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Marco D'Ottavi
2020: l’anno in cui a decidere le partite furono le statistiche
03 feb 2020
03 feb 2020
La prima delle nostre distopie mensili.
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Marco D'Ottavi
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«I numeri non sono importanti, sono l’unica cosa che conta». Con queste parole il candidato Presidente chiuse il suo breve comizio elettorale, davanti ad una Lega di calcio Serie A attonita. Le manovre politiche per scegliere il nuovo presidente andavano a vuoto da settimane e ormai la stanza al terzo piano della palazzina in stile modernista di via Rosellini a Milano sembrava la Cappella Sistina nei giorni del conclave. Il nuovo candidato, Marco del Marco, che sconfisse per pochi voti Paolo dal Pino, aveva presentato una proposta tanto cervellotica quanto rivoluzionaria: al posto della differenza tra le reti segnate, a decretare la vittoria di una partita sarebbe stato un sistema di statistiche più o meno complesse. Lo slogan usato per comunicare al pubblico le riforme in arrivo era intrigante e volutamente provocatorio: «Il calcio non è semplice». Nel suo primo discorso dopo l’elezione, Marco del Marco ha aggiunto: «Scordatevi il calcio di quando giocavate al parco da bambini». Quello che i giornali chiamavano “il candidato delle statistiche” era sbucato dal nulla, entrando nella corsa alla presidenza della Lega Calcio come una ventata di aria fresca in una stanza chiusa da anni. Premiare la statistica sopra il mero risultato avrebbe reso la Serie A il campionato più progressista al mondo, il «più meritocratico», secondo le sue parole. Marco del Marco era sostenuto dalle squadre con proprietà straniere, fondi o non fondi: Roma, Bologna, Milan, più alcune che ci volle poco a convincere. Tipo il presidente del Sassuolo, allettato dalle possibilità di De Zerbi di districarsi positivamente in questo nuovo calcio; De Laurentiis, la cui squadra di segnare non aveva proprio voglia e Percassi, dopotutto l’Atalanta stava semplicemente rompendo le statistiche della Serie A. Per alcuni Presidenti dubbiosi (tipo Cairo che ha provato a far modificare la proposta inserendo al posto delle statistiche i voti in pagella dei giornali) era impossibile valutare realmente una proposta così astratta, non si parlava neanche di quali statistiche sarebbero state prese in considerazione, eppure in molti hanno sentito che era una possibilità, per quanto remota, di invertire il trend negativo del campionato. Un’idea commerciale, di moda, per rendere nuovamente appetibile la Serie A all’estero. I Presidenti delle squadre più piccole invece l’avevano trovata una buona idea per risparmiare sui soldi degli attaccanti.Sull’Assemblea dei Presidenti però pesava la voce di quelli contrari: Andrea Agnelli e Steven Zhang erano interessati da una svolta progressista, ma erano anche quelli che avevano più da perdere, visto che stava andando così bene con il metodo tradizionale. Anche Lotito, che aveva dichiarato pubblicamente «mi puzza di fregatura», alla fine la pensava più o meno così e insieme a Ferrero, che era contrario alle statistiche per ragioni ideologiche ma soprattutto per come stavano andando quelle della sua squadra nell’ultimo periodo. Ragioni che più o meno condividevano anche il Cagliari, l’Udinese e il Verona.Il giorno della seconda votazione (in cui per essere servono i due terzi dei voti favorevoli) il nervosismo vibrava palpabile tra le stanze della Lega Calcio. Il “candidato delle statistiche” si presentò sereno, sicuro - come disse ai giornalisti - di avere «la maggioranza dei voti». Dopo aver fallito l’elezione alla prima convocazione qualche giorno prima (in cui servivano i quattro quinti dei voti), per innescare la miccia della rivoluzione bastarono 12 voti, rigorosamente a scrutinio segreto. Nelle ore successive le televisioni provarono a ricostruire la votazione e l’ipotesi più plausibile fu che a tradire era stata una tra Juventus ed Inter. Le riforme, nel dettaglioMarco del Marco non perse tempo e appena eletto presidente mise a lavoro una task-force di esperti che comprendeva alcuni match analyst della Nazionale, il presidente dell’ISTAT, i giornalisti inglesi Michael Cox e Michael Caley, oltre a un paio di cervelli in fuga italiani (si vociferava che uno dei due fosse scienziato nucleare e l’altro un pittore di successo in Germania) e lo scacchista Magnus Carlsen. Così il 14 gennaio 2020, alcuni giorni prima dell’inizio del girone di ritorno, la Lega dichiarò dei cambiamenti al regolamento che avrebbero avuto effetto da subito:

  • Il totale degli xG, con un modello appositamente studiato dalla Lega Calcio, avrebbe contribuito al risultato finale della partita in scala 1:1 (quindi 0.86 xG, sarebbero valsi 0.86 gol).
