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L'11 settembre 2001 si giocò a calcio
02 apr 2020
02 apr 2020
Racconto di Roma-Real Madrid, disputata allo Stadio Olimpico poche ore dopo l'attentato alle torri gemelle.
(articolo)
15 min
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L’11 settembre del 2001 a Roma il sole è ancora caldo e bagna di luce i tetti. In Italia la tanto attesa ripresa economica stenta ad arrivare, le borse vanno a picco e Alitalia macina decine di miliardi di perdite. La Roma ovviamente è in crisi. Insomma, l’11 settembre del 2001 è una giornata come un’altra.

La squadra di Fabio Capello viene dalla vittoria dello scudetto e della Supercoppa italiana ma ha pareggiato in entrambe le prime due uscite di campionato, con Verona e Udinese. L’allenatore friulano ha già dato la colpa alla società, che aveva speso 60 miliardi di lire per Antonio Cassano: «Siamo pochi in difesa, quello è il nostro punto debole». Inutili gli arrivi di Leandro Cufré e Diego Fuser: Capello vuole Panucci, che ha già allenato al Milan e al Real Madrid, e che adesso è in esilio dal calcio d’élite nel principato di Monaco. Davanti è già iniziato il declino fisico di Batistuta, mentre con Montella la relazione proprio non vuole ingranare. I primi due gol della stagione sono stati segnati da Samuel e Tommasi.

Nella capitale è già arrivato il Real Madrid, che in campionato non se la passa meglio. Ha raccolto appena un punto nelle prime due giornate, perdendo con il Valencia e pareggiando con il Malaga, e forse per questo i toni di Vicente del Bosque nella conferenza stampa pre-partita sono stati più cauti del previsto. «La storia siamo noi, e basterebbe guardare l'albo d'oro della Champions League per capirlo. Ma con la storia non si vince, almeno stavolta, e in questo momento noi siamo uguali alla Roma» ha dichiarato il tecnico spagnolo «Abbiamo vinto il titolo, lo scorso anno, e pure la Supercoppa. Proprio come la squadra di Capello. Ma come la Roma di Capello siamo partiti maluccio in questa stagione». Accanto a lui c’è Figo, che invece sembra più sicuro di sé: «Da noi vale solo una regola: vincere sempre. E se qualcuno non lo capisce, meglio che si cerchi un'altra squadra». Forse una frecciata a Zidane, appena arrivato dalla Juventus ma assente per una precedente squalifica con i bianconeri, secondo cui un pareggio, alla fine, non sarebbe stato poi così male.

La partita segna il ritorno della Roma nella Coppa dei Campioni dopo 17 anni d’assenza (esatto, dalla finale del 1984 contro il Liverpool) e l’esordio assoluto nella moderna Champions League. In città c’è un’attesa palpabile, tanto più dopo la decisione della questura di aprire anche alla vendita di ulteriori seimila biglietti nei Distinti Nord, visto che i tifosi del Real Madrid hanno deciso di snobbare la prima uscita europea della propria squadra lasciando quasi deserto il settore ospiti (alla fine ne arriveranno appena una trentina). L’Olimpico sarà tutto giallorosso, come nelle serate da ricordare.

Ore 15.45

In Italia arriva la notizia per cui in realtà ricorderemo per sempre quella giornata. Due aerei si sono schiantati sulle Torri Gemelle di New York, forse per un incidente. Nel servizio del TG1 che annuncia le notizie si inizia subito a parlare di attentati terroristici e il pensiero va immediatamente al conflitto tra Israele e Palestina. A Gerusalemme «lì dove tutti adesso guardano», come dice l’anchorman del telegiornale. Il Fronte Democratico per la Palestina, però, ha smentito di aver rivendicato l’attentato, come aveva annunciato all’inizio una non meglio precisata televisione di Abu Dhabi.

