Pubblichiamo un estratto di “A volte occorre perdere”, intervista a Pietro Mennea del giornalista Michele Muscia del 7 settembre 2000, edita in un libro da Edizioni di Comunità. Mennea all'epoca ricopriva la carica di deputo al Parlamento Europeo. Se volete acquistare il libro potete farlo cliccando qui.
Sono contento che lei abbia accennato alla parola democrazia. Vede, non può esistere sport senza democrazia, poiché i due concetti sono intimamente legati. Prenda, ad esempio, l’aggettivo “sportivo’’ inteso nel suo senso più lato: sportivo è divenuto sinonimo di leale, tollerante, sincero, rispettoso nei confronti degli altri, ben disposto a riconoscere e premiare il valore altrui. In una parola, il tipo sportivo e quello democratico finiscono con l’essere la stessa persona, portatrice della medesima identità, ovvero di analoghe connotazioni psicologiche e comportamentali. Lo spirito democratico deve necessariamente indirizzare tutto il mondo sportivo, sia per quello che concerne la gestione di esso, sia per la pratica effettiva. Agli atleti, professionisti o dilettanti che siano, vanno attribuite le medesime possibilità di riuscita, condizione senza la quale lo sport perde le sue caratteristiche etiche e diviene soltanto una delle molte epifanie del malaffare. Il valore più alto della disciplina sportiva è proprio nella sua capacità di essere veicolo privilegiato dell’etica e, per di più, generale, poiché a tutti accessibile.
Ai fini pratici, in quale modo lo sport può migliorare la società nel suo complesso?
È mia convinzione, finalmente condivisa da molti colleghi parlamentari, che lo sport rappresenti la tribuna ideale per la democrazia sociale e che per il suo tramite sia possibile porre in essere una concreta e capillare lotta contro fenomeni negativi che vanno diffondendosi nelle nazioni progredite dell’Occidente europeo e non solo. Mi riferisco all’allarmante manifestarsi dell’esclusione sociale, della violenza, del razzismo, della xenofobia, ovvero di quel nefasto insieme di fenomeni che all’inizio di questo nuovo millennio vengono a caratterizzare negativamente la miglior parte delle società, cui è molto difficile far fronte. Si tratta di veri mali sociali, da combattere e da distruggere, prima che si riproducano a tal punto da non consentire più alcun intervento.
Siamo ancora in tempo a preservare la “salute sociale”, curandola anche con lo sport, per il cui tramite, io penso, sarebbe addirittura possibile edificare un possente argine al dilagare della criminalità organizzata, intervenendo nei bacini sociali di arruolamento di manodopera criminale.
È un po’ difficile cogliere il nesso tra lotta alla criminalità e sport. Può chiarirci questo concetto?
Certamente! Le sarà capitato, qualche volta, di addentrarsi nelle strade desolate delle grandi periferie urbane, le quali vanno assumendo sempre di più le sembianze di veri e propri ghetti, in cui stagna l’emarginazione sociale. A farne le spese maggiori sono i giovani che hanno la sventura di nascervi e di dovervi condurre la loro grama esistenza. Per giunta, essi costituiscono la maggioranza della popolazione giovanile italiana. Osservi i loro volti, se le dovesse capitare di incontrarli riuniti in capannelli. Le loro espressioni denunciano una chiara assenza di motivazioni esistenziali, gli occhi annoiati e spenti dicono che il loro animo è preda della mancanza di stimoli.
In tali condizioni non è affatto sorprendente che essi cadano nei circoli più viziosi, nelle grinfie strette della droga, in un percorso che li conduce dall’iniziale consumo allo spaccio. Il loro vuoto interiore, che scaturisce dall’assenza di punti di riferimento edificanti, viene spesso occupato da pericolose ideologie foriere di violenza. La loro rabbia, accompagnata da un notevole sentimento di rivalsa nei confronti di una società che li trascura, li getta tra le braccia degli arruolatori di mafia e di camorra, i quali, con lusinghe economiche e sociali, li inducono a dichiarare guerra al mondo benpensante, che si accorge di loro soltanto quando le loro mani stringono la pistola o il mitra. Questo è il possibile destino di persone normali, che, pur non necessariamente educate a una mentalità delinquenziale, finiscono per delinquere perché abbandonate a sé stesse.
È proprio in tali disagiati contesti sociali che lo sport potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nella prevenzione prima e nel recupero successivo dei giovani che cadono preda di tentazioni delinquenziali. La pratica sportiva potrebbe catalizzare le loro energie, che verrebbero distolte da altre pratiche. Potrebbe fornire una speranza di riscatto che rifulgerebbe come un sole nella notte della loro disperazione. Potrebbe essere elemento di coesione, in modo tale da eliminare il loro senso di isolamento e di esclusione sociale. Diffondere lo sport, creando strutture agibili sul territorio, favorendo la nascita e lo sviluppo di associazioni sportive amatoriali e dilettantistiche, magari finalizzate alla solidarietà, potrebbe comportare la salvezza di un’innumerevole quantità di giovani altrimenti condannati a perdersi nei pericolosi e contorti meandri della devianza individuale e sociale, nel labirinto della criminalità dalla quale, una volta entrati, difficilmente si riesce a uscire. Di questa verità i governanti europei incominciano a rendersi perfettamente conto.