40 fighter da seguire nel 2018
Il prossimo anno si annuncia ricco per le MMA, abbiamo scelto i 40 lottatori di cui non potete perdervi un incontro.
- Mara Borella
Di Gianluca Faelutti
Mara Romero Borella è la prima donna italiana ad aver strappato un contratto alla federazione di MMA più importante al mondo; il suo match d’esordio, contro Kalindra Farla, è stato accettato con poco più di una settimana di preavviso (è subentrata ad Andrea Lee) e Mara, di origine hondureña, si è trovata catapultata nel giro di pochi giorni davanti ad un palazzetto gremito, a Las Vegas, nella card principale di un evento numerato UFC.
Nonostante non fosse abituata a palcoscenici di quella portata, è stata lucidissima e fredda nell’affrontare il match: ha sfruttato immediatamente l’aggressività della sua avversaria, ha trovato l’atterramento mediante un fulmineo body lock, ha stabilizzato con pazienza, poi ha passato la guardia trovando la monta e infine ha preso la schiena e con una facilità davvero impressionate ha messo a segno la rear naked-choke che gli ha regalato la vittoria.
È stato un esordio eccezionale perché oltre ad aver palesato un grappling di eccezionale fattura, ha dimostrato le qualità psicologiche di Mara che nella nuova categoria dei pesi mosca femminili potrà certamente dire la sua nella categoria Flyweight nuova di zecca (al momento è in posizione #9). Ancora più eccezionale se si pensa che Mara, come ha raccontato in un’intervista, ha scoperto le MMA pochissimi anni fa. Il 2018 sarà l’anno della sua possibile conferma ad alto livello per lei, e noi non possiamo non seguirla con interesse e partecipazione, considerando anche quanto le MMA siano ancora ghettizzate in Italia e quanti pregiudizi ci siano sui combattimenti tra donne. Il prossimo 27 gennaio combatterà contro Katlyn Chookagian.
- Stephen Thompson
Di Gianluca Faelutti
Foto di Steve Marcus / Stringer
Guardia fortemente verticale ereditata da un background di altissimo livello nel taekwondo, colpi d’incontro eccezionali, un gioco di gambe rapidissimo con cui entra ed esce dalla guardia avversaria e una varietà incredibili di calci uno più sublime dell’altro.
La velocità, la perfezione tecnica delle esecuzioni di Stephen Thompson, abbinate all’incredibile fantasia e a delle leve notevolmente lunghe, lo rendono probabilmente, con Edson Barboza, il fighter con i migliori calci di tutto il roster UFC.
Thompson ama combattere da counterstriker e lasciare che sia l’avversario a prendere l’iniziativa (non è un caso che abbia sofferto più di tutti proprio il campione Tyroon Woodley, che come lui ama attendere e cercare il colpo d’incontro). Rory MacDonald, Johny Hendricks, Jorge Masvidal, sono alcune delle vittime di quello che è un autentico fenomeno, un fighter sempre molto complesso da affrontare perché difficile da colpire grazie al suo dinamismo e alla sua perfetta gestione delle distanze (una qualità da karateka che condivide soprattutto con GSP) e sempre pronto a pungere e fuggire finendo per irretire gli avversari, spingerli ad esporsi e punirli con una sistematicità quasi disumana.
Inizialmente aveva sofferto un po’ le fasi di grappling, ma complice anche forse l’aiuto di un compagno di team come Chris Weidman, non soltanto è migliorato in questo aspetto, ma è divantato addirittura difficilmente atterrabile anche da wrestler d’elite come alcuni citati. Con Woodley ha pareggiato la prima sfida e perso, forse immeritatamente, la seconda. Per la noia profusa in abbondanza dai due match titolati combattuti sarà difficile che la promotion offra a Wonderboy un’altra possibilità titolata in tempi brevi, ma se il campione dovesse cambiare, sarà probabilmente il primo ad ottenerla. GUai a dimenticarsi di lui nel 2018, potreste ritrovarvelo anche con la cintura sulla spalla prima della fine dell’anno.