Secondo i giornali, il panico si diffonde per le strade di Roma come inchiostro rovesciato su una pagina bianca. «Lo sapevamo tutti che ormai in Medio Oriente la situazione era degenerata», dice una maestra di una materna comunale di viale Trastevere sentita da Repubblica «Sono queste le conseguenze. Un atto inimmaginabile che ci porterà tutti alla terza guerra mondiale. Dobbiamo incontrare Veltroni domani nel nostro quartiere. Ma siamo certe che la riunione verrà cancellata». Il signor Mario di via della Lungara rilancia: «Non è iniziata la terza guerra mondiale. È cominciata la fine del mondo. Se hanno avuto il coraggio di attaccare gli Stati Uniti arriveranno qui, colpiranno i punti strategici, non ci faranno più vivere. E io a Milano stasera ci vado in macchina».

Apprendo dai commenti su YouTube che per molti della mia generazione, quella cioè nata tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, l’11 settembre ha significato l’interruzione dei propri programmi televisivi preferiti da bambini per le edizioni straordinarie dei telegiornali. Per molti è la Melevisione. 90Goblin sotto al video del TG1 scrive: «Ricordo ancora le ultime scene prima dell'interruzione: Tonio Cartonio stava rimproverando Principessa Odessa per aver maltrattato i suoi amici... Poi la sigla dell'edizione straordinaria».

Ore 16.05

Su via Prenestina, all’incrocio con piazza Gabellini, c’è uno scontro frontale tra due tram. Il conducente di quello che stava andando verso Porta Maggiore invece di andare dritto ha inspiegabilmente girato a sinistra, causando l’impatto. Nello scontro ci sono una quarantina di feriti di lievi. Uno di questi ricorda: «Stavo ascoltando le notizie appena giunte da New York. Qualcuno si preoccupava che annullassero Roma-Real Madrid. Tutto era appena successo, forse non ci credevamo ancora».

Ore 16.28

Dopo la prima, crolla anche la seconda torre. Alla UEFA finalmente capiscono la gravità della situazione e contattano le autorità sportive dei paesi interessati dalla giornata di Champions League, che però non hanno risposte. Il segretario generale della massima autorità calcistica europea, Gerhard Aigner, contatta allora prima i vertici dell’Unione Europea e poi Joseph Blatter. Con loro decide di non decidere: l’eventuale annullamento della giornata di Champions League andrà concordata con i ministeri degli interni dei paesi interessati. Secondo la Gazzetta dello Sport, però, quest’ultimi non hanno ancora “una definita cognizione dell'estensione della tragedia”.

Nel frattempo la Juventus è a Oporto, dove sta concludendo l’allenamento di rifinitura prima della partita di Champions che si terrà il giorno successivo. Del Piero ha sgridato i suoi compagni, distratti dalle immagini di New York. Tornati nell’Hotel Palacio, dove i bianconeri risiedono, però, avviene l’inaspettato. Nell’albergo inizia a suonare l’allarme mentre dagli altoparlanti delle camere viene dato l’ordine d’evacuazione in portoghese. Accanto all’hotel c’è un centro commerciale che si chiama World Trade Center e qualcuno ha chiamato la polizia per avvertire che di lì a poco ci sarà un’esplosione. Il primo a scendere è proprio Del Piero, addirittura con la valigia già fatta, poi Salas, Iuliano, Ferrara Thuram e tutti gli altri. Solo per ultimo, dopo una lunga attesa, arriva il dirigente Graziano Galletti, rimasto in camera fino all’ultimo perché pensava fosse uno scherzo di Luciano Moggi.

Ore 17.30

Il Valencia è bloccato a Novorossiysk, in Russia, dove tra due giorni dovrebbe giocare in Coppa UEFA. All’aeroporto di Krasnodar è arrivata la notizia dell’attacco alle torri e le autorità russe non vogliono far passare la squadra di Rafa Benitez. I giocatori vengono chiusi in una stanza di 30 metri quadri presidiata da due militari armati. Dentro solo alcuni divani in pelle verde acqua e una piccola televisione appesa al muro, che trasmette le immagini dei notiziari. Amedeo Carboni sente i muri che si stringono intorno a lui e vuole tornare a casa. Quindi va dal dirigente accompagnatore della squadra, Manolo Llorente, e lo implora: «Manolo andiamo a Roma, poi ci penso io a cercare un hotel per tutti». È una richiesta che ha un suo senso, dato che l’aereo che ha portato il Valencia in Russia è teoricamente lo stesso che dovrebbe riprendere il Real Madrid a Roma. Ma dalla UEFA ancora non fanno sapere nulla sull’annullamento della giornata di coppe.

