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Emiliano Battazzi
A sangue freddo
25 gen 2016
25 gen 2016
La Juventus continua la sua ascesa mentre Spalletti fatica a risollevare la Roma.
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Emiliano Battazzi
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A fine agosto, dopo la partita di andata vinta dai padroni di casa, nessuno avrebbe potuto immaginare che a questo Juve-Roma ci saremmo arrivati così: come nella sceneggiatura di Face/Off le due squadre si sono scambiate le sembianze: i bianconeri in serie positiva con 10 vittorie consecutive e ad un passo dal Napoli capolista; i giallorossi in una profonda crisi di gioco e di risultati, con Spalletti al posto di Garcia,  addirittura quinti in classifica.

 

La posta in palio era dunque alta per entrambe le squadre: la Juve non poteva permettersi di perdere terreno rispetto al Napoli che aveva vinto a Genova; la Roma aveva bisogno di punti per tornare almeno a pensare al terzo posto. Da questi presupposti è nata una partita bloccata, poco spettacolare e con poche occasioni, un classico della Serie A quando la posta in palio è alta. Ma da questi 90 minuti si è capito molto sulle due squadre, sulle loro ambizioni, sul loro modo di stare in campo e di interpretare le situazioni di gioco.

 





Che sia una Roma diversa, quella che si è presentata ieri alla Juventus Stadium rispetto a quella della gara di andata all'Olimpico, è lapalissiano. Ma è altrettanto vero, anche se meno evidente guardando il modulo, che quella di oggi sia completamente un'altra Juventus.

 

Il modulo, appunto, non è cambiato: quel 3-5-2 che nella gara d’andata aveva tenuto i bianconeri fuori dalla partita, almeno fino all’ingresso di Pereyra con il conseguente passaggio al 4-3-1-2. Il 3-5-2 che è stato comunque la coperta di Linus nella quale Allegri e i senatori del gruppo juventino si sono rifugiati, dopo la

di Sassuolo che ha rappresentato il punto di ritorno della stagione dei bianconeri.

 

All’Olimpico, la Juventus aveva sofferto la Roma per due motivi: per l’atteggiamento troppo conservativo dei terzini Lichtsteiner ed Evra, che si schiacciavano in basso sulla linea dei centrali e lasciavano ai tre centrocampisti il compito di coprire enormi porzioni di spazio, con la Roma che riusciva a consolidare il possesso lungo le catene laterali; per le difficoltà nel far salire il pallone ad inizio azione, con la pressione in parità numerica sui centrali difensivi avversari degli attaccanti della Roma, capaci di schermare le linee di passaggio verso gli esterni tagliando fuori anche un poco convincente Padoin, regista per un giorno.

 

La Juventus ha mostrato miglioramenti nell’organizzazione della fase di non possesso, partita dopo partita: sono stati 9 i gol subiti nelle prime 10 partite, 6 nelle successive 11. Il compito di Lichtsteiner ed Evra ieri è stato in qualche modo semplificato dal cambio di modulo imposto da Spalletti. La scelta di schierarsi a specchio, soprattutto nel caso del 3-5-2, crea un elevato numero di duelli uomo contro uomo per tutto il campo, e gli esterni di entrambe le squadre non sono venuti meno a questa legge creando coppie di legami covalenti.

 

Inscindibili per tutta la partita, in qualche modo si sono annullati l’un l’altro, controllandosi in entrambe le fasi di possesso.

 



 

Quelli juventini, però, hanno avuto occasioni per mostrarsi più efficaci nelle chiusure in fascia. Uno tra Lichtsteiner ed Evra usciva alto sulla linea dei centrocampisti, a seconda del lato dal quale la Juventus veniva attaccata: in fase di non possesso, i bianconeri si difendevano con un 4-4-2 molto compatto, nel quale entrambe le punte si abbassavano sotto la linea della palla.

 

Questo succedeva quando la Roma riusciva a salire con la palla sopra la linea di centrocampo. E se i giallorossi provavano a verticalizzare verso la trequarti avversaria, l’atteggiamento molto aggressivo dei centrali bianconeri nella ricerca dell’anticipo (forti della copertura data dagli altri due compagni) ha portato alla riconquista del possesso nella maggior parte dei casi, o alla limitazione dei danni negli altri.

