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Sport Giovanni Bongiorno, Gianluca Faelutti e Daniele Manusia 5 gennaio 2018 54'

40 fighter da seguire nel 2018

Il prossimo anno si annuncia ricco per le MMA, abbiamo scelto i 40 lottatori di cui non potete perdervi un incontro.

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  1. Demetrious “Mighty Mouse” Johnson

Di Giovanni Bongiorno

 

UFC Fight Night: Johnson v Reis

Foto di Jamie Squire / Getty Images

 

Demetrious Johnson sembra non avere rivali, su nessun piano, almeno nei Flyweight. Adesso che ha eliminato ogni potenziale avversario c’è solo un’opzione a disposizione per accrescere il proprio stato di #1 pound for pound e iniziare a costruirsi l’aura da leggenda necessaria per rientrare a pieno titolo (ammesso che non ci rientri già per il record di 27-2-1 e quello delle 11 difese consecutive del titolo) nel discorso per il Greatest Of All Time.

 

L’opzione è il cambio di categoria: Demetrious Johnson aveva deciso di scendere di categoria dopo l’ultima sconfitta subita in carriera, contro Dominick Cruz nell’ottobre del 2011, partecipando al torneo che avrebbe decretato il nuovo campione dei Flyweight UFC. Dopo un pareggio e una vittoria, entrambi contro Ian McCall, è iniziata una serie di vittorie con quella valida per il titolo contro Joseph Benavidez. Da allora, un crescendo evidente di qualità nelle prestazioni ha accompagnato le apparizioni di Mighty Mouse, sempre più dominatore. Salire nuovamente e scontrarsi con TJ Dillashaw in un supermatch tra campioni di categorie diverse significherebbe correre il rischio più grande possibile, vero, ma i rischi aiutano a costruire le leggende.

 

Johnson ha già rifiutato il match contro Dillashaw in passato, preferendo l’incontro contro Ray Borg che gli è valso il record assoluto di difese titolate in UFC (superando Anderson Silva). Adesso che Dillashaw ha battuto Garbrandt e Johnson non ha veri e propri contender alla cintura, molti fan vorrebbero vederli finalmente sfidarsi nell’ottagono. L’alternativa, restare nei Flyweight e difendere a oltranza la cintura, è senz’altro meno affascinante, anche se la creatività e il talento di DJ rendono ogni suo incontro una performance meritevole di essere guardata. Il contrario delle MMA brutali e sanguinose, un compendio di intelligenza tattica e abilità nell’eseguire velocemente movimenti molto complicati (DJ è anche un e-gamer e questo probabilmente lo aiuta nell’avere una coordinazione occhio-mano fuori dal comune).

 

Johnson è un fighter letale e velocissimo nelle fasi di striking, con un footwork inimitabile e semplicemente irraggiungibile. L’equilibrio e la gestione sono le sue qualità maggiori in fase di grappling, oltre a quella capacità innata di mettere fine al match con le sue sottomissioni fulminee. Nei Bantamweight ha sempre sofferto non tanto la qualità tecnica dei suoi avversari, quanto la loro fisicità, il suo unico limite. “Mighty Mouse” è alto 160 cm e probabilmente per questo motivo non accetterà di salire di categoria. Se invece accettasse, con un’offerta economica magari particolarmente irrinunciabile, diciamo pure faraonica, il match con Dillashaw a 125 libbre sarebbe senz’altro uno degli incontro più interessanti di tutto 2018. In caso di vittoria poi, la storia delle MMA gli spalencherebbe le porte.

 

  1. Rose Namajunas

Di Daniele Manusia

 

UFC 217: Jedrzejczyk v Namajunas

Foto di Mike Stobe / Stringer

 

Rose Namajunas ha avuto un 2017 fantastico. Ad aprile ha sottomesso Michelle Waterson conquistandosi la chance per il titolo e a novembre ha semplicemente ribaltato il tavolo dei Pesi Paglia femminili UFC piegando le gambe – due volte, la seconda arrivando al TKO – alla campionessa in carica, imbattuta fino a quel momento e regina assoluta dello striking, Joanna Jedrzejczyk.

