionale a Euro 2004, è in lotta con Isaksson per il posto da titolare. Sceglie di volare nelle Marche, pensando di garantirsi quattro mesi da titolare dopo l’addio di Scarpi. L’unico concorrente è Sergio Marcon, tra i pochi a salvarsi dall’epurazione pieroniana. L’arrivo in Italia di Hedman è una manna per gli amanti del gossip applicato al calcio: è sposato con Magdalena Graaf, modella e cantante,che piace ai tifosi di mezza Europa. Ad Ancona si vede poco, forse per permettere al marito di rimanere concentrato sul campo. Galeone, nuovo tecnico biancorosso, lo sceglie per difendere i pali nella sua prima gara da allenatore, in casa con il Lecce.Chevanton lo fredda dopo 45 secondi, finisce 0-2. Hedman si fa male al menisco, resta fuori più di un mese, a fine anno collezionerà la miseria di tre presenze. Sufficienti per fargli denunciare, a fine carriera, una presunta combine in Perugia-Ancona, ultima di campionato (1-0, gol di Bothroyd), decisiva per far arrivare gli umbri allo spareggio promozione-retrocessione con la Fiorentina, arrivata sesta in Serie B.

Profilo alto ma non altissimo, quello di Hedman. Ma con l’arrivo di Mario Jardel, la stagione dell’Ancona sfonda i muri della disperazione e fa il giro, fino a toccare la leggenda. Gli erano bastati tre anni in Brasile per convincere il Porto, nel 1996, a portarlo in Europa. Nelle 125 gare di campionato giocate in terra lusitana,Jardel aveva realizzato 130 gol. Per consacrarsi ulteriormente, sfidando le obiezioni sullo scarso livello del campionato portoghese, il centravanti brasiliano aveva accettato la corte del Galatasaray: 22 gol in 24 partite e doppietta in Supercoppa Europea contro il Real Madrid. La decisione di ascoltare il richiamo del Portogallo lo aveva quindi portato allo Sporting Lisbona, fissando ancora più in alto l’asticella con 42 gol in 30 partite.

In pochi, nel periodo in cui è qualcosa di molto simile al miglior uomo d’area dei campionati europei, conoscono i segreti della depressione di Jardel. «Nel 1999 provai per la prima volta la cocaina durante una festa in Brasile. Ero depresso, sentivo un vuoto dentro e rimasi invischiato. La droga ha distrutto la mia famiglia e la mia vita. I miei figli andavano a scuola e i compagni li prendevano in giro per avere un padre drogato». La mazzata sulla fiducia e sulla carriera di Jardel porta la firma di Luiz Felipe Scolari. «La mancata convocazione ai Mondiali 2002 è stato un fallimento personale, mi ha distrutto, è stata una botta che mi ha buttato a terra e mi ha fatto nuovamente precipitare nel baratro. Quando passava l’effetto della droga, mi assalivano la tristezza e l’angoscia e io aumentavo le dosi, sempre di più. Una volta andai avanti per 8 giorni ininterrottamente. Ero diventato una palla di neve».

Archiviata un’esperienza fallimentare al Bolton, un devastato Jardel prova a rimettersi in gioco all’Ancona. Del centravanti potente, immarcabile in area di rigore e letale nel gioco aereo, è rimasta un’ombra sbiadita e ingrassata, provata dall’abuso di alcol e cocaina.“Ancona meravigliao, pure Jardel”, titola la Gazzetta dello Sport. «Ha vinto due volte la Scarpa d’Oro e ha battuto la depressione», aggiunge il quotidiano. Nell’immaginario collettivo resta la prima uscita al Del Conero sotto la curva sbagliata, con i palleggi sotto il settore ospiti dei tifosi del Perugia. L’esordio è a San Siro, anticipato da un entusiasmo insensato. «San Siro è uno stadio magico, ho voglia di dimostrare che Jardel è sempre Jardel, quello che ha vinto due volte la Scarpa d’Oro, che ha battuto il Real Madrid in Supercoppa Europea e che ha tutto per restare qui»,racconta in una lunga intervista, rivendicando la sua grande voglia di Italia. «Sapevo di tanti interessamenti di Fiorentina, Milan, Roma, ma nessuno mi è mai venuto a prendere. Lasciatemi fare gol e salvare l’Ancona, allora qualcuno arriverà a richiedermi. Io credo ancora a una grande italiana». L’Ancona perde 5-0, Sonetti viene esonerato, nelle cronache del giorno successivo Jardel viene paragonato a“un commendatore che fa jogging”. È sovrappeso, provato dai problemi personali, si capisce da subito che ha imboccato un tunnel dal quale non può uscire facilmente.