Ore 18.00

In Russia inizia ufficialmente la giornata di Champions League. In campo, a Mosca, scendono Lokomotiv e Anderlecht, avversarie proprio di Roma e Real Madrid nel girone A. La UEFA non ha ancora fatto sapere niente, anche perché dai ministeri degli interni dei paesi interessati arrivano segnali contrastanti. La polizia di Istanbul, dove si giocherà Galatasaray-Lazio, ad esempio ha fatto sapere che gran parte del pubblico ha già preso posto all’interno dello stadio ed evacuarlo adesso significherebbe provocare gravi problemi d’ordine pubblico. Un’altra preoccupazione che arriva a Nyon è quella di dover rimandare indietro i tifosi che sono arrivati in città in macchina o in treno, e che “avrebbero potuto addirittura reagire male”, secondo quanto riporta la Gazzetta. Tra questi ci sono anche 16 ultras della Juventus partiti da Torino con due pullmini che riceveranno la notizia dell’annullamento della partita all’arrivo a Oporto, mercoledì mattina. Saranno costretti a tornare indietro immediatamente, abbattendo forse il record mondiale di ore consecutive passate alla guida.

Ore 18.30

L’Italia, dopo vivaci dibattiti interni, si schiera. Il presidente della FIGC, Franco Carraro, manda un fax al segretario generale della UEFA, Gerhard Aigner, in cui chiede l’annullamento della giornata di Champions “per ragioni di sensibilità e logistica”. Anche il presidente della Roma, Franco Sensi, telefona al prefetto per comunicare la volontà del club di non giocare. Secondo Repubblica, che ricostruisce quella giornata, i bagarini fanno crollare i prezzi dei biglietti “e ti danno una curva al prezzo di costo, e anche meno”. Non tutti in Italia sono convinti, però. Tra gli scettici c’è anche il presidente del CONI Gianni Petrucci, più incline ad ascoltare i timori delle forze dell’ordine che non vorrebbero evacuare lo Stadio Olimpico così a ridosso della partita. È proprio Petrucci, con un’incredibile prova di trasformismo all’italiana, a convincere Aigner a non rinviare le partite serali. Alla fine si opta per la più democristiana delle vie di mezzo: si gioca, ma con il lutto al braccio e senza inni, per non dare un’immagine di festa in questo momento drammatico. In Germania si decide di trasmettere le partite senza commento.

Ore 20.40

Lo stadio Olimpico è stracolmo ed eccitato. Evidentemente sono pochi i tifosi che, anestetizzati dalle immagini del pomeriggio, hanno deciso di rinunciare a questa serata storica. Tra questi c’è Andrea Petroni, che scrive a Repubblica il giorno dopo: «Ho passato l'intero pomeriggio e la sera a seguire le notizie che giungevano dagli Stati Uniti. L'orrore rimandato in diretta dalla televisione, migliaia di morti e distruzione ovunque, riempie di tristezza gli occhi e il cuore. Il mio biglietto per la partita Roma-Real Madrid all'Olimpico, ottenuto dopo oltre nove ore di fila, è ancora sulla scrivania, non utilizzato». Quello dello sforzo per ottenere il biglietto è però anche la motivazione che adducono i tifosi che allo stadio alla fine ci sono andati: «Sarei anche potuto rimanere a casa, ma hai idea di quello che ho fatto per avere questo biglietto? Ore e ore di fila, l'ho comprato una settimana fa e l'ho controllato nervosamente tutti i giorni fino a oggi. È sempre stato nel cassetto, ma sai com'è, ero convinto volasse via da solo», dice un certo Riccardo abbonato in Curva Sud.

Foto di Vincenzo Coraggio / LaPresse.

