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Emanuele Atturo
Abbiamo molto da imparare da Daniil Medvedev
01 feb 2024
01 feb 2024
In Australia un altro saggio di una grandezza sottovalutata.
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Emanuele Atturo
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Foto di Mike Frey / Imago
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Prima della partita in pochi davano delle possibilità di vittoria a Daniil Medvedev. I bookmakers fissavano la sua quota a 3.15, mentre Sinner era a 1,35. Nel box di Eurosport gli ex giocatori e gli opinionisti avevano come unico dubbio in quanti set avrebbe vinto l’italiano: in tre o in quattro? Sembrava esserci una specie di desiderio di cambiamento, o se non altro di affermazione di un talento considerato più generazionale di quello del russo. «La finale dipende da Jannik Sinner» dicevano tutti.

Su questi giudizi influiva, più di ogni cosa, il fatto che Medvedev fosse rimasto in campo per circa venti ore lungo tutti gli Australian Open, sei più del suo avversario. Un dato che, in effetti, è stato decisivo alla fine dei conti. L’impressione, però, è che su questi giudizi pesi anche una certa sottovalutazione del talento e delle capacità tennistiche di Medvedev. E tutto sommato, a guardare com’è andata la finale, quello che è riuscito a fare in campo, questa sottovalutazione è stata reale.

Medvedev è noto per essere un tennista cerebrale e difensivo. Brilla per le letture tattiche nelle sue partite, e per delle capacità atletiche sovrannaturali, che gli permettono di giocare un tennis reattivo nonostante i quasi due metri d’altezza. In questo si sottolinea soprattutto la bravura di Medvedev a girare attorno a un talento all’apparenza non eccezionale. Durante la finale, però, è stato in grado di stravolgere il proprio piano tattico, e il proprio stile di gioco.

In genere Medvedev cede volentieri il controllo dello scambio al suo avversario, ma nella finale contro Sinner non era consigliabile. Perché di recente ha sperimentato delle sconfitte quando ha lasciato l’italiano libero di colpire in modo aggressivo, e perché tutte quelle ore di gioco non gli permettevano di affrontare un partita troppo dispendiosa. Allora Medvedev ha deciso di giocare aggressivo sin dal primo punto. Forte di una prima di servizio costante e potente, ha tirato forte da tutti i lati del campo tutti i suoi colpi, a costo di sbagliare di più. Un approccio che ha portato dei vantaggi diretti (i punti) e indiretti, perché ha mandato Sinner fuori ritmo e lo ha messo mentalmente a disagio. Nel secondo set, per esempio, Medvedev è calato ma Sinner era così fuori fase che ci ha messo qualche game per ritrovare la strada - cedendo nel frattempo un secondo break, poi decisivo per il set.

Medvedev è così riuscito per metà partita a vincere giocando il tennis di Sinner: tirava meglio di lui, più forte di lui. Era feroce, brillante, accettava il rischio e l’errore. Ha chiuso il primo set con quasi il triplo dei vincenti e degli errori non forzati di Sinner. Era lui, insomma, a produrre spettacolo. Era l’unico modo che aveva per provare a vincere la partita e Medvedev è questo tipo di tennista: uno che sa sempre qual è la cosa giusta da fare. Dal terzo set questa strategia ha cominciato a non pagare più. Non c’è stato un vero crollo: solo una perdita del controllo leggera e progressiva, in cui lo abbiamo visto sempre più opaco e in difficoltà. Però sapevamo del giorno intero passato sui campi, dell’epica delle sue battaglie nei turni precedenti, ed è stato triste vederlo così. Dopo aver lavorato per essere lì per tutta la carriera, e per ventisei ore lungo tutto il torneo, ritrovarsi al dunque senza più energie.

Medvedev però non si è perso d’animo e nel quinto set, pur senza rotta, attingendo a un’energia disperata, ha provato a restare in vita. C’è stato uno scambio in particolare, il più bello della partita, in cui in molti hanno esaltato i colpi di Sinner. Provate però a girare la prospettiva, e a concentrarvi sullo sforzo titanico di Medvedev, che porta in giro i suoi quasi due metri da un lato all’altro del campo, pur col serbatoio vuoto, animato dal semplice rifiuto di arrendersi.

