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Foto di Jason Miller / Getty
NBA Lorenzo Bottini 1 giugno 2017 7'

5 teorie complottiste per i playoff NBA

Nulla è reale, tutto è lecito.

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In un’epoca dominata dalle ipotesi di complotto di ogni foggia e misura, ovviamente neanche l’NBA può scampare al terrore di ritrovarsi Enzino Iacchetti capo supremo nel Nuovo Ordine Mondiale. Non che la lega più Bilderberg del mondo fosse immune alle ricostruzioni più fantasiose e intricate: dal ritiro di Michael Jordan dovuto più alla sua passione per le scommesse che per il baseball alle innumerevoli teorie cospirazioniste sulle palline della Lottery guidate dall’invisibile mano della lobby giudaico-massonica, niente è rimasto impunito. Quindi non c’è da stupirsi se anche questi playoff hanno dato vita ad intriganti narrazioni sotterranee, invasioni di rettiliani e agenti del KGB travestiti da georgiani di due e dieci. Ecco quelle che ci hanno convinto di più.

 

 

Zaza Pachulia, the ankle-killer

 

Ammetto di aver trovato questa ipotesi piuttosto deludente. Tutto il polverone alzato dopo l’infortunio di Kawhi Leonard speravo fosse una abile mossa per coprire chissà quale indicibile segreto di stato. Invece ci si è appiattiti sul trito “l’ha fatto/non l’ha fatto apposta” che sa più di ora di ricreazione alle elementari che di Nuovo Ordine Mondiale. L’unica eccezione convincente è stata la teoria del “bad karma” di Bruce Bowen, che dopo anni è tornato come il fantasma dei Natali passati per terrorizzare i San Antonio Spurs.

 

Quel piede di Zaza Pachulia così perfettamente posizionato nell’area di atterraggio di Leonard poteva essere sfruttato con più inventiva, più estro. Ad esempio: nessuno ha ipotizzato che l’infortunio non fosse di natura fisica ma geopolitica, e che Zaza in realtà è uno degli ultimi agenti del KGB, scongelato in un momento storico in cui il Cremlino sta intessendo innaturali accordi con la Casa Bianca per minare ancora di più l’equilibrio democratico degli States? E quando Gregg Popovich ha apertamente chiesto il linciaggio in pubblica piazza del georgiano non era nelle vesti di capo-allenatore, ma in quelle scure di ex agente della CIA. Sotto il piede di Pachulia e sotto il piede di Kawhi ci sarebbe quindi una oscura macchinazione che parte dalla Stanza Ovale e investe tutti i livelli di Intelligence a stelle e strisce. Leonard è stato costretto ad abbandonare la serie tre giorni dopo il licenziamento del capo della FBI James Comey a causa delle sue indagini sui rapporti tra il Presidente Donald Trump e la Russia. Coincidenze?

 

Ecco, non ci voleva poi molto a creare una bella cospirazione invece di continuare a chiedersi se “lo ha fatto davvero apposta”. Ma è ovvio che lo ha fatto apposta! Altrimenti che complotto è? Ma che devo insegnarvelo io come si fa?

 

Grado di complottismo: I tre giorni del Condor

 

 

Boston on TNT

 

Mentre Golden State, San Antonio Cleveland erano in pantofole ad aspettare di iniziare le finali di Conference, Boston e Washington si giocavano l’accesso in una infuocata Gara-7. Il broadcast che avrebbe trasmesso la partita, TNT, lanciando la sfida sui suoi canali social commetteva però un tragico errore: l’immagine di copertina del profilo Twitter di “NBA on TNT” raffigurava Kawhi Leonard, Steph Curry, LeBron James e Isaiah Thomas; ovvero i tre giocatori simbolo delle squadre qualificate e il piccolo grande playmaker dei Celtics – quasi a suggerire che le finali di Conference avrebbero visto in campo questi attori principali. Ovviamente il popolo della rete non si è lasciata sfuggire l’occasione per intessere la trama di un nuovo, sottilissimo complotto.

 

complotto1

 

Tra i tifosi Wizards infuriati e alienisti che trovavano piramidi nascoste nei tatuaggi di IT, ovviamente Boston ha vinto la gara ed eliminato Washington, esattamente come l’headliner di TNT aveva predetto. Solamente che quell’immagine era stata issata lì ad inizio playoff, quando le squadre erano ancora 16 e le quattro raffigurate erano state scelte perché semplicemente erano le migliori due delle rispettive conference durante la Regular Season. A volte i complotti sono divertenti finché non combaciano con la più probabile delle realtà.