- Rafael dos Anjos
Di Giovanni Bongiorno
Foto di Ronald Martinez / Getty Images
Quando ha annunciato di voler combattere nei Welter, era facile immaginarsi l’ex campione dei Lightweight Rafael dos Anjos non del tutto a suo agio, avendo perso gli ultimi due incontri nella categoria inferiore, contro Eddie Alvarez (contro cui perse il titolo Lightweight) e Tony Ferguson (match che gli ha fatto maturare l’idea di salire di categoria). Invece, RDA ha sorpreso tutti, arrivando già alla soglia del top 5 con tre vittorie non banali: la prima, in cui ha surclassato l’ex campione Strikeforce, Tarec Saffiedine; la seconda, nella quale ha praticamente annientato Neil Magny; l’ultima, e ancor più importante, è la dimostrazione di netta superiorità sull’ex mattatore di categoria Robbie Lawler, dello scorso dicembre.
Dopo la sconfitta con Khabib Nurmagomedov, RDA ha deciso di allenarsi alla Evolve MMA per parte dei suoi camp, oltre che alla Kings MMA, in modo da migliorare il suo striking. Oggi è un fighter più completo e nonostante sia passato alla categoria superiore è ancora in possesso di una straripante fisicità, un notevole cardio e una grande potenza nei colpi. Non è dotato di un footwork eccezionale, ma vanta un ottimo grappling, che non è dovuto solo alla sua esperienza nel BJJ. Il suo wrestling è davvero asfissiante e, se si esclude Nurmagomedov, è raro vedere fighter riuscire ad imporsi contro di lui in questo campo, come hanno dimostrato anche i match contro Magny e Anthony Pettis.
In molti dubitavano dell’efficacia di dos Anjos nei Welter, ma la sua prestazione dominante contro Robbie Lawler, nella quale ha messo in mostra le indubbie qualità nello striking e nel clinch, ha diradato anche le ultime ombre. Che ormai sono proiettate solo dalla figura di Tyron Woodley e degli altri nobili della categoria, e proprio per l’eventualità che la sorprendente seconda vita di Dos Anjos si faccia ancora più sorprendente il suo 2018 sarà tra i più interessanti.
- Amanda Nunes
Di Giovanni Bongiorno
Foto di Codie MacLachlan / Stringer
Sei vittorie di fila, le donne più letali della propria divisione sconfitte, la cintura Bantamweight strappata a Misha Tate, la fondatrice stessa, Ronda Rousey, pensionata in pochi secondi, trattata come un sacco privo di coscienza, e poi una seconda vittoria su Valentina Shevchenko (anche se in questo caso per giudizio non unanime). Amanda Nunes non sembrava il prototipo di campionessa quando è entrata in UFC, eppure in nove incontri in UFC ha raccolto ben otto vittorie, a fronte di una sola sconfitta nel 2014, contro l’allora title contender Cat Zingano.
Basta guardare gli ultimi match della campionessa per rendersi immediatamente conto sia dei miglioramenti effettuati, sia del fatto che si tratta di una fighter 2.0, completa sotto tutti i punti di vista: forte nello striking, seppur non velocissima data la forza fisica che la accompagna; dotata di un indiscutibile equilibrio nel clinch che le consente sempre, o quasi, di dominare la fase e di mettere colpi pericolosi; illeggibile da terra, dotata di un ottimo ground and pound, ma anche di un discreto submission game e della capacità di rimettersi velocemente in piedi, anche quand’è schiena a terra.
È anche ottima nel lavoro in counterstriking ed è capace di infliggere pesanti KO alle sue avversarie grazie al grande volume di colpi di braccia che riesce a tenere. Nell’evento di fine anno 2016, Nunes ha abbattuto, come detto con relativa facilità, l’ex regina Ronda Rousey, mettendo di fatto fine alla leggenda della judoka americana nelle MMA. Da allora, nel corso del 2017, Amanda ha combattuto solo una volta, battendo la Shevchenko nel mese di settembre. Cosa la attenderà nel 2018? Chi sarà la prossima avversaria che tenterà di strappare il titolo a una fighter così spaventosamente completa?