 

Le MMA sono uno degli sport più difficili da prevedere in assoluto: anche nel caso di atleti con parecchi match in curriculum è impossibile essere certi dello stato di forma in cui si trovano al momento dell’incontro. Ma per prevedere un upset come quello di Namajunas ci sarebbe voluta veramente la sfera di cristallo, se non altro perché nessuno avrebbe potuto immaginare Jedrzejczyk subire così nettamente in piedi, senza mai trovare la distanza né il tempo giusto. Si sapeva, invece, che Namajunas era cambiata dopo la sconfitta del 2016 con Karolina Kowalkiewicz, che aveva trovato una calma interiore nuova, che le permetteva di usare il suo passato di violenza (una triste storia di abusi simile a quella di molte altre donne più fragili di lei) e la rabbia accumulata come una base solida per darsi la spinta, e non più come un carburante che ne consumava l’energia. La nuova campionessa Strawweight dice di combattere per rendere il mondo un posto migliore, per condividere un messaggio d’amore: un messaggio in contraddizione con il dono che le è stato dato, il combattimento.

 

Rose Namajunas ha il grande pregio di essere trasparente, di non nascondere le emozioni in uno sport in cui si confonde spesso la durezza con la freddezza. E tecnicamente non le manca niente, basta pensare che nell’incontro con Jedrzejczyk non ha avuto neanche bisogno di sfruttare il suo ottimo BJJ. La verità, però, è che già dal giorno dopo l’incontro ci si sta chiedendo quanto durerà, se si è trattato di un caso, di un momento di grazia passeggero, o se Rose è salita in cima per restarci (e considerando che ha solo 25 anni potrebbe farlo a lungo). Non sappiamo ancora con chi combatterà il prossimo incontro, né quando, ma vederla difendere quella cintura appena conquistata – contro Joanna o magari Karolina Kowalkiewicz per lavare l’onta della sconfitta precedente – sarà senza dubbio una buona ragione per seguirla il prossimo anno.

 

  1. TJ Dillashaw

Di Giovanni Bongiorno

 

UFC 217: Garbrandt v Dillashaw

Foto di Mike Stobe / Stringer

 

TJ Dillashaw is the man, direbbero gli anglofoni. Nel 2017 è riuscito a riprendersi la tanto agognata cintura dei Bantamweight e lo ha fatto nel modo più spettacolare, contro il suo acerrimo nemico Cody Garbrandt, ex imbattuto, steso con un gancio perfetto che ha seguito un headkick da cineteca. Con uno stile elusivo, fatto di colpi secchi e veloci, un gioco di gambe fulmineo, cambi di livello immediati e secchi, TJ Dillashaw è senza ombra di dubbio uno dei migliori fighter pound for pound in circolazione.

 

Verrà ricordato come uno dei principali esponenti di quella generazione di fighter che per prima si è distaccata dalla cosiddetta old school, per divenire fighter totali. Col 73% di colpi messi a segno, TJ è uno striker eccezionale, che non disdegna la fase a terra. Dotato di un’insolita capacità nel mettere a segno fulminei takedown (vedi il match contro John Lineker) e di cambi di livello eccezionali, sembra essere il presente e il futuro della categoria. Attualmente è ancora senza avversario, se l’UFC lo accontentasse organizzando il superfight da lui richiesto con Demetrious Johnson il 2018 potrebbe offrire a TJ Dillashaw l’incontro con cui scolpire il proprio nome nella pietra dello sport. In caso contrario, però, quasi certamente gli toccherebbe combattere di nuovo con Garbarandt o Dominick Cruz, e qualsiasi altro incontro sarebbe ancora meno interessante. Il suo 2018 può essere glorioso ma è dietro l’angolo ci sono comunque parecchie insidie.