  • Il possesso palla sarebbe valso 3 gol, divisi secondo delle aliquote ben precise (ad esempio 65-35 avrebbe portato 2 gol a 1).
  • L’altezza media più alta di recupero palla e la migliore % di passaggi riusciti avrebbero messo in palio un bonus di 0,5 gol ciascuno.
  • per favorire la spettacolarità ogni dribbling riuscito avrebbero regalato 0,2 gol (quindi con 10 dribbling si faceva un gol); ma per equilibrare le cose ogni intercetto o tackle vinto sarebbe valso 0,1 gol.
  • Ogni squadra avrebbe potuto scrivere su un foglio prima della partita una statistica jolly (tranne i falli, per ovvi motivi) che sarebbe valsa un ulteriore 0,5 gol se vinta, ma anche 1 subìto se a vincerla fosse stata l’avversaria.
  • I gol non sarebbero valsi gol (tanto c’erano gli xG).

Fu soprattutto l’ultimo cambiamento a lasciare perplessi quasi tutti: se far entrare le statistiche nel gioco poteva essere un diversivo divertente, togliere totalmente i gol dall’equazione non rischiava di far diventare il calcio un mero esercizio di stile? «No», rispose Marco del Marco. Secondo le loro simulazioni mantenere «la schiavitù del gol» avrebbe lasciato tutto praticamente invariato, mentre con questo nuovo regolamento «avrebbe trionfato la forma più pura del calcio: ovvero la ricerca del gol, senza l’ossessione dello stesso». Gli italiani parlano di calcio come fosse politica, ma soprattutto il contrario Ovviamente il nuovo sistema di punteggio della Serie A diventò il centro dell’agenda di tutto il Paese, non solo dello sport. I primi a muoversi, per necessità, furono quelli che si occupavano di Fantacalcio: il voto in pagella rimase centrale, ma il sistema di bonus venne totalmente soppiantato a favore degli xG e degli xA, più altre piccole modifiche inerenti all’influenza di un giocatore nella pass map di una squadra. La sinistra vide nella svalutazione del risultato un grande segnale per il paese: vincere senza per forza dover vincere era sempre stato il loro sogno. Le altre forze politiche presero la svolta della Serie A in maniera ambigua: erano genuinamente attratti da un “presidente forte” in grado di stabilire delle regole precise, ma erano anche preoccupati dal fatto che queste regole rischiassero di essere troppo progressiste (ma le statistiche erano progressiste?, si chiesero in molti).Gli editorialisti, calcistici e non, si sbizzarrirono. Il Corriere dello Sport pubblicò un appello contro le statistiche firmato da alcune delle più grandi personalità italiane tra cui Ivan Zazzaroni, Gianni Mura, Vittorio Sgarbi, Maurizio Costanzo, Eros Ramazzotti e Alba Parietti. Gramellini nel suo caffè citò Chesterton per dirsi contrario, anche se nessuno capì davvero: «È impossibile per l’intelletto umano (che è divino) sentire un fatto come un fatto. Sempre esso sente un fatto come una verità, che è una cosa del tutto diversa». L’autore inglese venne citato anche da Pierluigi Battista, in maniera più chiara: «La statistica cerca di trasformare legami flessibili in catene rigide e immutabili». Su Twitter scoppiò un casino, ma nel mondo reale quasi nessuno ci fece caso.Le squadre di calcio furono le più caute: agli allenatori fu consigliato il silenzio riguardo a come avrebbero affrontato questa new wave delle statistiche, non si voleva di certo concedere qualche vantaggio agli avversari. Ai giocatori il silenzio fu imposto direttamente dalla Lega Calcio e chi si lamentava del nuovo sistema di punteggi rischiava grosse squalifiche e multe. L’unico libero di parlare tramite i propri social fu Cristiano Ronaldo, i cui post spostavano i voti di più nazioni. L’attaccante portoghese si limitò a postare una propria foto in palestra