Intorno al cinquantesimo secondo, Jardel insegue Maldini con l’andatura di chi non gioca a calcetto da quattro anni. A partita in corso, anche l’ingresso di uno dei rari U-30 di quell’Ancona: Goran Pandev, ancora con tutti i capelli in testa.



Galeone arriva e lo lascia fuori: «Ho bisogno di giocatori in condizione, spero che sia pronto per la partita di Modena». Salta anche quella, e tornano le promesse. «Sono quasi pronto, scordatevi il Jardel visto a San Siro. Il tecnico mi ha congelato per non espormi a brutte figure, sono già quattro chili sotto rispetto a tre settimane fa. Ora devo solo giocare per tornare quello di un tempo: sono qui per questo, voglio fermarmi a lungo in Italia». Al Del Conero arriva la Roma ed è la seconda occasione per Jardel. «Terga pesantissime, passo felpato – è l’incipit del 4 in pagella che gli riserva La Stampa – e due tocchetti di fino, stile campionato portoghese. Poi il nulla. Impresentabile». È un separato in casa, a marzo si consuma l’addio dopo tre giorni di allenamenti saltati e lo strappo della moglie Karen, fuggita dalla villa in periferia insieme ai figli Victoria e Mario Junior. Prova a convincere il Corinthians, il tecnico Oliveira lo boccia: «Non fa parte del progetto tecnico». Il Palmeiras ne testa le condizioni a giugno, senza successo. Segue un calvario di dodici squadre, una serie di cambi di campionati e continenti da far impazzire i fan delvideogame di Che fine ha fatto Carmen Sandiego: Newell’s Old Boys, Goias, Beira-Mar, Anorthosis, Newcastle Jets, Criciuma, Ferroviario, América, Flamengo, Cerno More Varna, Rio Negro, Al-Taawoun. Cercava il vero Mario, non lo ha più trovato.

Cristian Rodriguez al Parma – Gennaio 2015

Estádio da Luz di Lisbona, 24 maggio 2014. Il Real Madrid vuole la sua decima Champions League, davanti ha i nuovi campioni di Spagna. Non si tratta del Barcellona, bensì dell’irripetibile Atletico Madrid del “Cholo” Simeone. Tra i fedelissimi del tecnico argentino c’è un esterno uruguaiano pronto a ogni utilizzo. Alla finale, decisa dalla capocciata di Sergio Ramos all’ultimo respiro e dal dirompente supplementare giocato contro un undici colchonero devastato dal prematuro infortunio di Diego Costa, dall’assenza di Arda Turan e dalla stanchezza generale, Cristian Rodriguez assiste dalla panchina.

Collecchio, 21 dicembre 2014. Il Parma passa di mano, ceduto da Tommaso Ghirardi in un’operazione da 25 milioni di euro che viene ufficialmente ricondotta alla Dastraso Holding Limited, nata il 7 novembre del 2014, azioni possedute per il 60% da ciprioti e per il 40% da russi. Dietro c’è un nome molto conosciuto in Italia. Il rappresentante legale del nuovo Parma è Pietro Doca, uomo di fiducia del compratore. Rezart Taci, dopo aver già imbastito trattative per Genoa e Bologna (di cui è statopresidente per una notte, salvo poi tirarsi indietro), è di fatto il nuovo proprietario del Parma. Sconfitti 2-0 a Napoli, alla vigilia della sosta natalizia i ducali sono ultimi in classifica con 6 punti (e uno di penalizzazione per un pagamento parziale dell’Irpef), lontani nove lunghezze dalla zona salvezza e virtualmente retrocessi. La situazione del club è da mani nei capelli. «Dopo due settimane ci siamo accorti che i debiti non erano di 70 milioni, limite che io avevo imposto per il completamento dell’acquisizione, bensì 214 più altri 50 in arrivo nei mesi successivi», avrebberaccontato Taci a distanza di anni.