 

  1. Robert Whittaker

Di Giovanni Bongiorno

 

UFC 213: Nunes vs Shevchenko

Foto di Rey Del Rio / Stringer

 

A soli 27 anni, Robert Whittaker ha messo a segno una serie di vittorie da sogno che gli hanno permesso in breve tempo di sbarazzarsi, in una maniera che è sembrata fin troppo semplice, dei migliori fighter nei pesi Medi. Una striscia che ha visto vittime illustri (Brad Tavares, Uriah Hall e Derek Brunson) e che lo scorso aprile lo ha portato alla vittoria più importante della sua carriera, mettendo a segno una prestazione stellare contro Jacare Souza, vincendo addirittura per KO tecnico contro il brasiliano che in quel momento era più quotato.

 

L’impresa lo ha portato a contendersi il titolo ad interim contro Yoel Romero e ad arrivare alla vittoria in un match durissimo che lo aveva visto perdere le prime due riprese e infortunarsi poi al ginocchio. La risalita nel match di Whittaker è stata incredibile, nel senso letterale del termine: ha difeso tutti i takedown dello spaventoso wrestler cubano, e ha messo a segno colpi veloci e potenti. Whittaker ha atteso con pazienza che Romero si stancasse, per sopraffarlo nelle tre riprese finali e portare a casa il match per decisione unanime. Aveva ricevuto la sfida in diretta da Michael Bisping che invece, come ben noto, ha perso il titolo contro Georges St-Pierre. Il canadese ha reso vacante il titolo e Whittaker è stato incoronato campione indiscusso.

 

Whittaker è salito nei Middleweight dopo delle prestazioni non brillanti nella categoria inferiore. L’australiano stava ancora migliorando il proprio stile e la propria condizione, che oggi è al massimo della maturità: è un counterstriker eccezionale, dotato di una velocità di braccia incredibile per la categoria e di una takedown defense pari all’87%, con un footwork più unico che raro nelle 185 libbre. Whittaker è quello che più incarna lo spirito del dominatore in una categoria in cui era assente una figura simile da diverso tempo. Dovrà comunque confermare quanto di buono appena detto il prossimo 10 febbraio, difendendo il titolo per la prima volta da Luke Rockhold. Puntate la sveglia da ora, così non vi dimenticate.

 

  1. Max “Blessed” Holloway

Di Giovanni Bongiorno

 

UFC 218: Holloway v Aldo

Foto di Gregory Shamus / Getty Images

 

Max Holloway è il campione dei Featherweight e dopo aver patito l’ultima sconfitta per mano di Conor McGregor, nell’agosto 2013, ha messo insieme un’incredibile striscia di 12 vittorie consecutive, culminata con la doppia vittoria per KO tecnico, sempre durante il terzo round, sull’ex campione Jose Aldo. Col 76% dei suoi colpi che finiscono a segno, il talento eccezionale e la crescita incredibile di Holloway è sotto gli occhi di tutti.

 

Inizialmente soffriva nel ground game, ma è diventato sempre più difficile costringerlo a combattere da terra: ha infatti difeso l’83% dei takedown che sono stati tentati contro di lui. Il suo allungo non è esagerato (175 cm), ma l’hawaiano compensa con la frequenza e la potenza nei colpi, specie di braccia. Anche se supportato da un gioco di gambe non eccelso, Holloway è una bestia nera per chiunque voglia tentare oggi di conquistare il titolo Featherweight, soprattutto per via della sua capacità di tagliare le distanze e di costringere i suoi avversari spalle alla gabbia per finirli poi con ottime combinazioni.

 

Le 9 finalizzazioni nelle ultime 12 vittorie confermano lo status attuale di quello che con tutta probabilità è il più forte Featherweight al mondo. L’unico vero avversario ancora da affrontare è Frankie Edgar, che mira alla sua corona. Il 2018 con tutta probabilità ci regalerà questo match, nel quale sarà in gioco l’eredità di Holloway: con un paio di difese titolate potrebbe iniziare ad essere considerato uno dei migliori Featherweight di sempre.

