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Dario Saltari
I 18 minuti di Renato Sanches
18 dic 2023
18 dic 2023
Una sostituzione che ha fatto discutere.
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Dario Saltari
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IMAGO / IPA Sport
(foto) IMAGO / IPA Sport
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Al 64esimo Renato Sanches non riesce a capire perché sulla lavagnetta luminosa sia comparso proprio il numero 20. Si guarda intorno in cerca di uno sguardo di conforto, si indica il petto per avere conferma di essere proprio lui a uscire. È possibile che ci sia un errore? Una volta superata la linea di fondo, che separa il campo da gioco dall’oblio futuro, si stringe nelle spalle, il massimo segno di dissenso che può permettersi mentre è inquadrato dalle telecamere. José Mourinho l’aveva fatto entrare appena 18 minuti prima, all’inizio del secondo tempo, e anche in quel caso in molti devono aver pensato a un errore. La Roma era andata sotto nei minuti finali del primo tempo contro un Bologna semplicemente più vivace e l’allenatore portoghese aveva pensato che lui, sì proprio lui che in questa stagione ha giocato meno di 230 minuti, potesse ribaltare l’inerzia della partita, che era già inclinata in maniera piuttosto evidente dalla parte della squadra di Thiago Motta.

L’allenatore portoghese è famoso per provare ad attingere a quelle forze oscure, intangibili che muovono la realtà senza che gli esseri umani possano vederle. I percorsi logici che portano alle sue decisioni in campo non sono sempre chiari a chi, come me, non ha alzato 26 trofei nel corso della sua carriera. Perché far entrare Renato Sanches in primo luogo? Il centrocampista portoghese era entrato al posto di Leonardo Spinazzola, ma la sua sostituzione non era stata obbligata per via di un cambio tattico. Sull’esterno sinistro era stato dirottato Stephan El Shaarawy, il cui vuoto era stato riempito dallo spostamento sulla linea d’attacco di Lorenzo Pellegrini, che a sua volta aveva liberato lo spazio da mezzala destra per Renato Sanches. «Nella scorsa partita ci aveva dato 60 minuti di speranza, ho pensato di inserirlo perché la squadra poteva avere bisogno della sua qualità», ha dichiarato Mourinho dopo la Caporetto del Dall’Ara, confermando di averlo messo in campo perché pensava che Renato Sanches in quanto tale, e nessun altro, potesse creare una via d’uscita in una partita che si stava chiudendo in maniera asfissiante intorno ai giocatori giallorossi.

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È il tipo di scelte che rendono Mourinho affascinante anche se quelle scelte non portano a nulla di buono. Appena una settimana fa, dopo la partita casalinga contro la Fiorentina, era uscito un video, ripreso dalle telecamere che inquadrano il tunnel che porta agli spogliatoi dell’Olimpico, in cui si vedeva Renato Sanches lamentarsi con Ikoné per i continui infortuni che stanno infestando la sua esperienza romana. «Forse mi hanno lanciato una maledizione», ha detto il centrocampista portoghese con troppa leggerezza per l’animo razzista del giornalismo italiano, che da quella frase era riuscito a ricavare il rumor secondo cui Renato Sanches aveva consultato uno sciamano per liberarsi finalmente dal malocchio. Il centrocampista portoghese ha ovviamente smentito questa indiscrezione e chissà forse Mourinho, mettendolo in campo contro il Bologna, ha provato a spremere il grumo di energia negativa che si era addensato intorno a lui per via di questa vicenda. È possibile pensare che l’allenatore portoghese stesse cercando come un rabdomante la voglia di riscatto dopo l’umiliazione per questo episodio di razzismo strisciante?

Sto cercando di andare oltre con l’immaginazione perché razionalmente non è facile spiegarsi la decisione di mettere in campo Renato Sanches. Insomma, stiamo pur sempre parlando di un giocatore talmente disperato dai suoi stessi problemi fisici da ipotizzare l’intervento di forze ultraterrene, in che modo sarebbe potuto tornare utile in una partita di Serie A adesso, contro una delle squadre più in forma del momento? «Lui ha cicatrici emozionali, ha tante paure dovute agli infortuni e lavora a bassa intensità», ha ammesso lo stesso Mourinho dopo la partita del Dall’Ara.