- Brian Ortega
Di Gianluca Faelutti
Foto di Jayne Kamin-Oncea / Stringer
Ortega è un prodotto della “Gracie Jiu-Jitsu Academy”, capitanata da Rorion Gracie, e possiede attualmente uno dei migliori BJJ applicati alle MMA di tutto il circuito. È forte fisicamente, ha una predisposizione alle sottomissioni fantastica ed è un fighter giovane (27 anni da compiere) ed estremamente imprevedibile. Aveva esordito in UFC con un’ottima vittoria per sottomissione su Mike De La Torre, nel 2014, ma era stato fermato per positività al doping dalla commissione atletica. È rientrato nel Giugno 2015 finalizzando dal ground and pound Thiago Tavares, poi i successivi tre incontri hanno avuto la medesima narrazione: Ortega soffre le prime due riprese e sembra avviato a sporcare il suo record da imbattuto, poi alla terza ripresa cresce e improvvisamente trova una soluzione estemporanea e ribalta le sorti di un incontro che sembrava destinato a perdere. Al momento è arrivato a 14 incontri da professionista senza sconfitta (con un solo No Contest, appunto quello di De La Torre).
Ha finalizzato Diego Brandao con un triangle choke, Clay Guida con una splendida ginocchiata al volto quando mancavano soltanto 20 secondi al termine dell’incontro e infine Renato Carneiro grazie ad guillotine choke stavano già pregustando la vittoria, ma non avevano fatto i conti con le sue magie. Queste vittorie gli sono valse, legittimamente, l’occasione di combattere con uno dei migliori Featherweight come Cub Swanson, e Ortega non se l’è lasciata sfuggire: ha sofferto un po’ nello striking, fase dove concede ancora qualcosa, ma appare sempre più in controllo, ha sfiorato la ghigliottina al termine del primo round, venendo interrotto dalla sirena, per poi ripetersi nel secondo non appena i due sono entrati in clinch. Una ghigliottina in piedi impreziosita dal salto con cui Ortega ha chiuso i ganci dietro la schiena di Swanson, portandolo a terra.
È letale in ogni fase di grappling, basta talvolta un breve clinch per finire nelle fauci del suo stellare BJJ, ma anche nelle fasi in piedi è capace di stupire con esecuzioni improvvise. Ortega entra nel 2018 come l’astro nascente dei Featherweight, è ancora imbattuto ed è già alla posizione #3 del ranking UFC e nei prossimi mesi cercherà la propria definitiva consacrazione. Non è così semplice trovare altri atleti che vivono un momento così eccezionale…
- Cody Garbrandt
Di Daniele Manusia
Foto di Christian Petersen / Getty Images
A molti Cody Garbrandt non piace per come è fuori dall’ottagono. Ad altri non piace neanche dentro l’ottagono, ma solo in quelle pause tra uno scambio e l’altro in cui si prende il tempo per fare un inchino o addirittura dei piegamenti a terra. A tutti, però, è piaciuto il Cody Garbrandt che poco più di un anno fa ha eluso, con un senso della distanza millimetrico, il re dell’elusione Dominick Cruz, diventando campione Bantamweight a soli 25 anni, da imbattuto, e con appena 11 incontri da professionista.
Difficile non restare impressionati dalla sua freddezza, dal controllo (con il 69% dei colpi evitati e il 100% nella difesa dei takedown) e al tempo stesso dalla violenza del suo destro (prima dell’incontro con Cruz solo in tre occasioni i suoi incontri erano andati oltre al primo round). A molti è piaciuto persino il Cody Garbrandt della prima ripresa e dell’inizio della seconda contro TJ Dillashaw, prima che finisse knockdown per un calcio alla testa, perdendo il suo primo incontro e al tempo stesso la cintura. L’incontro era stato anticipato da una narrativa ricca di conflitto in cui Garbrandt aveva preso la parte, per lui naturalissima a quanto pare, di quello che parla troppo, polarizzando l’opinione in quel modo per cui solo in caso di vittoria ti verranno risparmiate le critiche più aspre.