 



 

La Juventus ha potuto cominciare l'azione senza troppe difficoltà, in parte proprio per la mancanza di pressione del tridente avversario che c'era stata all'andata. Ad inizio partita era evidente il tentativo di Dzeko, Salah e Nainggolan di restare sulle proprie posizioni, senza andare direttamente in pressione sui centrali avversari, provando a schermare quante più linee di passaggio possibile. Il posizionamento di Salah e Nainggolan sulla stessa linea, che era pensato per chiudere contemporaneamente Khedira e Lichtsteiner da un lato e Pogba e Evra dall’altro, si è rivelato anche efficace, ma Dzeko da solo non riusciva a contrastare efficacemente i movimenti orizzontali di Marchisio sul giro palla dei difensori bianconeri, che puntualmente potevano consegnargli il pallone.

 

Una volta ricevuta palla oltre la prima linea di pressione, Marchisio poteva servire uno tra Khedira, Pogba o Dybala. Mentre Lichtsteiner e Evra spingevano i loro omologhi in basso sulla linea dei difensori, Vainqueur e Pjanic erano costretti a coprire da soli enormi porzioni di campo tanto che, fino al cambio tattico operato da Spalletti intorno alla fine del primo tempo, la Juventus aveva sempre un uomo in condizione di ricevere palla tra le linee.

 



 

Ma al di là degli smarcamenti alle spalle di Vainqueur e Pjanic, è stata la capacità di svariare su tutto il fronte d’attacco di Paulo Dybala la chiave tattica che ha marcato maggiormente la partita bianconera. La scelta dei difensori giallorossi di non seguire i suoi movimenti incontro è stata troppo conservativa, paragonata anche all’atteggiamento della difesa a tre nell’altra metà campo: arrivato sulla linea dei mediani, Dybala poteva ricevere palla e girarsi verso la porta, senza nessuno che provasse a togliergli palla.

 

Ci ha pensato Spalletti (con il passaggio dal 3-4-2-1 al 3-5-1-1 in fase di non possesso) ad arginare le iniziative dell'argentino: arretrando Salah e avanzando Nainggolan su Marchisio, affollando la mediana e costringendo Dybala a svariare in zone di campo meno pericolose.

 

La sensazione era che una partita così bloccata potesse risolversi solo attraverso le individualità, e la classe dei giocatori sulla mediana della Juventus è risultata determinante. Khedira e Pogba sono risultati i giocatori più pericolosi della Juventus, rispettivamente con 3 e 2 occasioni create a testa: Khedira è un giocatore dall’intelligenza tattica straordinaria, difficile da marcare perché alterna movimenti in ampiezza a fughe in verticale; Pogba è fisicamente e tecnicamente straripante, a volte lui stesso sembra far fatica nel controllarsi.

 



 

Il loro coinvolgimento nell’azione del gol partita è tutt’altro che casuale: sul pallone perso da Florenzi, Khedira stringe la posizione in mezzo e permette a Pogba di infilarsi nel buco lasciato dall'esterno giallorosso. Il tedesco serve Dybala, ne riceve la sponda e fa correre di prima il pallone sulla corsa del francese. Pogba poi servirà l’assist vincente per Dybala in area di rigore, che segna grazie ad una meccanica di controllo e tiro rapidissima, alla Agüero.

 

Completa il trio Marchisio: non è un giocatore appariscente, ma le sue scelte di gioco non sono mai banali e non si limitano all’appoggio laterale. Marchisio è un giocatore dal sangue freddo e quando riceve palla dove dovrebbe scottare, davanti alla difesa, usa bene il corpo per proteggere il pallone, con la consapevolezza della propria posizione in campo e di quella dei compagni in ogni momento.

 

La Juve ha controllato la partita e tutti gli indicatori statistici lo confermano: 14 giocate utili nell’area avversaria hanno fruttato 8 tiri dall’interno dei 16 metri; ha avuto predominio nei contrasti e nei duelli aerei; ha recuperato 52 palloni, il 21% dei quali nella metà campo avversaria; ha effettuato un totale di 630 passaggi con un vantaggio territoriale del 59%, confermato dal dato sul baricentro alto della squadra (54,5 metri).

 

Allegri ha dato l’impressione, nell’atteggiamento tenuto nell’area tecnica, così come nelle sostituzioni conservative, di tenere saldamente le redini del match nelle proprie mani. Il cambio più “rischioso” lo ha operato quando il giro palla della sua squadra ha rallentato troppo ed ha provato a inserire Cuadrado per rompere l’arroccamento della Roma. Forse, anche confortato dall’atteggiamento dell’avversario, Allegri ha aspettato che gli venisse consegnata la partita. Una strategia ragionata che mostra, oltre a una pazienza che può irritare qualcuno, una sicurezza nei mezzi della propria squadra che si trasmette alla squadra stessa. E che da 11 partite a questa parte, sta dando i risultati previsti dallo stesso Allegri.

