Domenica sera Juventus-Napoli sarà probabilmente decisiva per le sorti della Serie A, l’unico fra i maggiori campionati ad avere ancora un pronostico in bilico per la vittoria finale. Ma anche la lotta per la qualificazione alle coppe europee è ancora aperta, così come quella per la salvezza. Abbiamo immaginato cinque scenari, più o meno realistici, su come queste partite potrebbero incrociarsi fra loro.
1. La Juventus rispetta i pronostici
Come da consolidata abitudine nel nostro campionato, l’attesa che precede gli scontri diretti al vertice è direttamente proporzionale alla delusione che li segue. Esattamente come due anni fa, il Napoli esce sconfitto per 1-0 dallo Juventus Stadium e depone le armi, ratificando tra gli applausi orgogliosi del settore ospiti il settimo scudetto consecutivo della Juventus. La partita è controllata con relativo sforzo dalla capolista, a cui basta eseguire il tradizionale schema con affondo sulla fascia destra e cross sul secondo palo per Mandzukic, che svetta sulle spalle di un impotente Hysaj.
Nelle ore e nei giorni successivi, l’opinione pubblica italiana si appresta a sottolineare come alla prova del fuoco il gioco di Sarri si sia rivelato perdente, a rimarcare la fallimentare strategia di farsi eliminare prima dalla Champions League, poi dalla Coppa Italia e poi dall’Europa League, e a consegnare al Napoli il titolo beffardo di “scudetto della critica”. La realtà dei fatti, ovviamente, racconta un’altra versione.
La Juve ha vinto proprio perché è riuscita a impedire che il Napoli facesse il suo gioco, bloccandone le direttrici, chiudendo l’accesso all’area di rigore, restringendo gli spazi in cui Insigne e Mertens sono soliti cercare il pallone. Al termine della partita, Allegri sorride sornione e accetta ben volentieri che i suoi meriti vengano fatti passare in secondo piano nella grande narrativa generale, così come era già capitato a Shakhtar Donetsk, Atalanta e RB Lipsia.
Dopo aver tracciato una distanza incolmabile, la Juventus sfrutta anche l’opportunità di celebrare il campionato davanti ai propri tifosi, con due giornate d’anticipo, usando il Bologna come sparring partner. Qualche giorno dopo solleva anche il secondo trofeo stagionale, al termine di una finale di Coppa Italia decisa ai supplementari.
Foto di Valerio Pennicino / Getty Images.
1bis) Il Milan rimane fuori dall’Europa
Nel frattempo, le conseguenze dell’inevitabile crollo nervoso del Napoli attraversano tutta la classifica e si avvertono fino a Milano. Gattuso commenta con sarcasmo e un fondo di amarezza che avrebbe preferito una lotta scudetto in discussione fino alla fine per interesse puramente personale, invece il Napoli ormai abbandonatosi al turnover esce sconfitto prima dalla trasferta di Firenze e poi da quella di Genova, contro la Sampdoria.
Dopo l’inattesa sconfitta a Bologna, il Milan si ritrova a due giornate dal termine a dover difendere un vantaggio sempre più ridotto: la Fiorentina dista due punti, la Sampdoria tre, l’Atalanta quattro. Deve cercare di conservarlo nelle ultime giornate, che diventano una sorta di playoff per l’Europa League, ma gli infortuni costringono Gattuso a schierare un centrocampo a tre composto da Montolivo, Biglia e Kessié, abbastanza piatto, facilmente esposto all’aggressività dell’Atalanta, che vince con i gol degli ex Petagna e Cristante.
Il Milan avrebbe ancora la possibilità di qualificarsi vincendo contro la Fiorentina, ma al Meazza va in scena una partita tesissima, dominata dalla tensione. Chiesa brucia uno stanco Rodríguez e sblocca il risultato, Gattuso si fa espellere perché in disaccordo sull’assegnazione di una rimessa laterale, Kessié pareggia con un tiro dalla distanza a dieci minuti dalla fine. Finisce 1-1, il Milan scivola al nono posto, qualche giorno dopo inizia a circolare in rete un video in cui Donnarumma viene consolato dallo zio.
Foto di Valerio Pennicino / Getty Images.
L’accesso all’Europa League si decide in modo rocambolesco: alle spalle della Sampdoria, sicura della qualificazione, finiscono appaiate a quota 62 punti Fiorentina e Atalanta, con la differenza reti che sorride ai bergamaschi. Durante le celebrazioni sul campo di un Cagliari ormai salvo, Gasperini sarà il primo a ricordare questo gol segnato da Freuler al novantaquattresimo minuto, da fuori area di mezzo esterno, a posteriori decisivo.