E nonostante in Italia molti di noi tifassero Sinner, è stata dura vederlo perdere così: spendere tutta la propria forza, tutta la propria intelligenza, dare tutto quello che si è in grado di dare, e poi scoprire che non è abbastanza.

Poi lo abbiamo visto andare in conferenza stampa sorridente, ironico, intelligente, brillante. Rilassato, anche, persino gentile e amichevole. Ci ha offerto una delle migliori conferenza post-partita che si siano sentite. Ha analizzato il match con grande attenzione ai dettagli, e con un’onestà non convenzionale. Era strano vedere uno sportivo realmente interessato a condividere con il pubblico l’esperienza vissuta durante il torneo. La versione utopica di una conferenza stampa. Non è facile offrire questo livello d’analisi. Sappiamo quanto possono essere banali gli sportivi ai microfoni, conosciamo la loro diffidenza verso il linguaggio verbale, e per qualsiasi forma di “intellettualizzazione” della prestazione. Fa parte del loro fascino. Medvedev invece è cerebrale in campo, e fuori pare genuinamente interessato all’analisi e alla discussione sul gioco.

Non è il solo nel tennis, a dire il vero, ma lui è più interessante di altri.

Gli hanno ricordato quando, due anni fa, dopo aver perso in cinque set da Nadal, aveva detto «Il bambino che sognava oggi ha smesso di sognare»; e lui ha risposto che oggi sogna più che mai: «e cerco di dare tutto ciò che è mi è possibile per il mio futuro e per il mio presente. E lo amo». Due anni fa era stata troppo dura, emotivamente, vivere quella rimonta mentre tutto lo stadio tifava per il suo avversario. In molti ci siamo messi a tifare per Nadal quel giorno, per tutti i motivi che potete intuire, ma proviamo anche qui a girare la prospettiva, come spesso bisogna fare con Medvedev: quanto deve essere difficile accettare di giocare in un clima così ostile, in cui tutti desiderano il tuo dramma sportivo?

Medvedev in questi due anni ha continuato a mostrare una notevole continuità di risultati. Ha chiuso il 2023 con 5 titoli ATP, di cui uno a Roma, su terra, una superficie su cui fino a un paio d’anni fa non sapeva nemmeno mettere un piede davanti all’altro. Ha iniziato a giocare meglio anche su erba. Non ha mai smesso di lavorare su sé stesso e di migliorarsi. Forse anche perché non è mai stato un predestinato. Quando è arrivato nel circuito era meno quotato di tutti i suoi connazionali che oggi sono più in basso di lui in classifica. Non riceveva wild card, non era un nome da “spingere”. Non aveva una bella storia, né un gioco spettacolare. Era alto due metri, quasi privo di muscoli, già lievemente stempiato. In più gli piaceva non piacere. Nell'estate americana del 2019, quella in cui ha sparso il terrore nel circuito, ha preso le sembianze di una bestia magica che esce dal bosco per andare a saccheggiare un villaggio. Era comparso quasi dal nulla, con questo gioco distruttivo e un attitudine a metà tra il wrestling e il racconto di Gogol. Litigava spesso, con Tsitsipas, o con il pubblico degli US Open, e sembrava tenerci a vestire i panni del cattivo. Il suo senso dell’umorismo sottile e corrosivo era sconvolgente, in un mondo come quello del tennis, in cui si comunica in modo sempre piatto e senza layer.

Eppure non è mai diventato un personaggio molto divisivo. In questi anni Medvedev non è stato amato e odiato, al massimo amato da qualcuno e ignorato da altri. Per i più scettici è un buon tennista per l’interregno attuale del tennis, alle prese con un delicato passaggio tra un’era e l’altra. Un tennista buffo, strano, per come gioca e per come parla, ma in fondo trascurabile. Un tennista destinato a lasciare il posto ai predestinati.

Medvedev non lo è, e questo è uno dei motivi per cui dovremmo ammirarlo di più. Non solo per i risultati ma per l'impatto che sta avendo sul tennis. Bisognerebbe riconoscergli un’influenza che va al di là dei giudizi estetici - se vi piace o non vi piace il suo tennis. La sua influenza sul circuito tennistico è più profonda di quanto siamo disposti ad accettare.

