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Foto di Valerio Pennicino/Getty
Calcio Arnaldo Greco 11 gennaio 2017 4'

2017: l’anno in cui la Juventus emigrerà in Premier League

I bianconeri potrebbero davvero andare a giocare un campionato a parte.

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Quando il Watford ha ceduto i diritti per giocare la Premier League alla Juventus la notizia è stata accolta con scetticismo. Un eccesso di arroganza della dirigenza bianconera, un tentativo di provocare Figc e Lega Calcio sempre più incapaci di rilanciare il campionato di Serie A, una mossa di Pozzo per catturare l’attenzione e monetizzare oltre l’immaginabile il suo investimento (peraltro subito reinvestito nell’acquisto del QPR e dell’Union Berlino). La mole di dubbi, proteste e scetticismo è stata tale che nessuno avrebbe mai potuto immaginare che, dopo poco più di un anno, ci saremmo trovati a esaltare il secondo posto della Juventus, dietro, ma non di tanto, solo a un imbattibile Manchester City. Invece la dirigenza juventina aveva fatto bene i suoi conti, considerando, con abile strategia, quelli che potevano essere i punti di forza della propria iniziativa e, allo stesso tempo, i punti deboli nelle resistenze degli avversari.

 

Messo in cassaforte lo scudetto già a dicembre, con una programmazione talmente abile e mirata da lasciare il sospetto che il dominio nel campionato italiano sarebbe potuto durare altri dieci anni, ci piace immaginare che l’idea sia nata, quasi come una boutade, al brindisi di Capodanno.

 

Ma poi, ragionando su quali fossero i benefici reali nel restare nel campionato italiano da dominatori incontrastabili, beh, era stato da subito evidente che gli svantaggi superavano di gran lunga i vantaggi. Poteva sembrare un paradosso, ma le vittorie creano più disinteresse (e meno introiti) di qualche salutare sconfitta. Ma certo non si poteva chiedere alla Juventus di perdere di proposito o di lasciare Higuain ai rivali (che, in fondo, è uguale a “chiederle” di perdere di proposito e in molti l’hanno detto davvero) per convenienza o altruismo. Ciononostante persino i ricavi dei diritti tv sembravano destinati a diminuire, non certo per colpa dei tifosi della Juventus quanto per i demotivati tifosi avversari che, nonostante tutto l’impegno dei giornalisti sempre alla caccia di un qualche motivo d’interesse – che fosse “quale sarà l’anti-Juve, o chi arriverà in Champions senza passare dai preliminari – facevano diminuire, anno dopo anno, gli incassi. E tutti i presagi per il futuro lasciavano trasparire un declino inarrestabile. Nemmeno dai fondi cinesi. Il campionato 2016-17 era stato un vero punto di non ritorno. Troppa superiorità, troppa poca attenzione. Un’altra stagione di quel tipo non avrebbe fatto comodo a nessuno.

 

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Era stato, ovviamente, necessario trovare un nuovo accordo con Sky, ma possiamo facilmente immaginare che accordarsi sui diritti quando il proprietario della piattaforma che trasmette le partite è lo stesso non sia impossibile. C’erano altri ostacoli da aggirare, ben più rognosi e meno aperti a qualsiasi cambiamento: restavano le Federazioni.

 

Potevano essere ostacoli insormontabili, ma col senno di poi possiamo tentare di ricostruire il ragionamento dietro il lasciapassare, innanzitutto, della Federazione inglese che non sembrava preventivabile. Dunque proviamoci. È ormai dato per assodato che andiamo incontro alla costituzione di una Lega europea. Da anni non ci chiediamo più se e come succederà, ma solo quando succederà. Gli unici che possono davvero opporsi, dal punto di vista commerciale, alla Superlega sono gli inglesi. Solo i loro incassi possono competere con quelli della Champions. In quest’ottica accettare la Juventus è stata una mossa per prendere in contropiede gli interessi degli sponsor della Superlega. La Juventus potrebbe essere stata solo l’apripista, l’idea delle Wild card potrebbe essere allargata anche ad altre squadre. E la Premier League diventare la vera Superlega. Forse l’Uefa prenderà iniziative in merito, probabilmente altre squadre e sponsor vorranno entrare in gioco, di sicuro la partita ha preso un’accelerata.

 

Ma i dirigenti juventini hanno avuto ragione pure rispetto al campionato italiano, anche se, come è facile immaginare, nessuno gliene renderà il merito. Ancora tutti fintamente offesi, in realtà più sazi e pasciuti degli anni passati, e con un pubblico che ha smaltito rapidamente l’assenza della Juve, felice di poter competere realmente per un trofeo, ora raggiungibile persino da squadre che da anni erano lontane da quei traguardi, come Genoa e Fiorentina. (C’è da ammettere che il solo De Laurentiis aveva compreso da subito l’opportunità senza, tuttavia, riuscire a coglierla fino in fondo). Il quarto scudetto della Roma resterà, a lungo, negli annali come uno dei campionati più combattuti di sempre. Così come l’incredibile carambola di risultati delle ultime due giornate e la dichiarazione di De Rossi: “Con una Roma così quest’anno avremmo battuto anche la Juventus”. Speriamo che la Champions dell’anno prossimo ci offra la possibilità di verificarlo.

 

Amichevole West Ham vs. Juventus

 

Ora resta da capire se, dopo questo esperimento biennale, la Juventus tornerà a giocare nel campionato italiano oppure la strada è segnata. L’idea della Federazione della wild-card ha congelato lo strappo per questi due anni, ma forse posticipare per non decidere stavolta ha funzionato. (Soprattutto c’è da capire se il posto in Champions della Juventus continuerà ad esserle assegnato in quota Italia). Al momento è difficile immaginare una Juventus di nuovo in Italia. Ma forse, l’anno prossimo, il ritorno darebbe un ulteriore novità a un campionato italiano finalmente rinvigorito, con qualche campione in meno ma più appassionante per i tifosi di casa nostra. La Premier, invece, potrebbe dedicare un posto del proprio campionato a una wild-card, anno dopo anno, sempre diversa (un po’ come fa la Copa America) o decidere se vuole provare ad essere la vera alternativa alla Champions League non avendo il problema di dover decidere nulla col presidente della Federazione Calcio della Bielorussia.

 

 

Tags : distopiejuventuspremier leagueutopie

Arnaldo Greco (1979) ha pubblicato un paio di libri per Fandango. Ogni tanto scrive per qualche rivista, ma vive e ha due bambini grazie al fatto che il suo nome scorre nei titoli di coda di “Che tempo che fa”.

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