2. Il Napoli vince il suo terzo scudetto
Durante le rare manifestazioni di debolezza, la Juventus di Allegri si è dimostrata vulnerabile alle fasi di pressing particolarmente organizzato (tanto quello del Tottenham quanto quello della Spal, al netto delle enormi differenze), e soprattutto alle giocate dei campioni. È con questo spirito che il Napoli entra in campo a Torino, disposto a sacrificare il controllo del pallone per ottimizzare il controllo degli spazi, senza mai disordinare la struttura del 4-3-3.
Sarri disinnesca la manovra della Juventus applicando un pressing selettivo a diverse altezze del campo, che parte dalla propria trequarti per arrivare a folate nella trequarti avversaria, come raffiche di libeccio che si infrangono sul Castello Aragonese. L’azione che cambia la partita e la storia del campionato nasce da una ricezione spalle alla porta di Mertens sul centro-sinistra, che Höwedes insegue con troppa foga. Insigne pennella la punizione sotto l’incrocio e chiede con tono provocatorio gli siano riservati gli stessi applausi tributati a Cristiano Ronaldo. Il pubblico vota astensione e osserva in tramortito silenzio.
Da quel momento in poi, il campionato del Napoli è una marcia trionfale, quello della Juve un percorso a ostacoli lastricato di acerrimi nemici, circondato da un senso di incombente vendetta che ricorda il teatro greco e certe sceneggiature coreane. Il sorpasso si completa la settimana successiva: l’Inter strappa un punto prezioso in chiave Champions e San Siro grida il nome di Mauro Icardi, che segna di testa il suo ottavo gol in carriera alla Juventus e dimostra di avere un tatuaggio del cuore al posto del cuore.
Foto di Marco Bertorello / Getty Images.
L’esperienza di Allegri a Torino si chiude in un clima di irresolutezza, di fine di un ciclo, di primo vero passo indietro dopo anni di crescita esponenziale. Mentre la Juve cade anche all’Olimpico per mano di un rigore di De Rossi, il Napoli festeggia il terzo scudetto della sua storia a Marassi, in una partita dai forti richiami agli Novanta, che sarebbe stato giusto giocare con gli sponsor Erg e Mars sulle maglie. Il clima di festa si propaga rapidamente lungo la penisola. De Magistris interrompe le celebrazioni trasmesse in diretta su ogni canale dedicato per comunicare due giorni di chiusura delle scuole e degli uffici. Google Trends registra un vertiginoso aumento nell’uso della parola “miracolo”.
2bis) Inzaghi against the machine
Archiviata la lotta scudetto, i riflettori dell’ultima giornata si spostano sui due piazzamenti disponibili per giocare la prossima Champions League, per cui sono ancora in corsa Roma, Inter e Lazio. È un gioco delle sedie che si trascina da mesi, con le squadre sempre molto vicine, separate da pochissimi punti. Dopo il fischio finale qualcuno rimarrà in piedi, e dovrà rinunciare ai ricavi straordinari nell’ordine delle decine di milioni, che significa sacrificare un pezzo pregiato sul mercato per tenere in piedi anche il bilancio.
Intervistati prima del gran finale, i tifosi di ciascuna squadra antepongono le dolorose esperienze personali a qualunque forma di ottimismo, e si dicono pronti a scommettere contro la propria, ad abbandonarsi al «ma figurati se proprio noi». Iniziano timidamente a crederci quelli della Roma dopo la vittoria con la Juventus, parziale rimedio ai pareggi contro Spal e Cagliari. La squadra di Di Francesco sale a quota 72 punti, con l’Inter poco più sopra a 73, e la Lazio poco più sotto a 71.
La classifica dice che se la Roma vincesse contro un Sassuolo già salvo avrebbe la certezza di qualificarsi, mentre se pareggiasse dovrebbe almeno attendere il risultato di Lazio-Inter, ma con buone probabilità di farcela. Quanto a Lazio e Inter, una vittoria o un pareggio dei nerazzurri condannerebbero la Lazio, mentre una vittoria della Lazio condannerebbe l’Inter o la Roma (a seconda che quest’ultima vinca o meno la sua partita). Uno dei due nodi viene sciolto subito: Dzeko e Ünder segnano nei primi venti minuti, convincendo tutti gli spettatori neutrali a sintonizzarsi sullo spareggio dell’Olimpico.