con la didascalia “goals are still goals”. In campo, però, cominciò a tirare da ogni punto possibile per aumentare i propri xG (già i più alti del campionato, ma si può sempre migliorare) e ad esultare con il suo iconico “siuuuu” dopo cinque dribbling riusciti.L’alba di una nuova eraLa ventesima giornata - la prima del girone di ritorno - arrivò presto e per uno scherzo del destino le prime due squadre ad affrontarsi furono Lazio e Sampdoria, due delle più critiche verso il nuovo sistema di punteggio. Inzaghi e Ranieri non rivoluzionarono la squadra, ma i primi piccoli segni di cambiamento furono visibili: l’allenatore della Lazio, ad esempio, preferì inserire Cataldi come esterno sinistro al posto di Lulic, per migliorare la fase di possesso palla della propria squadra, statistica in cui - nonostante il terzo posto in classifica - era solo decima per percentuale; la Sampdoria mantenne il suo 4-4-2 schiacciato, contando sulla capacità di Gabbiadini e Quagliarella di creare piccole frazioni di xG calciando da ogni zona del campo.Dopo venti minuti di relativa calma, un filtrante di Luis Alberto permise ad Immobile di calciare da posizione defilata, un paio di metri oltre la linea dell’area di rigore, una delle zone di campo da dove era più infallibile in questa infallibile stagione. L’attaccante della Lazio, però, preferì girarsi verso il centro e servire Correa, praticamente ad un passo dal limite dell’area piccola. Il tiro dell’argentino fu respinto dal corpo di Audero in uscita bassa, finendo sopra la traversa, ma tra lo stupore generale alcuni giocatori della Lazio iniziarono ad esultare come se fosse finito in rete. Infatti, come prontamente mostrato dalla grafica TV agli spettatori a casa, la conclusione di Correa aveva generato 0.66 xG, ben 0.34 in più di quelli che avrebbe generato il tiro di Immobile. La partita finì senza reti. I giocatori della Lazio accennarono qualche timida esultanza, seguiti da quelli della Sampdoria. L’atmosfera era simile a quella che circonda l’attesa per un verdetto ai punti nel pugilato, in cui in pochi possono dirsi abbastanza sicuri di quello che avverrà: dopo qualche minuto il tabellone mostrò il risultato che era di 2.6 a 1.8 gol per la Lazio, che aveva avuto un miglior risultato per quanto riguarda gli xG, il possesso palla, l’altezza media di recupero palla e il proprio jolly (che erano i passaggi in area di rigore). La Sampdoria ebbe una migliore percentuale di passaggi riusciti, mise a segno qualche contrasto e vinse il proprio jolly in maniera controintuitiva, puntando sul maggior numero di parate di Audero. A fine partita l’unico scontento sembrò Immobile, che con una faccia scura si presentò ai microfoni solo per scusarsi con i propri fantallenatori, rifiutandosi di rispondere alla domanda: «Ciro allora rinuncerai alla Scarpa d’Oro per il bene della Lazio?».La prima giornataLa prima giornata con il nuovo punteggio mise in mostra luci ed ombre, anche semplicemente logistiche. Milan-Udinese fu vinta dai rossoneri con uno scarto di 0.2 gol dopo i bonus, tra le proteste dei giocatori dell’Udinese che avrebbero gradito saperlo per provare a fare qualcosa (anche se non avevano ben chiaro cosa) ed in generale per i tifosi allo stadio era impossibile capire con precisione l’andamento del punteggio. Tuttavia in campo le squadre si erano mostrate più propositive, provando a dare più importanza, chi più e chi meno, alla creazione di occasioni da gol pulite, al palleggio e ad un recupero del pallone più alto ed aggressivo, anche se questo si tramutò in una giornata con meno gol segnati del solito.Sarri fu forse il più spregiudicato: approfittando di un avversario