Lo stadio è del tutto privo di quel silenzio teso, di quel clima impaurito che trapela nei pezzi che in questi anni hanno ricordato quella partita, forse per redimere a posteriori il senso di colpa collettivo per quella serata. In un’intervista a Vincenzo Montella in occasione del decimo anniversario viene aggiunta nel titolo l’espressione “notte irreale” che nelle sue risposte non compare. Si legge invece che «lo stadio era stracolmo, c'erano 70mila spettatori che fremevano dalla voglia di tornare a respirare il grande calcio». Ed è effettivamente quello che sembra, rileggendo i resoconti e riguardando le immagini di quasi 20 anni fa.

Qui trovate il primo tempo completo, compreso il minuto di raccoglimento.

Quando Pelizzoli esce sul campo per il riscaldamento il pubblico lo applaude e poi inizia a cantare il coro “finché vedrai/sventolar questa bandiera” sulle note di Bandiera Gialla. Carlo Zampa, storico speaker dell’Olimpico, per rispetto del dramma legge la formazione della Roma come di solito legge quelle degli avversari, cioè in maniera piatta e senza il suo solito climax di soprannomi. Quando arriva a Totti, ad esempio, non prepara il momento dicendo “è arrivato il momento del Capitano, del nostro Capitano, del gladiatore giallorosso, del bimbo de oro, con il numero 10…” ma dice semplicemente, con voce fredda, “con il numero 10, Francesco Totti”. All’entrata delle squadre in campo, però, lo stadio non si tiene più e decide comunque di cantare l’inno di Venditti a cappella. L’assenza di striscioni sulle tribune non è legata a quanto successo a New York, ma a una contestazione fatta dall’UTR (l’Unione Tifosi Romanisti) e altri gruppi organizzati che non si erano visti riconosciuti dei biglietti dalla società.

La Roma indossa la cosiddetta maglietta Palio, metà arancione e metà bordeaux, mentre il Real Madrid è in classica tenuta bianca, con quei caratteri tipografici neri sulle spalle che nella mia memoria abbino naturalmente alla celebre finale con il Bayer Leverkusen. Quando l’arbitro fischia per segnalare l’inizio del minuto di silenzio, abbassando i palmi delle mani verso terra come a dire a tutti di fare piano, tutto lo stadio applaude fragorosamente all’unisono. Dopo pochi secondi dalla Curva Sud parte anche l’inno di Mameli, evidentemente la nostra ciambella di salvataggio emotiva nei momenti di minaccia esistenziale.

Nel frattempo anche la Lazio è in campo, a Istanbul, e sta vivendo un momento ancora più surreale. Dopo il fischio dell’arbitro, infatti, il pubblico ha iniziato a fischiare il minuto di silenzio, generando lo sconcerto generale. Dopo la partita sarà costretto a intervenire direttamente Fatih Terim per spegnere le polemiche, con una diplomazia che si addice perfettamente a chi viene chiamato l’Imperatore. «Nella maggior parte della Turchia i fischi sono segno di protesta, non di approvazione. Quei fischi potrebbero essere un tipo di protesta nei confronti dei terroristi» dichiara Terim «La Turchia è da trent'anni obiettivo delle azioni terroristiche, saremmo noi i primi a condannarle. In qualsiasi parte del mondo accadano, non possiamo accettarle. Inoltre sapete che da tanto tempo c'è amicizia tra Turchia e Stati Uniti».

Ore 20.45

Comincia la partita. Ed è una partita di altissimo livello tecnico, che sarebbe un peccato seppellire ancora una volta con il nostro senso di colpa. Di seguito ho cercato di mettere in fila le cose che più mi sono rimaste impresse, non del tutto convinto che la storia mi assolverà:

  • In campo, contemporaneamente, ci sono Casillas, Emerson, Samuel, Hierro, Totti, Batistuta, Guti, Cafu, Figo, Raul, Montella, Roberto Carlos, e Makélélé;

  • La Roma gioca inizialmente con il 3-4-1-2, con il tridente Totti-Batistuta-Montella e una formazione resa ancora più spregiudicata dalla presenza al posto di Tommasi di Assunçao, non il massimo del dinamismo;