In questo scenario folle, al Parma viene comunque concesso di fare mercato. Arrivano Andi Lila dal PAS Giannina, Nocerino dal Milan, Varela dal Porto e Cristian “Cebolla” Rodriguez dall’Atletico Madrid. Quando l’uruguaiano sbarca in Italia, in molti non solo si chiedono “perché?”, ma anche “come?”. Come è possibile che una società in crisi sia arrivata a potersi permettere, anche se in prestito, un profilo simile? Cosa ha portato un quasi campione d’Europa, stimato dal proprio allenatore pur non essendo un titolare fisso di uno dei migliori club del continente, ad accettare una situazione disperata come quella del Parma, che da mesi non paga gli stipendi?Glielo chiedono anche nella conferenza stampa di presentazione: «Arrivo in un club dalla grande storia, i miei motivi sono personali. Ho bisogno di giocare di più, ho deciso di venire qui pur sapendo della situazione difficile. Sono pronto a dare il mio apporto e ad aiutare i compagni».

Roberto Donadoni lo getta subito nella mischia insieme a Varela per lo scontro salvezza con il Cesena. La partita è sofferta, sudata, equilibrata. A due minuti dalla fine, sul punteggio di 1-1, Cascione travolge Rispoli in area. Cassano chiede a gran voce il rigore, Tagliavento dice no, da lì a 90 secondi è un altro Rodriguez, Alejandro, a far esplodere i tifosi del Cesena. Pietro Leonardi, amministratore delegato, accusa un malore e viene ricoverato in ospedale. Mentre la squadra saluta la salvezza, la vicenda societaria assume contorni surreali. Il mercato di gennaio si chiudecon la cessione di Nicola Pozzi per mille euro, Donadoni va avanti stoicamente, l’impatto di Rodriguez è relativo ma in uno scenario del genere chiunque farebbe fatica. Cassano ottiene la rescissione, il Parma perde anche con Milan e Chievo. L’ennesimo punto di svolta arriva a inizio febbraio. Giampietro Manenti rileva le quote del club a un euro e si presenta con una conferenza stampa dai contenuti inverosimili.


I nove minuti e cinquantotto secondi di duello rusticano con Mario Gerevini del Corriere della Sera. I vertici del calcio italiano assistono impietriti allo scempio di una società storica.



Il nuovo proprietario promette bonifici in arrivo, i giocatori si tranquillizzano e il Parma strappa un inatteso 0-0 all’Olimpico contro la Roma nella prima da presidente di Manenti. I giallorossi vengono travolti dai fischi, il primo a farne le spese è Seydou Doumbia, lanciato titolare da Rudi Garcia a poche ore dal rientro dalla Coppa d’Africa vinta con la Costa d’Avorio del suo amico e nuovo compagno di reparto Gervinho. Rodriguez è tra i migliori del Parma, sembra essersi finalmente ambientato. Manenti, nella pancia dell’Olimpico, tira fuoriuna delle frasi che hanno segnato la sua presidenza: «I bonifici probabilmente sono già stati fatti». Il presidente fornisce ai calciatori il CRO (codice di riferimento operazione) dei vari bonifici, i soldi non arrivano. Anche il CRO è fasullo. Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Calciatori,blocca tutto: «Non ci sono le condizioni per giocare».

Parma-Udinese viene rinviata, lo stesso accade per Genoa-Parma. I ducali tornano in campo l’8 marzo contro l’Atalanta, la situazione non migliora ma è tempo di ripartire. Cristian Rodriguez lascia a modo suo. Espulso da Di Bello, non gradisce il rosso emette le mani addosso all’arbitro, anche se in maniera lieve. Il Giudice Sportivo lo ferma per quattro giornate per avere «afferrato con veemenza il braccio sinistro del Direttore di gara, proferendo espressioni ingiuriose». Ne sconta soltanto una, rescindendo il contratto con il Parma a fine marzo, dopo il fallimento, per accasarsi al Gremio. La parentesi del “Cebolla” rimane un inciso assurdo in una faccenda complessivamente ben più grave.

Birgit Prinz al Perugia – Mai successo :(

vulcànico agg. [der. di vulcano] (pl. m. -ci). – 1. Di vulcano, relativo ai vulcani, al vulcanismo: manifestazioni v.; eruzioni v.; lave, materie v.; crateri v.; proietti v.

fig. Dotato di grande fantasia e immaginazione; ricco di idee e di iniziative; esuberante, pieno di vitalità: un uomo v., o dalla personalità v.; una testa v.