Nello scontro diretto, Spalletti opta per un piano gara conservativo, volto ad allentare la tensione verticale, che del resto ha funzionato all’andata con Santon, Ranocchia e Borja Valero titolari, ed è plausibile possa funzionare ancora. Inzaghi deve vincere, e motiva sulla base di quest’esigenza la scelta di mettere in campo insieme dal primo minuto i quattro giocatori offensivi di maggior talento: «se avessi potuto scegliere, avrei preferito dover vincere». A cinque minuti dalla fine della partita, Immobile segna il gol che sembra deciderla, il trentaduesimo di un’altra entusiasmante stagione.
Viene annullato su segnalazione del VAR per un discutibile fallo di Leiva all’altezza del centrocampo, emerso durante la revisione, commesso almeno quaranta secondi prima della realizzazione. La partita si chiude con un pareggio, e la Lazio rimane al quinto posto. Mentre l’attenzione è rivolta ai festeggiamenti dell’Inter, Inzaghi si materializza a bordo campo con un martello da lavoro, che forse teneva nascosto in panchina come Triple H sotto l’apron ring, e in un iconico atto di luddismo contemporaneo va a spaccare il monitor da cui l’arbitro comunica con i video-assistenti.
3) Collisione in coda alla classifica
Un mostro a quattro teste, in grado di deformarsi e ricomporsi ad ogni gol segnato o subito, emerge dalle profondità della colonna destra: la classifica avulsa. Con la quota salvezza fissata all’altezza dei 36 punti, l’ultima giornata diventa un vortice che inghiottisce, mastica e risputa le squadre che ci si trovano in prossimità. Tra queste non c’è il Chievo, che raggiunge quota 37 punti grazie a una vittoria sul Benevento nell’ultima giornata, e non c’è neanche la Spal, che aveva coronato la striscia di 12 risultati utili consecutivi con un bottino di 8 punti raccolti tra Roma, Verona, Benevento e Torino.
C’è il Cagliari, 4 punti tra Bologna e Sampdoria, poi solo sconfitte nelle ultime tre giornate di campionato. C’è il Sassuolo, che ha perso lo scontro diretto a Crotone, poi anche contro Inter e Roma, eppure ha trovato contro Fiorentina e Sampdoria i 2 punti necessari ad aggregarsi al gruppone. C’è il Crotone, che ha centrato due vittorie insperate contro Udinese e Sassuolo, poi altri 2 punti tra Chievo e Lazio, alimentando la mistica della squadra immortale.
C’è persino l’Udinese, che a un certo punto della stagione si è trovata in quella posizione scomoda da «non abbiamo grandi obiettivi, però per retrocedere dovremmo perderle tutte», ed è finita che le ha perse tutte. O quasi: 13 sconfitte consecutive, striscia negativa leggermente più breve di quella del Benevento a inizio stagione, un’altra squadra fermatasi a un passo dal replicare l’impresa del Brescia ‘94/’95, che perse gli ultimi 15 incontri del campionato.
Il ritorno di Andrea Stramaccioni alla guida della squadra viene recepito con sospetto dalla tifoseria, sinceramente spaventata dal fragoroso declino. La trasferta di Benevento si presenta ideale per invertire la rotta, ma l’Udinese perde ancora, travolta dall’atmosfera festosa del Vigorito e da un’altra doppietta di Diabaté. Stramaccioni mostra le occhiaie di chi ha perso ogni certezza, prova ad alzare la posta e spara che contro l’Inter sarà più facile trovare le motivazioni, più facile difendersi, più facile ripartire con ordine. L’ennesima sconfitta certifica che all’Udinese non riesce più nessuna di queste tre cose.
Le quattro squadre dentro il vortice si ritrovano appaiate a quota 36 punti all’ultima giornata, dove incredibilmente perdono tutte. Perde l’Udinese, schiacciata dalla tensione, in casa contro il Bologna, perde il Cagliari contro l’Atalanta, che vuole ritornare in Europa League, perde il Sassuolo in casa contro la Roma, che vuole prendersi il terzo posto, e perde il Crotone contro il Napoli, che vuole chiudere con una vittoria davanti al proprio pubblico.
La giornata finisce com’era iniziata, e la classifica avulsa dice: Cagliari 11, Sassuolo 10, Crotone 7, Udinese 6. Gli indizi, del resto, erano già disseminati lungo il percorso: gol ridicoli come questo subito dal Cagliari, autogol ridicoli come questo regalato al Sassuolo. Al termine di un convulso finale di stagione, l’Udinese saluta la massima serie, una delle conseguenze preventivabili del perdere 13 partite consecutive.
Stramaccioni risolve il contratto e accetta un’offerta dal Qatar, dove riscatterà i recenti fallimenti vincendo al primo tentativo la Coppa dei Campioni del Golfo.