  • Guti gioca di fatto da seconda punta, in un Real Madrid molto rigido schierato con il 4-4-2;

  • Totti è al massimo del suo splendore iconico, con i capelli lunghi bagnati tirati all’indietro, i calzettoni a mezzo polpaccio e le Total 90;

  • Casillas invece è giovanissimo e sembra letteralmente un bambino;

  • Non c’è ancora il pallone della Champions, e si gioca con quello della Kappa della Roma;

  • Montella aveva una tecnica raffinata e associativa, ma era il contrario di ciò che chiedeva Capello ai suoi giocatori offensivi, che erano spesso lasciati isolati da manovre estremamente verticali e dirette. Alla fine del primo tempo l’attaccante campano viene sostituito per fare posto a Lima;

  • Da un punto di vista creativo, la partita si potrebbe ridurre a una sfida a chi dà l’assist più assurdo tra Totti e Guti. Ve ne lascio un paio per decidere il vostro vincitore personale, ma vi invito a guardare anche il resto della partita se avete bisogno di un po’ di bellezza per reggere questa quarantena;

  • Il risultato avrebbe potuto essere molto più largo dell’1-2 finale, con la Roma che si divora per tre volte la possibilità del pareggio (prima con Cassano, poi con Balbo e infine con Batistuta) e il Real Madrid a cui viene negato l’1-3 di Raul da una parata incredibile di Pelizzoli;

  • Guti dopo aver segnato lo 0-2 esulta con la faccia tirata sulla maglietta buttandosi a terra come se avesse fatto gol in finale, fregandosene totalmente del contesto in cui si gioca la partita;

Ore 23

Finita la partita le dichiarazioni sono stringate e non si parla troppo di calcio. Secondo Capello non si sarebbe dovuto giocare: «Abbiamo passato il pomeriggio davanti alla tv. Anche qualche giocatore forse è rimasto condizionato. Ma questa non è una scusa per la sconfitta». Gli fa eco Totti, che dichiara: «A un certo punto, eravamo sicuri di non scendere in campo». Il più duro, comunque, è Franco Sensi, che ribadisce la sua posizione espressa nelle ore precedenti: «Quello che è successo negli Stati Uniti è incredibile. È dalla fine della Seconda Guerra Mondiale che non si vedevano scene così. Una tragedia così grande forse meritava un'interruzione del calcio».

Il contegno per la tragedia americana dura pochi minuti. Subito dopo il presidente della Roma annuncia l’acquisto di Panucci, con cui finalmente può scaricare le responsabilità sull’allenatore e sulla squadra. «Questa non è la Roma dello scorso anno. Fisicamente non ci siamo, non reggiamo ancora i novanta minuti. A centrocampo giocatori importanti come Emerson non sono ancora in condizione e quindi soffriamo troppo», dice Sensi che poi, sibillino, stuzzicato sui grandi attaccanti del Real Madrid, aggiunge: «Sono più forti dei nostri». Una frase che oggi ci sembra poi non così provocatoria, ma che aggiungeva un livello di tensione all’inizio terribile dei campioni d’Italia in carica. Non è un caso che Montella, provato dal lungo scontro con Capello, non si fece pregare due volte per rispondergli: «Beh, allora che il presidente li acquisti tutti».

La Roma e il calcio erano già tornati alla normalità, che forse in realtà non se n’era mai andata. Il giorno dopo, alla luce dell’annullamento della giornata di Champions League da parte della UEFA, si discusse per qualche giorno del rinvio anche della giornata di campionato. «È doveroso riflettere di fronte a queste vicende così angoscianti, anche il mondo del calcio deve farlo», disse il CONI attraverso la voce di uno dei consiglieri del presidente Petrucci. Ma alla fine non se ne fece più niente e in maniera non sorprendente prevalse l’idea gattopardesca di Umberto Agnelli, che non era d’accordo a fermare il calcio fin dall’inizio: «La cosa migliore era non giocare né martedì né ieri. Ma visto che l'altra sera si è andati in campo, bisognava farlo anche il giorno dopo».

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