 

  1. Conor McGregor

Di Gianluca Faelutti

 

Floyd Mayweather Jr. v Conor McGregor

Christian Petersen / Getty Images

 

“Ogni fottuto anno è il mio anno” è una delle tante boutade con cui Conor McGregor si è fatto amare/odiare in questi anni. Il 2017, però, sportivamente parlando non lo è stato di certo: ha combattuto un solo match, di pugilato, perdendo come tutti sanno nonostante una prestazione più che dignitosa contro il gigante della boxe Floyd Mayweather. Il suo ultimo match di MMA risale al novembre 2016 quando, con una prestazione epocale si prese gioco di Eddie Alvarez, diventando l’unico figher nella storia UFC ha detenere contemporaneamente due cinture (la prima, quella Featherweight, la strappò a José Aldo in quei fatidici tredici secondi). Che piaccia o meno “The Notorious”, come umilmente si fa chiamare, è uno dei talenti più cristallini che siano mai saliti su un ottagono, con un pugilato fantascientifico per le MMA e uno stile anomalo con quella guardia laterale aperta e il mancino che parte da una posizione molto più bassa del consueto; con un footwork verticale, costante e veloce, e una gestione delle distanze perfetta al millimetro.

 

Preferisce il colpo singolo alla combinazione prolungata e questo lo rende sempre in controllo sul match, ma la sua predisposizione al KO è impressionante se pensiamo che su 21 vittorie 18 sono arrivate appunto per TKO/KO e ben 14 alla prima ripresa. Ma i pericoli non si limitano a quando attacca perché, forse, nessuno oggi colpisce d’incontro con l’efficacia di McGregor, cosa che rende sempre molto complesso riuscire ad aggredirlo (Alvarez e Aldo, appunto, ne sanno qualcosa). Inoltre, McGregor fa parte di quella generazione di fighter che punta ad incanalare il match nei binari a lui più congeniali attraverso un’ottima e sottovalutata difesa ai takedown (ne difende il 74% di quelli tentati e negli ultimi due match ne ha difesi 9 su 10).

 

McGregor ha sempre combattuto molto nei periodi in cui è stato attivo, al contrario di quanto si pensi, e anche se al momento si dice che abbia perso motivazioni e piacere nel combattimento non ci sarebbe  da sorprendersi se invece nel 2018 dovesse arrivare a combattere anche tre match, come è accaduto nel 2015. C’è infine curiosità riguardo alle sue evoluzioni pugilistiche sulle quali ha lavorato tantissimo per preparare il suo match: chissà che il suo bagaglio tecnico non ne risulti arricchito, magari da un uso più frequente del jab.  

 

Conor si odia o si ama, ma tutti vogliono vederlo combattere. Il suo match di rientro potrebbe essere la tanta agognata difesa del titolo dei pesi leggeri per l’unificazione della cintura con l’attuale campione ad interim Tony Ferguson, un match che promette dosi infinite di spettacolo e un livello tecnico davvero altissimo. Potenzialmente, in un 2018 che si annuncia ricchissimo di grandi incontri, L’Incontro da non perdere per nessuna ragione al mondo.

 

  1. Stipe Miocic (ex aequo)

Di Gianluca Faelutti

 

UFC 203: Miocic v Overeem

Foto di Rey Del Rio / Stringer

 

Quella degli Heavyweight è senza ombra di dubbio la categoria tecnicamente meno elevata, però, si sa, negli sport da combattimento è endemicamente la più appetibile. Il campione in carica, Stipe Miocic, nato a Cleveland ma di origini croate, fa parte di una nuova generazione di Heavyweight, purtroppo poco numerosa, più leggeri, dinamici e completi. Miocic non fa niente in modo superlativo: ci sono pugili migliori di lui (Junior Dos Santos, Overeem), wrestler migliori (Cain Velasquez); ma pochi, forse solo Velasquez, sono completi quanto lui.