 





La Roma scesa in campo a Torino sembrava avere un ordine logico ben elaborato: Spalletti ha deciso di adottare il 3-4-2-1 per sopperire ad alcuni difetti della squadra e per limitare alcuni pregi della Juve. La difesa a tre serve sia per iniziare più agevolmente l’azione (è questo il senso di De Rossi difensore centrale) che per avere superiorità numerica contro i due attaccanti avversari; i due uomini tra le linee (Nainggolan e Salah) sono importanti per dettare linee di passaggio e aiutare Dzeko, ma soprattutto per bloccare l’inizio azione avversaria con un 3 vs 3. I due esterni, Florenzi e Digne sono in grado di coprire tutta la fascia, protetti alle spalle rispettivamente da Manolas e Rudiger, abili nel coprire la profondità.

 

Insomma il piano gara sulla carta sembra ben studiato, ma il campo scioglie ogni certezza dopo pochi minuti: la Roma difende troppo bassa, esce con lentezza dalla propria trequarti e le distanze tra i giocatori sembrano ancora una volta casuali. In particolare, i giallorossi non riescono a bloccare l’inizio dell'azione juventina: dietro ai tre giocatori preposti a bloccare le linee di passaggio ci sono compagni timorosi e che non accompagnano.
 


Nainggolan e Salah esterni per bloccare l’inizio azione della Juve, ma i conti non tornano: Dzeko deve dividersi tra Bonucci (fuori inquadratura a destra) e Marchisio; Pjanic segue Pogba, ma Dybala si abbassa e manda in tilt il sistema: nessuno della difesa a tre lo segue e Vainqueur non sa bene chi marcare (anche Khedira è scappato di lato).



 

Il risultato è che la prima linea di pressing diventa ben presto inutile, perché i centrocampisti della Juve riescono sempre a ricevere il pallone: Marchisio è spesso libero, anche di pensare il passaggio; a Bonucci a volte viene persino concesso campo per salire ed aiutare la squadra.  Il centrocampo della Roma, così, gira a vuoto, sempre in ritardo e soprattutto senza pallone.

 


La Roma si è abbassata molto e difende con una sorta di 5-4-1, ma le distanze tra i reparti sono enormi: qui il centrocampo è piatto, Marchisio è senza pressione e può servire l’inserimento tra le linee di Khedira. Ma anche Dybala e Pogba sono liberi per la ricezione: la difesa a tre è troppo bloccata.



 

In quei 25 minuti di sbandamento, la linea difensiva della Roma resta solida, concede poco e nulla nonostante i movimenti siano ancora poco coordinati: ma per salvare il salvabile è costretta a rinunciare alla fase offensiva e lascia il controllo della partita e del pallone agli avversari.

 

Per alcuni minuti, la Roma difende addirittura con un 5-4-1 basso, che isola completamente Dzeko e rende pressoché impossibile una transizione offensiva valida. In preda ad un antico vizio, i giallorossi si schiacciano verso la propria porta (baricentro medio molto basso: 44 metri) e non provano mai a recuperare palla agli avversari (solo 6 nella metà campo bianconera; l’altezza media dei palloni recuperati è davvero molto bassa, solo 27.8 metri).

 


Tutti fermi: Salah riceve ma scappa indietro, con Digne a due passi. Vainqueur e Pjanic coprono letteralmente la stessa porzione di campo ma camminano con flemma all’indietro: il bosniaco potrebbe muoversi in avanti per dare una linea di passaggio al compagno. Nel frattempo pensate alla solitudine di Dzeko che è da solo, lì da qualche parte nella trequarti avversaria (cioè fuori inquadratura a destra).



 

Eppure lentamente la squadra di Spalletti comincia ad uscire dall’assedio: Nainggolan sembra quasi seguire Marchisio a uomo, la circolazione bassa diventa più ragionata e i reparti si compattano, per rendere più facile uscire palla al piede dalla morsa bianconera.

 

Con il pallone, però, la Roma non riesce a rendersi pericolosa: la coppia offensiva Salah-Dzeko sembra quasi non conoscersi e esegue spesso dei movimenti sbagliati. Nel classico set delle due punte, una dovrebbe venire incontro per permettere all’altra di attaccare la profondità: e per ovvi aspetti fisici, dovrebbe essere Salah a puntare lo spazio dietro la linea difensiva avversaria. Invece l’egiziano si abbassa spesso tra le linee, rendendo così inoffensivo sia il suo gioco (fatto di troppi tocchi e poca visione di gioco: non sembra proprio a suo agio spalle alla porta) che quello di Dzeko (che da solo non può bucare i tre centrali bianconeri).