 

 

Grado di complottismo: Big Pharma

 

 

LeBron Undefeated

 

LeBron James ha giocato dei playoff da miglior giocatore al mondo, dominando in ogni aspetto e vincendo ogni singola partita. Da quando si era trovato con le spalle al muro durante le ultime Finals LeBron e i Cavs non si erano più guardati indietro e avevano vinto tredici partite di seguito. Un percorso perfetto che si è improvvisamente interrotto nella terza gara contro Boston. I Celtics arrivavano a Cleveland dopo due sberle prese in casa al Garden e con Isaiah Thomas ai box per il resto della stagione: nessuno si immagina che fossero in grado di impensierire i campioni in carica. Secondo i bookmakers erano sfavoriti di diciassette punti, ed effettivamente hanno chiuso all’intervallo con uno svantaggio in doppia cifra, lasciando presagire uno svolgimento molto simile anche nella ripresa. Invece al rientro in campo è successo l’inimmaginabile: trascinati da Marcus Smart e Jonas Jerebko i Celtics hanno rimontato fino a mettere la testa avanti con un canestro di Avery Bradley sulla sirena.

 

Una vittoria sorprendente sulla quale pesa il no-show di James che chiude con 11 punti e 4 su 13 dal campo, la sua peggiore prestazione ai playoff da Gara 4 contro Dallas nel 2011. Ovviamente questa partita ha avuto un peso minore visto che nelle successive due i Cavs si sono agevolmente sbarazzati dei ragazzi di Stevens con un Gentlemen’s Sweep. La performance di LeBron però ha fatto rizzare le antenne a quelli che ne sanno – perché fidarsi è bene ma, fidati, non fidarsi è meglio. Non è normale che il più forte giocatore del mondo lasci la sua squadra perdere addirittura non segnando neanche un punto nel quarto quarto. Ci deve essere per forza qualcosa sotto, ovviamente, altrimenti non ne staremmo parlando qui.

 

La teoria più accreditata è che LeBron abbia volutamente perso per non arrivare da imbattuto alle Finals, scaricando tutta su Golden State la pressione della “Perfect Postseason”. Con perfido trucco psicologico a metà tra Sun Tzu e Francis Underwood, LeBron avrebbe copiato la tattica di Napoleone ad Austerlitz, scoprendo il fianco per attaccare al centro. Il celebre “Pride” sarebbe servito da alibi per inscenare una finta resa atta a destabilizzare l’equilibrio dello spogliatoio dei Dubs, gonfiando con l’elio l’ego di Draymond Green. Come tutti i membri della massoneria, anche LeBron ha smentito categoricamente di far parte di un progetto più grande di lui e che semplicemente era stato debilitato da un attacco virale. Noi, giustamente dubbiosi, attenderemo le Finals che per l’occasione verranno trasmesse anche in chiaro su Rai Due con il commento di Roberto Giacobbo.

 

Grado di complottismo: Covfefe

 

 

I gemelli Morris

 

 

Durante la prima partita delle semifinali di Conference tra Wizards e Celtics, Al Horford inaugura la serie di undercut mettendo il suo piedone sotto quello di Markieff Morris che all’atterraggio non trova il parquet ad accoglierlo, ma la gomma delle Nike avversarie. Risultato: distorsione della caviglia con relativo interessamento al ginocchio. E se un cyborg come Kawhi ha dovuto abbandonare la contesa per lo stesso motivo, è impensabile che un essere umano apparentemente normale come Markieff sia in grado di giocare ancora a basket nella sua vita. Invece solo pochi giorni dopo è lì pronto per gara-2 come se non fosse successo niente.

 

Come si può spiegare una guarigione così miracolosa? Non è fisiologicamente plausibile che un atleta dopo essere uscito sulle stampelle sia in grado non solo di giocare, ma di giocare anche bene, segnando 16 punti in 27 minuti. Semplicemente non si può. L’unica soluzione è che a scendere in campo con la divisa numero 5 dei Wizards non fosse Markieff, ma – COLPO DI SCENA – suo fratello gemello Marcus.