Non è la prima volta che l’allenatore portoghese prova a cancellare la dimensione corporea dal gioco del calcio. È diventata relativamente celebre la scena di All or Nothing Tottenham, in cui cerca di forzare i tempi di recupero di Son da un avambraccio fratturato. E allo stesso modo The Athletic ha raccontato di come al Manchester United avesse completamente smantellato il reparto di scienza sportiva allestito negli anni da Alex Ferguson, da cui non voleva interferenze nel giudizio sul recupero dei giocatori infortunati. La sua insofferenza verso lo staff medico in una squadra maledetta per gli infortuni come la Roma ha creato la situazione paradossale per cui quasi tutti i giocatori sono contemporaneamente sani ed infortunati, e nessuno conosce esattamente la loro condizione. Paulo Dybala ha giocato appena quattro partite per intero dall’inizio della stagione per infortuni muscolari via via sempre più incomprensibili; nel frattempo le notizie su Lorenzo Pellegrini costretto a giocare “stringendo i denti” sono diventate un meme, così come quelle che riguardano Chris Smalling, sparito dai campi di Trigoria da metà settembre ufficialmente per una tendinite. Qualcuno, scherzando, si è chiesto se rompendogli il crociato non si possano accorciare i tempi di recupero.

I giocatori più fedeli a Mourinho, comunque, sono quelli che giocano sul dolore, cioè ignorandolo, come per esempio Gianluca Mancini, ieri per un momento accasciatosi al suolo, in un momento di debolezza in cui ha ceduto al desiderio di ascoltare il suo corpo dopo partite e partite di problemi fisici trascinati per le lunghe. Sembrava sicuro dovesse uscire ma alla fine deve essersi ricordato cosa questo avrebbe significato.

È possibile allora che Mourinho abbia messo Renato Sanches davanti alla prova definitiva: nel momento più difficile, andare oltre la materialità del proprio corpo per trovare la luce della salvezza dall’altra parte. «Ormai viviamo una situazione di speranza, pensiamo sempre che la partita, le responsabilità, l'adrenalina, siano il modo ideale per aiutarlo a fare il salto», ha detto l’allenatore portoghese. Il salto, ha usato proprio questo termine, come se attendesse Renato Sanches in un’altra dimensione. Come ai martiri cristiani si chiedeva di gettarsi tra le fiamme con la promessa della vita eterna, così Mourinho ha chiesto a Renato Sanches di superare il corpo con la mente, e diventare così il titolare di questa squadra. Il centrocampista portoghese ci ha provato, ha toccato il pallone 9 volte completando 4 passaggi e vincendo addirittura un duello aereo, ma alla fine come sappiamo ha fallito. «Ho capito di aver sbagliato», ha detto dopo la fine della partita José Mourinho «Perché lui non era pronto per fare questo salto».

Così come non è facile capire perché l’abbia messo in campo, però, allo stesso modo non è chiaro perché l’abbia tolto. Come ha fatto a capire Mourinho che Renato Sanches «non era pronto per fare questo salto»? Quando è tornato in panchina Renato Sanches è apparso piuttosto scosso dal cambio e il bordocampista di DAZN ha detto che nessuno nello staff della Roma lo ha degnato di uno sguardo. Disapprovazione per chi non si è dimostrato all'altezza di completare il salto? Mentre si rifiutava di indossare il giaccone che gli era stato offerto (chissà da chi) me lo immagino a rimuginare sulla propria partita, per capire cosa aveva fatto di così sbagliato. L'ho setacciata per provare a fare chiarezza.

Minuto 45: calcio d’inizio

E se fosse stato proprio il primo pallone toccato? Il buongiorno di vede dal mattino, si dice. Appena entrato in campo, Renato Sanches ha la responsabilità di toccare uno dei primi palloni del secondo tempo. L’arbitro fischia, Pellegrini tocca indietro per Paredes, che gli lascia l’incombenza di proseguire l’azione. Sanches non si prende responsabilità, toccandola di prima all’indietro verso Llorente. Una scelta troppo banale?

Minuto 46: retropassaggio

La Roma fa circolare il pallone in difesa, cercando di passare attraverso la pressione del Bologna con fatica. Mancini vede libero tra le linee Renato Sanches che, pressato alle spalle da Kristiansen, prende ancora la strada più semplice e si appoggia di prima al proprio terzino.

Minuto 47: tentativo di dribbling

Sanches dialoga ancora con Kristensen, che gli permette di isolarsi sulla destra. Il centrocampista portoghese sfrutta la sua sovrapposizione interna per puntare Kristiansen e andare in conduzione centrale, ma da dietro Saelemaekers lo recupera e gli sfila il pallone troppo facilmente. Questa è una di quelle azioni che, per chi si ricorda il primo Renato Sanches che faceva esplodere gli avversari intorno a sé a Euro 2016, sono difficili da guardare, provocano del dolore fisico, fanno pensare davvero a una maledizione.