 

Miocic sa fare tutto benissimo: è molto veloce per essere un Heavyweight e il suo gioco di gambe è perpetuo e rapido, il suo cardio è ottimale e gli garantisce una perfetta tenuta sulle cinque riprese, ha un fisico asciutto (quasi una rarità per la categoria), mani discretamente pesanti (quattro TKO al primo round negli ultimi quattro match), un valida resistenza ai colpi (un solo TKO in carriera contro Stefan Struve) e un pugilato solido e tecnico che si aggiunge a un wrestling di tutto rispetto. Se riuscisse a difendere ancora una volta il titolo diventerebbe l’Hevyweight con più difese titolate (3). La concorrenza risiede in pochi contendenti , ma estremamente pericolosi, primo fra tutti Francis Ngannou che ha già ottenuto la chance titolata. Ma anche il ritorno di Cain e la possibile rivincita di Fabricio Werdum (scriteriato nell’atteggiamento nel loro primo match) potrebbero rivelarsi insidiosi per il suo 2018. Il prossimo anno potrebbe consacrare Miocic alla storia delle MMA, se ne uscisse ancora con la cintura diventerebbe il miglior Heavyweight UFC di sempre.

 

  1. Francis Ngannou (ex aequo)

Di Daniele Manusia

 

UFC 218: Overeem v Ngannou

Foto di Gregory Shamus / Getty Images

 

Ogni volta che qualcosa di unico, di grande e di spettacolare, si manifesta agli occhi di più uomini, ci sarà sempre qualcuno che proverà a sminuirlo, a banalizzarlo. Ma di uomini come Francis Ngannou non se ne erano mai visti nelle MMA. Un atleta che fino a quattro anni fa non sapeva neanche cosa fossero le arti marziali miste e che, a detta dei suoi allenatori ha una capacità di apprendimento eccezionale, capace di arrivare a guadagnarsi l’incontro per il titolo dopo appena 12 match più o meno da pro (i primi li ha combattuti in Francia, dove non è legale l’MMA), di cui solo cinque in UFC. Un fighter con un passato di povertà assoluta in Camerun, che ha fatto lavori pesanti da quando aveva 12 anni e che non ha quasi nessun background, se non un po’ di pugilato ma di un livello tale che quando è arrivato a Parigi e dormiva per strada l’allenatore ha preferito proporgli le MMA piuttosto che lavorare sui suoi difetti.

 

Ma i miglioramenti di Ngannou sono spaventosi. Chi pensava che avesse solo le mani pesanti si è dovuto ricredere quando ha sottomesso Anthony Hamilton piegandogli il braccio come fosse un pupazzo di gomma. Chi pensava che le sue mani, magari, non fossero così pesanti – e che lo stop contro Arlovski fosse arrivato troppo presto – è rimasto a bocca aperta quando Ngannou ha spento Overeem con un sinistro dal basso di una violenza impressionante. Quel pugno ha sinceramente scioccato molti degli addetti ai lavori, alcuni scherzando hanno buttato lì la possibilità di ispessire i guantini (e va detto che non era neanche la mano forte di Ngannou, che con il destro ha il pugno più potente al mondo, almeno tra quelli registrati ufficialmente).

 

Il suo 2018 è da tenere assolutamente d’occhio, a cominciare dal prossimo 20 gennaio, in cui incontrerà uno dei fighter più completi e tecnici tra i pesi massimi. Ngannou è persino cresciuto di volume da quando è arrivato in UFC (è meno definito, ma probabilmente anche più potente) e al momento della presentazione dell’incontro la differenza di stazza tra Francis in maglietta e Stipe in completo era impressionante. In teoria, sulla carta, razionalmente, Stipe Miocic dovrebbe rappresentare le Colonne d’Ercole per Francis Ngannou, la prima volta in cui potrebbe aver fatto il passo più lungo della gamba. Ma se non lo fosse? Se Ngannou addormetasse anche Miocic, quali diventerebbero i nuovi confini del suo regno?