 

Marcus e Markieff non sono solo gemelli eterozigoti, ma hanno fatto in modo di continuare questo scherzo della genetica anche fuori dalla pancia della mamma, vestendosi in modo identico, tagliandosi i capelli dallo stesso barbiere e soprattutto facendosi gli stessi tatuaggi.

 

we really don't talk enough about how Marcus and Markieff Morris have 100% identical tattoos pic.twitter.com/djm48PGkJJ

— Rodger Sherman (@rodger_sherman) 3 maggio 2017

 

Inoltre Marcus, avendo i suoi Detroit Pistons mancato i playoff, non aveva nulla da fare e spesso seguiva le partite del fratello allo stadio con la maglia numero 5 di Washington. Loro stessi hanno ammesso anni fa di aver fatto una cosa del genere durante una partita del circuito AAU, durante la quale uno dei due si era infortunato e l’altro era stato espulso per falli. Ora: non voglio dire che due gemelli uniti da una simbiosi talmente forte da non poter giocare in squadre diverse fino a che non sono arrivati a Phoenix, che hanno lo stesso conto bancario su cui vengono versati i rispettivi stipendi divisi in parti uguali (sul serio) e che hanno segnato gli stessi punti di media questa stagione (14 per entrambi) si possano realmente scambiare durante una partita di playoff… ma altrimenti per quale motivo si sono fatti tutti i tatuaggi uguali?

 

Grado di complottismo: Paul McCartney

 

 

Toaster Klay

 

Questa è senz’altro la mia teoria complottistica preferita, anche perché in realtà non è una teoria vera e propria. Ma cominciamo dai fatti. Il 28 febbraio Kevin Durant si infortuna e Golden State perde quattro delle successive sei partite, incapace di trovare un nuovo equilibrio. Poi Klay Thompson firma un tostapane. Un tale che su Twitter si fa chiamare Ronnie – GSWToaster ha rinunciato ad una regale colazione per compiere un disegno più grande di lui.

 
tostapane

 

La faccia di Klay dimostra che non sa quanto quella firma cambierà la sua vita (o che Klay è sempre e comunque fuori posto: questa però è la mia personale teoria complottistica). All’inizio pensa che sia uno scherzo, ma dopo aver visto sullo stesso tostapane le firme di Draymond Green e David Lee si decide e imprime la sua sigla. Ok, ora è arrivato il momento di svelarvi che questo non è un semplice tostapane ma è un tostapane dei Golden State Warriors e il tostapane dei Golden State Warriors marchia il pane con il simbolo della squadra della Baia (NON STO SCHERZANDO). Impressionante vero? C’è però qualcosa di ancora più inspiegabile di tale ritrovato della tecnica: dopo che Klay ha superato i sospetti iniziali e firmato l’involucro di plastica nera, gli Warriors hanno vinto ventisette partite, perdendone solo una, contro gli Utah Jazz. Ma in quella partita Klay era indisponibile.

 

Esaminando i dati, le ipotesi ora sono:

  1. a) Gli Warriors sono una squadra fortissima ed è nella norma che vincano tutte quelle partite anche perché il livello della Western Conference è vistosamente calato;
  2. b) Secondo un rarissimo allineamento astrale, l’uniposca argentata ha trasmesso alla mano destra di Klay il dono di arrostire gli avversari con il marchio di Golden State per poi sbriciolarli come una fetta biscottata nel caffelatte (anche tenendo percentuali orrende);
  3. c) Il tostapane in realtà è solo un oggetto che serve a risvegliare Klay dal suo sonno centenario. Ovviamente stiamo parlando della popolare teoria secondo la quale in realtà gli Warriors sono un avamposto rettiliano mandato per studiare il salary cap in vista di una prossima invasione. Lo stesso presidente Joe Lacob quando ha descritto l’organizzazione “light years ahead” non ha usato una metafora: intendeva proprio in senso astronomico.

 

Quando il timer del tostapane si annuncerà con quel malefico “dlin” metallico che rovina i vostri risvegli, accendete la tv e controllate gli occhi di Klay.

 

Grado di complottismo: AREA 51

 

 

Tags : boston celticsklay thompsonplayoff nba

Lorenzo Bottini nasce nel 1989 a Roma. Si laurea in Storia del cinema interessandosi soprattutto dei rapporti con i nuovi media. Folgorato sulla via di Detroit dai due Wallace, ritiene lo sport uno dei pochi modi rimasti per creare modelli comunitari.

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