Minuto 48: palla ciccata

La Roma riesce finalmente a passare tra le linee del Bologna. Pellegrini vede una ricezione ai fianchi di Freuler ma Renato Sanches affretta il passaggio e prova a colpire di prima con una strana piroetta per aprire subito per il solito Kristensen. La palla però lo ignora e arriva, senza nemmeno essere sfiorata, sui piedi di Kristiansen.

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Minuto 49: gol del Bologna

Non passa nemmeno un minuto e il Bologna raddoppia. Sul 2-0 Renato Sanches non ha responsabilità evidenti, ma è possibile che Mourinho abbia ancora fresco nella memoria l’errore di pochi secondi prima. Il centrocampista portoghese prova a correre all’indietro mentre la squadra di Thiago Motta si trova a memoria sulla trequarti, e con grande fatica riesce a controllare solo con gli occhi prima l’inserimento in area di Moro, preso in consegna da Mancini, e poi quello di Ndoye, che provocherà l’autogol di Kristensen.

Minuto 50: nuova palla persa

Nuovo calcio d’inizio, altra ricezione di Renato Sanches, nuova palla persa. Il centrocampista portoghese riceve tra le linee da Paredes ma non riesce a difendere il pallone con il corpo, e se lo fa sfilare da sotto il piede da Kristiansen che lo ha attaccato alle spalle. Forse per Mourinho questa è già la proverbiale terza prova che porta all’indizio.

Minuto 52: uno scatto d’orgoglio

Ennesima azione del Bologna sulla trequarti giallorossa, ma Renato Sanches non si dà per vinto. Sulla palla al limite dell’area per Saelemaekers lui mette la gamba da dietro, forse c’è una leggera spinta ma l’arbitro non fischia. La Roma recupera palla.

Minuto 55: duello aereo

Ancora il Bologna che fa carne da porco tra le linee, ma sul passaggio in verticale Moro decide di alzare inspiegabilmente un campanile per aprire il gioco sulla sinistra. Renato Sanches rincorre il pallone, poi anticipa di testa Saelemaekers, ma la sua vitalità si scontra con il grigiore dei suoi compagni di squadra. Kristensen sembra come sorpreso e si fa rimbalzare il pallone sulla faccia, restituendolo alla squadra di Thiago Motta.

Minuto 57: segnali di miglioramento

Il momento in cui forse Renato Sanches ha pensato che stava ingranando, che illuso. Altra ricezione tra le linee, su di lui è costretto a uscire Calafiori, ma il centrocampista portoghese conduce verso il centro. Sanches si infila nell’imbuto del centrocampo del Bologna, resiste alla pressione di Ferguson e poi apre con un’idea semplice ma efficace per il solito Kristensen. L’azione non porta a nulla di tangibile ma lo stesso si può dire delle sue leggere sbavature. Eppure solo cinque minuti dopo - cinque minuti di corse a vuoto e un campanile sfiorato di testa - Mourinho decide di richiamarlo in panchina. Perché? La domanda rimane inevasa.

Per l’allenatore portoghese i giocatori sono, nel bene e nel male, i primi e gli ultimi responsabili di ciò che succede in campo, ma non sempre è facile rintracciare i segni di questa responsabilità. Come nei regimi totalitari, in cui anche la più banale azione quotidiana può essere interpretata come un imperdonabile segno di dissenso, quando le cose vanno male con Mourinho anche una corsa non fatta o uno sguardo sbagliato possono significare una non sufficiente aderenza alla causa. È la stessa partita di Sanches, nella sua insignificanza, ad essere quindi la prova della sua colpevolezza, cioè della sua inadeguatezza a questo livello. Non è successo niente, eppure niente da questa partita probabilmente gli verrà perdonato, a partire dallo stesso cambio, di cui Mourinho ha parlato come una scelta dolorosa a cui è stato costretto. «Per un giocatore è dura, ma lo è ancora di più per un allenatore, in carriera l'avrò fatto massimo 3 o 4 volte».

Non si sa bene adesso che fine farà Renato Sanches. Di lui Il Messaggero ha scritto come di quegli oppositori politici di cui si è già deciso il destino: "Renato non è ancora pronto e potrebbe non esserlo mai, per questo il rischio di vederlo sparire è concreto".

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