poco propenso al pressing alto come il Parma, tenne in panchina Matuidi, Rabiot e Higuain giocando con Ronaldo davanti insieme a Bentancur, con un centrocampo Dybala-Ramsey-Pjanic e Bernardeschi trequartista a fare solo sponde all’indietro. La partita della Juventus era impostata come un lunghissimo esercizio di possesso palla: la Juve migliorò il proprio record di passaggi in una singola partita di Serie A, creando però pochissimi xG. Ai microfoni l’allenatore fece notare che quelli del Parma, però, furono ancora meno perché «se non hai la palla non puoi crearne». Il commentatore Lele Adani gli disse che era un’interpretazione conservatrice del calcio totale ma Sarri rispose irritato che decideva lui come reagire alla nuova regola, prima di abbandonare l’intervista. La partita più interessante fu Atalanta-SPAL, giocata di lunedì, con la squadra di Gasperini che non riuscì a tenersi e segnò comunque 8 gol “reali”, vincendo la partita 11.9 a 0.4.La domenica sera intervenendo al programma Sky Calcio Club il nuovo presidente Marco del Marco ammise che il sistema non era perfetto e che avrebbero fatto degli accorgimenti in corsa per migliorarlo, «dopotutto la rivoluzione non è un pranzo di gala». Il successivo giovedì, al TG1 delle 20:30, spiegò alcune nuove modifiche: uno scarto tra le due squadre minore di 0,3 avrebbe portato al pareggio; un bonus di 0,5 punti sarebbe stato conteggiato per ogni azione partita dalla rimessa con i piedi del portiere e finita con un tiro nello specchio della porta; mentre l’esecuzione dei calci di rigore veniva sostituita momentaneamente da 0,74 gol alla squadra che lo guadagnava (si parlò vagamente di adottare un sistema di xpg in futuro). Per quanto riguarda la comunicazione live dei punteggi, il presidente disse che giocatori e tifosi dovevano imparare a leggere le partite e non «farsi imbambolare da un episodio come il gol». In una storia Instagram sul canale della Lega Calcio venne messa una lista di 5 libri sulle statistiche nel calcio, caldeggiandone la lettura a chiunque volesse capire il reale andamento delle partite. La questione del gol non fu invece affrontata.Il calcio senza gol è ancora calcio?Eppure, apparve chiaro fin da subito, il destino del gol era il vero problema, semantico e fattuale. Fabio Caressa in telecronaca iniziò a chiamare punti quelli che sostituivano i gol nel risultato, lasciando il termine gol per le occasioni in cui il pallone finiva dentro la rete. I puristi invece preferirono eliminare totalmente questo termine, per via del suo significato di “obiettivo”, usando il termine score per il punteggio e lasciando volutamente senza terminologia il momento ormai vuoto di significato in cui un giocatore realizzava una rete. La perdita di valore del gol in quanto tale contribuì a creare due schieramenti opposti tra i calciatori. C’era chi lo riteneva un passo in avanti del gioco del calcio verso la sua forma più universale e chi pensava fosse invece l’improvvisa e prematura morte dello sport più popolare del mondo. Edin Dzeko dichiarò che era colpa del “realismo capitalista” se non riuscivamo ad immaginare un calcio senza gol e che in tutti quegli anni avevamo ignorato la salute mentale degli attaccanti di alto livello.Alcune tipologie di calciatori erano più d’accordo di altri con le nuove riforme di Marco del Marco. I metodisti, i playmaker, i terzini destri, gli attaccanti di raccordo e i portieri bravi con i piedi. Alcuni invece erano decisamente contrari: i centravanti d’area di rigore, gli incursori, i terzini sinistri e i portieri scarsi con i piedi. I difensori centrali rimasero neutrali. I primi vennero chiamati risultatisti (perché in fondo il risultato per come era concepito adesso premiava la loro visione del calcio) i secondi giochisti (perché più vicini al “gioco” che si giocava ancora nei campetti e in tutte le serie minori, compresa la B). Per una settimana la discussione calcistica diventò filosofica: era più importante il risultato o il modo in cui ci si poteva arrivare? Per Diego Fusaro «il gioco era un’anarchia postmoderna del desiderio illimitato e del capriccio senza misura»; mentre per Odifreddi il nuovo sistema di punteggio «smascherava l’insensatezza del risultato come unico Dio». Fofi disse solo che lo sport era ancora l’oppio dei popoli.

Altri invece si schierarono al centro (anche se secondo i giochisti chi non era né l’uno né l’altro era risultatista).

La seconda giornata La seconda giornata del girone di ritorno venne considerata il primo vero banco di prova del nuovo sistema di punteggio, vista la presenza di due partite particolarmente sentite come Lazio-Roma e Napoli-Juventus. Nel derby di Roma i giocatori in campo mostrarono di avere le idee chiare su cosa fosse necessario fare per vincere, segno di come Inzaghi e Fonseca avevano lavorato bene nonostante i cambiamenti. La Roma continuò il suo gioco fatto di costruzione dal basso e sviluppo sulla trequarti, la Lazio si affidò ancora alla capacità di giocare in verticale dei suoi migliori interpreti. Fu una di quelle partite fortunate in cui gli attacchi sembrano sempre una mossa più avanti delle difese. Ribaltando le paure di molti, ci furono ben 6 gol “reali” e molte azioni spettacolari. Pau Lopez e Strakosha fecero due errori pazzeschi per uno ma i loro compagni la presero a ridere.Sugli spalti ci fu confusione: i giochisti esultavano per le azioni, i risultatisti per i gol, tuttavia il modo per segnare era ancora creare delle buone azioni. Nelle curve nessuno striscione contro la squadra nemica ma solo cose come: “L’unica statistica buona è una statistica morta”; “La maglia è il nostro bonus”.La prima vera mossa di rottura arrivò poche ore dopo, nella posticipo della domenica tra Napoli e Juve: Gattuso decise di schierare Manolas in porta, anche se poi il greco occupava la sua posizione accanto a Koulibaly, semplicemente indossando dei guanti. In questo modo, il Napoli poteva schierare un centrocampista in più per risolvere i suoi problemi in fase di transizione negativa, senza avere particolari problemi difensivi, dato che nel modello di xG della Lega la posizione del portiere non veniva registrata. Nei primi 5 minuti Cristiano Ronaldo fece 3 gol, tirando da ogni posizione e Sarri dovette mandare Bernardeschi dalla panchina a spiegargli che quei tiri generavano appena 0,1 xG, quanto una scivolata riuscita. Ronaldo cominciò a portare palla avvicinandosi il più possibile alla porta avversaria prima di calciare vagamente in direzione della porta, ma alla fine Sarri fu costretto a sostituirlo perché la competitività gli aveva fatto perdere lucidità. Ronaldo lasciò lo stadio senza salutare (per la seconda volta in stagione) e alle 4 di notte postò su Instagram una foto in cui prendeva ripetizioni di xG da uno studente della Normale.Il vantaggio competitivo di avere un uomo in più in mezzo al campo fu così grande che anche Sarri mandò in campo Rabiot al posto di Szczesny. Lo svolgimento della partita fu straniante, ma non per questo meno spettacolare. L’immagine della porta sguarnita fu usata da molti dei giornali filo-giochisti per evidenziare una stortura, ma a dire la verità i giocatori in campo riuscirono ad ignorare l’assenza dei portieri per concentrarsi sul creare occasioni con quanti più xG possibili. E poi l’assenza del portiere