 

Anche in caso di sconfitta Ngannou non sparirà di certo: in fondo non sarebbe una novità in una divisione dove è difficile costruire strisce di vittorie troppo lunghe, e di contender seri come lui ce ne sono pochi. Se vincesse c’è già chi parla di un superfight di pugilato con Anthony Joshua, ma sarebbe senz’altro più interessante vederlo difendere il titolo un pretendente dopo l’altro, old school, finché dura. Il 2018 potrebbe essere l’anno in cui Ngannou ripassa a penna il proprio nome nella storia delle MMA, che per ora è ancora scritto solo a matita. L’anno in cui forse il più grande Heavyweight di sempre sarà costretto a cedere la cintura a un fenomeno assoluto, a uno che potrebbe cambiare la categoria per sempre.

 

  1. Tony “El Cucuy” Ferguson

Di Daniele Manusia

 

UFC 181 - Ferguson v Trujillo

Foto di Alex Trautwig / Getty Images

 

La storia di Tony Ferguson sembra inventata per quanto ricalca lo stereotipo da film americano. È cresciuto in Michigan, con origini messicane (e un nonno scozzese da cui ha preso il cognome), con un padre che per divertimento aveva combattuto nel Toughman Contest, un evento per pugili dilettanti, e che per punirlo gli faceva tagliare il prato e spaccare la legna. Al college ha vinto i campionati nazionali di wrestling, ma dopo aver lasciato gli studi è finito a lavorare come barista, a bere, fumare sigari e ingrassare. Poi un amico che aveva continuato con il wrestling lo ha chiamato per aiutarlo nello sparring, per preparare un incontro importante, Tony sentiva di aver “bisogno di dare una direzione” alla sua vita e ha accettato. “Non ero sicuro del mio stato di forma, ma il giorno dopo ci sono andato e ho lottato bene, molto bene. Il mio avversario non ha fatto neanche un punto, subito dopo sono andato a vomitare in un secchio e ho fatto un altro incontro”. A 27 anni entra a far parte della UFC e partecipa alla tredicesima edizione del reality The Ultimate Fighter. Il suo primo incontro sotto le telecamere, ancora da amatore, si chiude con un calcio da terra che manda KO il suo avversario.

 

Fin da quel primissimo incontro è evidente che una delle più straordinarie abilità di Tony Ferguson sta nella lotta a terra. Il suo Brazilian Jiu Jitsu è di altissimo livello e schiena a terra pochissimi, forse solo Nate Diaz, sono attivi e pericolosi quanto lui, sia con i colpi, in particolare le gomitate, che con i tentativi di sottomissione. Sei degli ultimi 10 incontri vinti (di seguito: è la striscia di vittorie consecutive più lunga nei Lightweight in UFC) sono finiti per sottomissione e anche nell’ultimo match contro Kevin Lee, che è riuscito a metterlo in difficoltà nel primo round tenendo un ritmo altissimo, ha trovato la sottimissione nella terza ripresa dopo aver portato parecchie gomitate con la schiena a terra. Ma Ferguson è altrettanto pericoloso in piedi, con uno stile atipico estremamente creativo, ricco di colpi girati e combinazioni che arrivano da angoli inaspettati, con un ottimo footwork e un allungo che sfrutta benissimo con il jab.

 

Ferguson, va detto, ha anche un caratteraccio. Durante una festa all’interno di The Ultimate Fighter ha preso in giro un compagno di squadra a cui avevano tolto il figlio e anche nel preparare il match che lo ha portato alla cintura ad interim con Kevin Lee è stato molto sprezzante. Si fa chiamare “El Cucuy”, l’equivalente del nostro “Uomo Nero” per i Paesi latinoamericani e durante gli incontri, se si sente particolarmente a proprio agio, mischia il footwork a dei balletti e delle finte con cui esprime la sua superiorità che sente di avere sull’avversario. Una senso della superiorità (“Sono stati creato per la grandezza” è uno dei suoi claim) che però gli dà anche molta tranquillità e una forza mentale eccezionale anche nei momenti difficili dei match, grazie anche ad una mascella granitica che per non ora non lo ha mai tradito. Soffre comunque i fighter più aggressivi (tipo Vannata, con cui è stato molto in difficoltà) e ad incontrare i diretti dei suoi avversari anche per via di una distanza non sempre perfetta.