Sembra impossibile, ma nella definizione fornita dal Vocabolario Treccani non figura mai il nome di Luciano Gaucci, l’essere vivente che detiene il maggior numero di accostamenti al termine vulcanico. Nel dicembre del 2003, triste per il rendimento deludente di Saadi Gheddafi – e chi avrebbe potuto prevederlo? – con la maglia del suo Perugia, Lucianone è alla ricerca disperata di un modo per finire sulle prime pagine italiane ed europee. Lo trova in Hanna Ljungberg. È vero, Gaucci è stato anche un dongiovanni, ma non si tratta di una nuova fiamma, bensì della vincitrice del Diamantbollen, il Pallone d’Oro svedese del calcio femminile.

Il patron del Perugia vuole acquistare una donna. Il tentativo fallisce immediatamente e non riscuote grande seguito. «Sono alta solamente 1.60 e sarebbe un po’ troppo chiedere a una donna come me di giocare contro i maschi» spiega Ljungberg. Ma Gaucci è convinto di avere trovato l’asso nella manica, bisogna soltanto individuare la calciatrice giusta. Bussa alla porta di Birgit Prinz, ritenuta da molti la migliore giocatrice al mondo.

“La Principessa” ha talento, fa del dribbling la sua arma principale, secondo la leggenda sarebbe stata vista a 17 anni su un campo di calcio da Gerhard Mayer-Vorfelder, futuro presidente della Federcalcio tedesca e vice presidente Uefa. Dopo pochi minuti, il responso: «Dovrebbe cambiare sesso e iniziare a giocare nello Stoccarda». Gaucci è ottimista e inizia la trattativa. «Nemmeno la FIFA potrà impedire di far giocare una donna in una squadra di uomini, visto che non esiste alcun espresso divieto».


Su YouTube c’è davvero tutto, anche un best of di Birgit Prinz con una terribile base midi di Ayo Technology in sottofondo.



Prinz riceve da Sepp Blatter il Fifa Women’s World Player e sgancia la bomba: «Ci sto pensando, deciderò prima della fine del mese». Il presidente del Perugia ha centrato l’obiettivo. «Ho sentito il procuratore, sono fiducioso di vederla arrivare presto».

L’Italia del calcio femminile si scaglia contro Gaucci. Patrizia Panico attacca: «Non la vedo come una cosa positiva, non capisco qual è lo scopo, la donna partirebbe sempre svantaggiata. Il fatto che non ci siano donne in squadre maschili non è una discriminazione, ma una forma di rispetto dei diversi campionati e delle differenze che ci sono tra calcio maschile e femminile». Il caso arriva anche sulla scrivania di Blatter, il numero 1 del calcio mondiale è durissimo. «La FIFA è assolutamente contraria».

L’uragano Gaucci non si ferma, è addiritturala BBC a riportare un suo virgolettato: «Speriamo di averla con noi in allenamento con la squadra prima di Natale per averla a disposizione in campo da gennaio». L’offerta di 100.000 euro per sei mesi, contro lo stipendio medio di 1.500 euro mensili percepito da una giocatrice di Serie A in Germania, è il motivo principale per cui Birgit non chiude immediatamente le porte. Sembra una follia collettiva, è tutto vero. Il 19 dicembre, il Consiglio Federale corre ai ripari. La FIGC impedisce l’utilizzo di donne all’interno di squadre maschili, concedendo la possibilità di formazioni miste solamente fino ai 12 anni. Gaucci va su tutte le furie.

«Purtroppo l’idea non l’aveva avuta Blatter», è l’amara considerazione di Lucianone in questa intervista a La Stampa. «L’hanno persino minacciata di non mandarla alle Olimpiadi, hanno usato le minacce per impedirle un diritto che è tutelato dalle carte dell’Onu: la parità dei sessi. Si è spaventata. Avevo in mano la più brava del mondo, atleticamente tosta come un uomo. Sarebbe assurdo cercarne una che vale meno». Al posto di Birgit Prinz, a gennaio arriveranno Zalayeta, Ravanelli e Hubner. Non basteranno per la salvezza.

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