 


Spalletti corre ai ripari, cerca di avvicinare Salah a Dzeko e sistema Nainngolan da trequartista difensivo per coprire Marchisio.



 

L’altro aspetto che frena la costruzione del gioco dei giallorossi è la gestione del campo della coppia Pjanic-Vainqueur. Il bosniaco dovrebbe essere il vero regista della squadra ma fatica a trovare le linee giuste di passaggio e spesso si pesta i piedi con il francese, che sembra molto più a suo agio davanti alla difesa (3 contrasti vinti, 1 pallone intercettato e 5 recuperati).

 

Il risultato è che la Roma sembra quasi giocare con un doble pivote che scollega ancora di più i giocatori offensivi, mentre nel frattempo Nainggolan fluttua in un ruolo molto particolare ma che ancora non sente suo: così i giallorossi attaccano sempre con pochissimi uomini, con poca ampiezza e senza inserimenti in profondità.

 


Al rientro in campo la Roma cambia approccio: qui Digne attacca la profondità  ma non viene servito da un testardo Salah. I giallorossi almeno provano ad attaccare in ampiezza con entrambi gli esterni.



 

I 15 minuti dell’intervallo servono a Spalletti per spiegare bene cosa vuole dalla sua squadra, che forse non lo aveva capito bene nella riunione tecnica. La Roma torna in campo ed inizia a fare tutto quello che avrebbe dovuto fare prima: difendere in avanti, attaccare sia in ampiezza che in profondità, insomma non farsi schiacciare completamente.

 

Lo fa, però, con l’impressione di essere molto timida: con dei tentativi mai davvero credibili e un accompagnamento offensivo che è sempre al limite della desolazione.

 


Su una palla persa, finalmente la Roma difende in avanti e non scappa indietro: qui De Rossi sta andando su Dybala mentre Rudiger controlla Mandzukic. Siamo nella trequarti della Juve.



 


La Roma riconquista il pallone e Nainggolan attacca subito lo spazio alle spalle dei centrocampisti bianconeri: perfettamente trovato da Pjanic, il belga non riuscirà però a servire Salah, se Chiellini non avesse intercettato l'egiziano sarebbe andato in porta.



 

La Roma sembra uno studente poco preparato, che sta dando il massimo per prendere una sufficienza con la paura che un errore marchiano possa rovinare il suo compito. Incredibilmente è proprio quello che succede sul gol juventino: Florenzi ha la possibilità di saltare Evra sull’esterno ma inspiegabilmente prova ad attaccarlo internamente, e sbaglia (il più  impreciso dei giallorossi: 15 passaggi sbagliati e 23 palle perse, nessuno peggio di lui in campo). Sulla transizione negativa i giallorossi sono scoperti e accumulano errori: De Rossi prova l’anticipo senza riuscirci, Pogba si inventa un passaggio laser ma Rudiger non segue il movimento di Dybala, oltre a stargli troppo lontano.

 

La squadra di Spalletti prende gol in una delle rarissime occasioni in cui si è fatta trovare scoperta, pagando caro il peccato di

di Florenzi: nonostante gli ultimi minuti con la difesa a 4 per avanzare De Rossi, la Roma non riesce a rendersi pericolosa. I giallorossi perdono la partita e anche ogni ambizione Scudetto: ma a questo punto ha ragione Spalletti, è difficile parlare di classifica con una squadra che ha così tante difficoltà ad elaborare calcio, con una naturale tendenza a schiacciarsi in difesa e senza automatismi per la creazione di gioco. Va tenuto conto anche del nervosismo accumulato fin qui, che il passaggio da un

, a uno che dice “Devi stare zitto” al momento del cambio a Florenzi, potrebbe ulteriormente esasperare.

 

La strada per la guarigione della Roma è ancora lunga e la sensazione è che Spalletti non avrebbe mai immaginato di trovarsi così indietro: il mercato non potrà togliere o aggiungere nulla, perché questa squadra ha bisogno di ritrovare in un modo di stare in campo e di farlo con continuità per 90 minuti. Semplice, forse, ma non scontato. Dispiace, anche, vedere che in un momento così delicato per la Roma, De Rossi ancora una volta non sia riuscito a controllarsi, mostrando (se ce ne fosse stato altro bisogno) il lato oscuro di una cultura che delega tutto al risultato, senza vergogna per un'ignoranza ormai d'altri tempi.

 

 

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