 

Se nel 2018 si scontrerà con Conor McGregor, unificando la cintura, metterà definitivamente alla prova la propria mascella, se invece il suo avversario fosse Khabib Nurmagomedov (anche se dopo i due precedenti incontri annullati in pochi credono ancora che combatteranno davvero) , vedremo il suo ground game alla prova del più fenomenale dominatore a terra che si sia visto nei Lightweight. Se è vero quello che dice Dana White McGregor ha fino a marzo per difendere la sua cintura, altrimenti Ferguson affronterà Nurmagomedov da campione. In ogni caso sarà un anno interessante per uno dei fighter più unici e completi di tutto il circuito UFC.

 

  1. Khabib “The Eagle” Nurmagomedov

Di Giovanni Bongiorno

 

UFC 205: Nurmagomedov v Johnson

Micheal Reaves / Stringer

 

Nonostante i continui problemi con la bilancia, per cui ha anche accennato alla possibilità di salire di categoria prossimamente, che gli hanno fatto saltare il match titolato contro Tony Ferguson, Khabib Nurmagomedov è ancora una delle stelle dei pesi Leggeri. Il daghestano rimane uno dei prospetti più eccitanti della divisione, samboka di livello eccellente che può permettersi di essere totalmente monodimensionale, basando appunto sul sambo e sul grappling ogni sua azione.

 

Con uno striking scolastico e prevedibile, Khabib è rapido nel cambiare livello e nel portare a terra i suoi avversari, grazie a single-leg e double-leg takedown, oltre che dal clinch, prima di imporre pressione continua e colpi da terra. Khabib è come una colla potentissima, o un animale che cattura la preda e la immobilizza: una volta entrati in fase di grappling con lui è praticamente impossibile uscirne. Con una difesa impeccabile fatta del 71% di colpi schivati e dell’83% di takedown evitati, ha un record di 25 vittorie e nessuna sconfitta (di cui 9 in UFC) e tenterà sicuramente un assalto al titolo.

 

Contro Edson Barboza, nell’evento dello scorso anno, Nurmagomedov ha cementato e legittimato la sua posizione di primo contendente al titolo, dominando in lungo e in largo quello che probabilmente è lo striker più vario, abile ed estroso della categoria. Barboza all’inizio è riuscito ad evitare i takedown del russo, ma il risultato è stato effimero: poco dopo Khabib era sopra di lui e lo stava martellando col ground and pound.

 

Vedere combattere Nurmagomedov è un’esperienza unica e non del tutto piacevole, la violenza con cui controlla al tappeto sarebbe insopportabile se non esprimesse un livello tecnico altissimo. È ancora più sorprendente se si pensa che i suoi avversari sanno benissimo che tipo di fighter è (su YouTube ci sono suoi video in cui da bambino si allenava nella lotta con dei cuccioli di orso) e nonostante si siano preparati finiscano col subirlo. Nurmagomedov ha il potere di rendere impotenti i fighter più pericolosi al mondo. Ormai ha scalato i ranking e il prossimo incontro – se tutto va bene, perché finora l’unico avversario in grado di rallentarlo sono stati gli infortuni – non potrà che essere per il titolo. Conor McGregor e Tony Ferguson possono dire quello che vogliono, quando l’arbitro darà inizio all’incontro nessuno dei due sarà felice di combattere contro Nurmagomedov.

 

Khabib ha ampiamente dimostrato che, nella serata giusta, nessun Lightweight può resistergli. Per questo e per le grandi aspettative che riponiamo nel suo 2018, Nurmagomedov è il fighter che in assoluto non potete perdervi il prossimo anno.

 

 

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Giovanni Bongiorno scrive di MMA e ne parla nel podcast di MMA Talks.

Gianluca Faelutti vive a Cremona, ha 31 anni e per vivere lavora in gioielleria. Con l'occhio per le pietre preziose scrive anche su MMA Talks e partecipa al podcast omonimo.

Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).

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