creava comunque dei problemi: difendere il cuore dell’area di rigore diventava più difficile e per gli avversari era più facile trovare la profondità alle spalle della difesa. Gattuso, ad esempio, decise di inserire Meret negli ultimi 15 minuti per difendere il risultato (che pensava gli fosse favorevole ma non poteva esserne sicuro).Le conseguenze etiche e il nostro amore per la burocraziaLa scelta di giocare senza portiere generò anche un dilemma etico: stavano barando? Approfittare dei buchi legislativi di una nuova regola era illegale? Si poteva rinunciare così al ruolo del portiere? Dovevamo iniziare a pensare al calcio come ad un gioco in cui ci sono undici giocatori di movimento? Questo acuì il dibattito tra risultatisti e giochisti: per i primi (che erano a favore del cambiamento delle regole, ricordiamo) l’evoluzione del calcio stava già andando in quella direzione, ovvero nel considerare il portiere un giocatore a tutti gli effetti; per i secondi (che invece volevano tornare al calcio giocato nei cortili) invece non era assolutamente così, visto che il portiere continuava a rimanere l’ultimo baluardo tra l’ordine e il caos. Fu costretto ad intervenire ancora una volta il nuovo presidente Marco del Marco, sottolineando come quella era una falsa discussione. Ogni squadra poteva scegliere come impiegare i propri uomini all’interno del campo da gioco e che «i ruoli sono definizioni vuote, come le vostre parole». Aggiunse che la giornata di campionato aveva registrato il più alto numero di xG da quando questo dato veniva registrato, più alto in media di tutti gli altri maggiori campionati. Alle proteste di alcuni allenatori, confusi soprattutto dal fatto che durante la partita era impossibile sapere come stavano andando le cose, rispose con una capriola logica: «Molti allenatori sono dei semplici gestori, si aprissero un bar se gli piace farsi i conti».In settimana il Corriere dello Sport pubblicò un’inchiesta in cui alcuni allenatori o giocatori della Serie A - in incognito - sparavano contro le statistiche. «Il mio vecchio allenatore guardava solo falli fatti e subiti e i duelli aerei, quello è il calcio, perché non contano queste statistiche?» si chiese Giorgio C.. Per Ciro I.: «la classifica marcatori è tutto, non possono togliermi i rigori», mentre per Gigio D., portiere, era il suo futuro ad essere in pericolo: «Io so solo parare, se mi tolgono la possibilità di fare questo che faccio? Devo iscrivermi all’università?». Altri ammisero che avevano già dato mandato ai loro agenti di cercare un nuovo ingaggio all’estero dove, secondo le parole di Zlatan I.: «Un cazzo di gol vale un cazzo di gol». Il Cor Sport decise per questo di pubblicare i risultati “alla vecchia maniera”, con una classifica che non teneva conto di quelli ufficiali. Le vendite si impennarono e fu presto seguito dalla Gazzetta, che però decise di tenere le due classifiche parallele.Il periodo di Terrore di ogni rivoluzioneLa reazione di Marco del Marco, che cominciò a farsi chiamare il “Presidente Illuminato” (provando a rimpiazzare quel “presidente delle statistiche” che perdurava nella stampa e nei social) fu durissima: in una storia su Instagram sotto ad un cartello con la scritta “la Serie A sono io” dichiarò che la successiva giornata si sarebbe giocata senza porte, che i portieri potevano «andare a quel paese» e che gli attaccanti se tanto ci tenevano potevano «provare a colpire i piccioni, vediamo se sono così bravi». Disse anche che nel giro di un paio di settimane il sistema di punteggio sarebbe stato rivisto, dando ulteriore importanza a statistiche avanzate come il PPDA e le progressive runs + passes.A questo