Ci sta, fa parte del gioco, ma c’è una differenza sottile tra il tifare per uno dei due fighter in particolare, e ritenere che l’altro non abbia il suo posto nell’ottagono: e il posto di Cody Garbrandt è chiaramente contro i migliori della sua divisione. È difficile sapere che cosa sarà del suo futuro prossimo, visto che TJ non sembra minimamente intenzionato a offrirgli l’immediato rematch ma la sua voglia di rivincita lo rende uno dei fighter da seguire assolutamente nel 2018. Anche un rematch con Cruz sarebbe molto interessante per capire se qualcosa si è incrinato dentro di lui, ma guai a pensare che Garbrandt sia stato rimesso al posto che gli spetta (#2), perché se il curriculum e le qualità mostrate, tecniche e mentali, sembrano dirci che se Cody si mette in testa di riprendersi la cintura prima o poi TJ dovrà riaffrontarlo.
- Tyron “The Chosen one” Woodley
Di Gianluca Faelutti
Foto di Victor Fraile / Stringer
Woodley è uno dei campioni meno amati dal pubblico perché ha uno stile conservativo e attento che non lo rende particolarmente carismatico, ma è solido da ogni punto di vista e soprattutto si adatta benissimo a qualsiasi tipologia di fighter che gli si mette davanti. Ha un’impostazione da counterstriker, preferisce posizionarsi spalle a parete e far sì che sia l’avversario a prendere l’iniziativa per far poi valere le sue eccezionali qualità di colpitore d’incontro, in particolare con l’overhand destro che riesce ad essere spesso decisivo.
Ha un volume di colpi abbastanza limitato (va a bersaglio in media con 2.48 colpi significativi al minuto) e raramente si fa aggressivo, eppure vanta ben 4 finalizzazioni per KO tecnico in UFC. Questa sua moderata aggressività si riflette anche nel grappling: nonostante le sue straordinarie doti da wrestler, infatti, raramente cerca di accorciare la distanza per poi cambiare livello e cercare il takedown; preferisce attendere che sia l’avversario a commettere qualche imprecisione (magari un calcio sferrato senza la necessaria intensità com’è accaduto a Thompson nella prima ripresa del loro primo match) per poi essere davvero devastante in ground and pound, e non è un caso che porti a compimento soltanto 1.4 atterramenti ogni 15 minuti.
È praticamente inatterrabile (difendendo il 95% dei takedown tentati ai suoi danni) e con lui i fighter esperti di BJJ hanno grandi difficoltà ad imporre il proprio gioco, come si è palesato nel match contro Demian Maia, che ha provato per ben 21 volte il takedown senza mai riuscirci. Woodley ha mostrato alcuni limiti solo nell’ultimo match perso contro Rory MacDonald (che è anche l’unica sconfitta in UFC), che lo ha schiacciato per tre riprese restando sempre a corta distanza e facendo valere la precisione del suo jab, disorientandolo con numerose finte e martoriandolo con la sua pressione costante e la velocità dei suoi colpi.
Potrebbe essere l’anno della sua consacrazione definitiva non solo come campione Welter ma come uno dei campioni più dominanti di tutte le divisioni, ma la concorrenza non è mai così stata così alta al limite delle 170 libbre con il rientro di Carlos Condit, il ritorno di George St-Pierre (ammesso che sia intenzionato a combattere ancora), il salto di categoria di Rafael Dos Anjos e la comparsa di diversi nuovi grandi talenti come Darren Till e Kamaru Usman (ne parleremo più avanti…). A 35 anni Woodley vuole scoprire in che posto collocarsi nella storia delle MMA. Una buona ragione per guardare i suoi incontri anche se li trovate noiosi.
- Kamaru Usman
Di Gianluca Faelutti
Foto di Brandon Magnus / Zuffa LLC
“The Nigerian Nightmare” è uno dei migliori prospetti del roster UFC: ha una forza fisica impressionante che si palesa in particolare nella fasi di grappling, ma anche un’eccezionale fluidità di movimenti nelle fasi di striking. È un fighter completo, elusivo in virtù di un buonissimo gioco di gambe e di altrettanto validi movimenti di corpo e di testa, che colpisce forte ma anche in modo sorprendentemente preciso, e quando il match si sposta sul grappling il suo wrestling è spaventoso.