Il suo gioco è un rebus per la maggioranza degli avversari. Le risposte diversi metri dalla linea di fondo, quel modo subdolo di stare nello scambio, in un’apparente difesa pronta a diventare aggressiva. La furbizia con cui manipola tatticamente i suoi avversari. La varietà dei suoi approcci. Con una biomeccanica quanto meno peculiare, Medvedev sembra non saper fare niente, ma in realtà sa fare più o meno tutto, come dimostrato proprio nella finale degli Australian Open. Ha uno dei due o tre migliori rovesci del circuito; uno dei migliori servizi ed è uno dei migliori atleti. In questi anni Medvedev ha posto dei problemi tattici profondi ai suoi avversari, perché batterlo è impresa piuttosto complessa, ed è stato quindi un fattore di diversità nell’eco-sistema tecnico del tennis, accelerandone il cambiamento. Sinner ha più volte detto di essere migliorato giocando con lui; Rublev ha paragonato l’averlo sconfitto al “prendere una laurea”. I giocatori hanno dovuto adattarsi a lui, o copiargli alcune mosse.

Il suo talento è perfettamente contemporaneo. Medvedev non sembra quasi mai il tennista più forte in campo, ma è spesso quello che si adatta meglio. Andy Murray ha detto una volta - parlando di Djokovic - che ciò che divide i buoni giocatori dai grandi giocatori è la capacità di adattamento. È quella a fare la differenza. È anche grazie a questa, del resto, che Sinner è riuscito a vincere la finale. Medvedev è pura resistenza e flessibilità. Non solo all’interno del match, ma all’interno degli stati di forma attraversati nella sua carriera e nei suoi tornei.

Questo Australian Open è quello che ci ha fatto di più ammirare questa qualità, che lo avvicina a Djokovic. Medvedev è arrivato a Melbourne senza giocare tornei ed è sembrato da subito fuori sincrono rispetto al livello richiesto delle partite. Al secondo turno, contro Emil Rusuuvori, una versione indie di Sinner, ha già rischiato di farsi eliminare - replicando quindi l’eliminazione precoce dello scorso anno, quando uscì al terzo turno con Korda. È andato due set sotto, poi ha capito che doveva stare lì e aspettare che il livello del suo avversario scendesse. E così è stato. Poi ha perso un set con Nuno Borges e di nuovo ha giocato una partita durissima, punto a punto, contro l’altro grande sottovalutato del circuito, Hubert Hurkacz. Alla fine di queste partite Medvedev aveva l’aria esaltata di chi prova gusto a mettere così a dura prova sé stesso; poi, col pennarello sulla telecamera, invitava tutti a dormire di più e a dormire meglio. Aveva dichiarato di voler avere un approccio diverso col pubblico, e con le energie che circolano in campo, ed è sembrato più zen, più rilassato, sicuramente più gentile - ma non per questo più piatto o banale.

Infine è arrivata la partita capolavoro, in semifinale, contro l’odiassimo Alexander Zverev. I due si sono affrontati già quasi venti volte, dando vita alla rivalità più ruvida del circuito. Giocano in modo simile, ma Medvedev è più brillante tatticamente, è più lucido mentalmente. Zverev ha sempre mostrato una certa fragilità nei momenti importanti, e Medvedev non si fa scrupoli a usarla a proprio vantaggio, come quei predatori che diventano più aggressivi quando sentono la paura.

Nella serie tv di Netflix Break Point è raccontato un episodio chiave della loro rivalità. Durante una sfida nel torneo di Montecarlo, lo scorso anno, Zverev strappa il servizio al suo avversario e deve quindi servire per il match. Mentre si avvia al cambio campo Medvedev toglie il paletto di sostegno dalla rete. Perché? È una cosa indecifrabile, quindi classica di Medvedev, che infatti manda in tilt Zverev, che si ferma vicino alla rete contrariato. È un gesto piccolo, insignificante, ma il tedesco capisce che è fatto apposta per disturbarlo - e questo fatto lo fa impazzire. Nel tennis qualsiasi micro-variazione alla grammatica del gioco può essere intesa come una provocazione - esiste un sistema semiotico molto rigido. Zverev si innervosisce e comincia a giocar male, e si fa rimontare. Medvedev inizia anche a litigare con qualcuno nel pubblico, se ne sta quasi un minuto con il dito sul naso a zittire qualcuno di imprecisato. Un’altra azione di guerriglia mentale che sortisce i suoi effetti. Medvedev vince la partita, Zverev gli dà una stretta di mano passivo aggressiva e dopo definisce Medvedev «Uno degli sportivi più scorretti del circuito». Nella serie è raccontato tutto questo, e dopo vediamo Medvedev essere eliminato al primo turno del Roland Garros e Zverev commentare così: «Credo nel karma».