punto i vertici del calcio italiano iniziarono a mostrare una certa preoccupazione per la piega presa dagli eventi. Certo, la Serie A stava attirando attenzioni da tutto il mondo come non capitava dagli anni ‘90, però passare da “curiosa eccezione” a “gabbia di matti” era un attimo e l’atteggiamento del nuovo presidente aveva ormai superati il limite. Il giorno dopo l’annuncio del Presidente Illuminato si fecero avanti Gravina, Malagò e Carraro, citofonando con codazzo di giornalisti e Carabinieri direttamente a casa di Marco del Marco - sulle pendici di Monte Mario, a Roma, con alle pareti migliaia di calcoli complessi, schemi, statistiche su tutto e fotografie di allenatori. Del Marco sedeva con le gambe conserte su un gigantesco trono, in testa una corona di legno sulla cui punta si reggeva un piccolo Guardiola di ametista. Per terra, una testa di ceramica di Mourinho giaceva accanto a quello che una volta doveva essere stato il suo corpo. In seguito Malagò raccontò che ebbe la sensazione di «essere trascinato dentro l’ultima puntata della prima stagione di True Detective»Il primo a parlare fu Carraro, che aveva dettato la linea: mediazione. Gli proposero la presidenza delle leghe dilettanti, dove si sarebbe potuto sbizzarrire come voleva, «considerarlo un laboratorio creativo», ma avrebbe dovuto mollare la Serie A. Il Presidente Illuminato tuonò in una risata grassa, disse che ormai il processo «era irreversibile». Ma anche che «il gol rovina tutto, come i soldi hanno rovinato il capitalismo».I tre lasciarono la casa del nuovo presidente consapevoli di come per far tornare tutto come ai vecchi tempi, c’era bisogno di una nuova Waterloo, una Caporetto, una CampaldinoLa fine della moda delle statisticheLa battaglia finale arrivò dopo una notte di pioggia. Una domenica mattina alle 12.30 era prevista Juventus-Fiorentina, ma nonostante il drenaggio il campo risultava pesante, ai limiti del praticabile. L’arbitro, consigliato dall’alto, decise di far giocare la partita nonostante il pallone rimbalzava solo in alcuni punti del campo. In campo i giocatori non riuscivano a giocare il calcio associativo e propositivo richiesto dal regolamento e si trovarono smarriti e confusi. Cristiano Ronaldo uscì di sua spontanea volontà dopo venticinque minuti, urlando verso le telecamere l’ormai celebre frase «no más», innescando una rivolta che vide uscire dal campo anche altri giocatori, in numero sufficiente per costringere l’arbitro ad interrompere la partita. L’ondata di maltempo che si era abbattuta sulla penisola condizionò anche le altre partite, ovunque si registrarono defezioni di molti giocatori nel mezzo della partita, Ibrahimovic non si presentò proprio, twittando una foto dalla propria isola, vestito per andare a caccia. In alcuni casi gruppi di tifosi invasero il campo montando porte provvisorie. Insomma domenica 2 febbraio 2020 il sogno - o l’incubo - di una Serie A diversa tramontò. Marco del Marco, assediato, fu costretto alle dimissioni: sparì dalla circolazione per qualche mese, prima aprire un blog in cui dopo ogni partita indicava i veri punteggi. Al suo posto venne messo Carlo Tavecchio, una figura che garantiva una restaurazione rapida e decisa. Tutte le partite giocate con il sistema di punteggio delle statistiche vennero annullate e recuperate nei buchi del calendario. Dal sito della Lega sparì la pagina con le statistiche, così come sui giornali e in tv non comparve più nessuna statistica: non si tenne più conto neanche del possesso palla, dei tiri in porta, degli ammoniti, dei falli fatti/subìti. Neanche solo a titolo informativo.

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