Colpisce l’eleganza con cui combatte, che quasi stride con la forza fisica brutale che lo caratterizza, un’eleganza che lo accompagna persino quando colpisce in modo anomalo, talvolta contemporaneamente con entrambi i pugni (cosa che non avevamo mai visto). Ha un curriculum corto, con 6 vittorie e nessuna sconfitta in UFC, ma tutte le sue apparizioni hanno coinciso con un dominio totale sugli avversari, che pure sono stati di ottimo livello, come Warlley Alves oppure Sean Strikland. È proprio l’enorme discrepanza mostrata contro fighter di questo livello, oltre alle costanti evoluzioni mostrate match dopo match, a far pensare che Usman è un possibile campione di domani. In ogni caso ogni suo incontro è stato spettacolare e non c’è ragione di pensare che non sarà così anche nel 2018, l’anno della sua possibile definitiva esplosione. La concorrenza nei Welter è molto alta, ma Usman sembra non temere nessuno.
- Luke Rockhold
Di Gianluca Faelutti
Foto di Steve Marcus / Stringer
Luke Rockhold è forse il Middleweight più completo in circolazione. L’indolenza con la quale ha affrontato Michael Bisping, che gli ha strappato il titolo appena conquistato, però, ha evidenziato quanto la stella dell’AKA debba ancora crescere nell’approccio mentale. Ci sono dei dubbi anche sulla sua mascella, già violata da un splendido spinning high kick di Vitor Belfort all’esordio UFC, e contro Bisping è risultata per la seconda volta vulnerabile.
Detto questo, Rockhold è un fighter eccezionale in ogni fase del combattimento, fisicamente è un Light-Heavyweight prestato ai Middle (e ha anche pensato di salire), enorme per la categoria, con uno striking preciso, un buon pugilato e dei calci potenti e fantasiosi (come il question mark kick, suo vero marchio di fabbrica). Anche se l’incontro si sposta a terra sa essere devastante, in particolare nella facilità con la quale prende la schiena, e una volta messi i ganci diventa implacabile prima con i colpi, poi con la rear naked choke. Si trova molto a suo agio con i wrestler, in virtù di un bjj stellare, ma può andare in difficoltà contro striker estrosi.
Sono passati più di due anni dalla conquista del titolo nel match brutale con Chris Weidman e in questo lasso di tempo, oltre ad aver perso con Michael Bisping (che aveva già battuto in passato e che, per questo, ha sottovalutato) ha combattuto e vinto contro David Branch, senza però impressionare. Probabilmente ha ancora qualche ruggine da togliersi di dosso e deve riconquistare la nostra totale fiducia (nelle sue indubbie qualità): il 2018, in cui compirà 34 anni, potrebbe diventare molto presto il suo anno, visto che l’11 febbraio ha già in programma una nuova title chance contro Robert Whittaker.
- Darren Till
Di Gianluca Faelutti
Foto di Dean Mouhtaropoulos / Getty Images
Con quella guardia southpaw molto laterale, la ricerca costante del check con la mano destra e del diretto con quella mancina, il ragazzo proveniente dai sobborghi di Liverpool non può non ricordare Conor McGregor. Darrenn Till, imbattuto nei 16 incontri disputati da professionista, sa essere anche devastante anche attraverso la sua Muay Thai, ad esempio con le gomitate dalla posizione in piedi che porta a segno con un’efficacia sbalorditiva, e che gli sono molto utili anche nelle fasi di ground and pound.
Ha una stazza imponente per le 170 libbre e gestisce alla perfezione le distanze, colpisce con eccezionale precisione e tempismo d’incontro e quando attacca non prolunga mai le sequenze, entra bene con il jab e se fa partire il diretto mancino sa essere devastante. È aggressivo senza essere sfrontato, non ha un volume di colpi particolarmente alto ma mette grande pressione ai suoi avversari e quando va a bersaglio ha una straordinaria potenza e una pulizia nell’impatto della mascella avversaria che lo rende spesso letale.
È un ragazzo estremamente ambizioso, dice e pensa di essere uno dei migliori di sempre nella storia dello sport, ed ha anche una storia particolare alle spalle: a diciannove anni ha rischiato di perdere la vita dopo essere stato accoltellato in una rissa, e su consiglio del suo allenatore ha cambiato aria volando in Brasile, dove si è formato come fighter di MMA. La vittoria su Cerrone dello scorso ottobre gli ha dato ulteriore risalto mediatico e salvo sorprese nel 2018 lo aspetta un salto importante nel ranking dei pesi Welter.