Alla semifinale dell’Australian Open ci siamo ritrovati in una situazione ormai classica. Zverev aveva battuto Alcaraz ai quarti e continuava a giocare un tennis noioso ma difficilmente attaccabile. Va due set sopra, poi Medvedev comincia a essere più aggressivo, ad accorciare gli scambi. Fa qualcosa di diverso. Chiama spesso Zverev a rete, per fargli giocare i colpi su cui è meno a proprio agio, per mandarlo fuori fase. Lui, nel frattempo, è riuscito a uscirsene con qualche volée brutta e geniale come certa outsider art.

Meme di Andrea Serra dal gruppo B/v/blik.

Soprattutto, serve benissimo. Non è la sua giornata, ma sa che quando si arriva al tiebreak tutto può succedere, non sempre vince il migliore. Così riesce a vincere il tiebreak del terzo, e poi a issarsi fino al tiebreak del quarto. Lì c’è la sua cappella sistina.

Zverev è 5-4 sopra nel tiebreak e ha due servizi a disposizione. Gioca il primo punto attanagliato dal terrore. Si mette dietro a remare in attesa dell’errore dell’avversario; Medvedev annusa l'odore del sangue, prende coraggio e con aggressività vince il punto. Sul 5 pari uno di quei momenti in cui lo sport sembra volerci dire qualcosa. Servizio forte, Medvedev prova a bloccare la risposta, che però prende la stecca e finisce un millimetro oltre la rete. La faccia di Zverev è di uno che si sente preso per il culo dal destino.

Punto dopo: ace. Il quinto set è stato solo la rappresentazione di un tennista che deve giocare ma in realtà è morto ed è alla deriva, Zverev. Questo tipo di manipolazione mentale, questa capacità di entrare sotto pelle a certi avversari, è davvero solo di Medvedev. A fine partita esulta e sembra gridare “Karma” verso il suo angolo: cioè lui la personificazione del karma invocato da Zverev nella puntata di Break Point. Chi ci offre questo tipo di storyline da wrestling nel tennis? (Lui poi ha negato tutto, credete a ciò che volete).

A rendere speciale questa rimonta il tangibile squilibrio di tenuta psicologica fra i due giocatori. Era troppo chiaro, a un certo punto, che Zverev stava colpendo meglio, ma Medvedev governava il piano intangibile. Aveva pochissime carte tra le mani, ma se le è giocate tutte.

Questa partita ha dimostrato quanto Medvedev non sia un "perdente", come rischia di essere etichettato dopo aver perso la quinta finale Slam sulle sei disputate. Dopo essere diventato il primo giocatore a perdere due finali Slam dopo essere stato in vantaggio di due set. Gli si farebbe un grande torto a considerarlo tale, visto che in questo torneo si è arreso solo a un avversario più forte, e se ne è potuto andare con la sensazione, rara, di non aver lasciato nulla all'intentato.

«Il tennis è uno sport da alti e bassi» ha detto Medvedev nella sua conferenza post-finale, ed è ciò che ha reso così bello quest’ultimo Australian Open. Nelle partite di Medvedev c’è stato tutto: tattica, atletismo sfrenato, cambi di punteggio improvvisi. Non era in forma, non colpiva bene, ma ha sfoderato tutta la sua tenacia, e la sua intelligenza, per vincere partite che non poteva vincere, arrivare in finale, e spingersi a una manciata di punti dal trionfo, battendo il giocatore del momento. Pochi sport offrono la vastità dello spettro emotivo e competitivo del tennis tre su cinque, ma sono soprattutto i giocatori come Medvedev a mostrarcelo. La loro capacità di vivere i momenti della partita, gestire le energie e i flussi del match, e cogliere le possibilità di riscatto che una partita di tennis sa sempre offrire, se si è abbastanza presenti per coglierle.

A tennis non vince sempre il più forte, ci ricordano diversi maestri del gioco, ma pochi giocatori hanno capito quanto è profonda questa verità.

Se, come ci piace pensare, lo sport è una metafora della vita, abbiamo molto da imparare da Daniil Medvedev.

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