Foxcatcher
Nonostante se ne sia parlato poco, Foxcatcher è stato uno dei film sportivi più raffinati degli ultimi anni. I premi che ha vinto lo dimostrano in parte: “Prix de la mise en scene” al Festival di Cannes e cinque nomination agli Oscar.
È un film tratto da una storia vera, quella del campione olimpico Dave Schulz e del rapporto con il suo allenatore, il ricco e perverso John E. du Pont. Se non conoscete la vicenda non vi dirò molto di più sulla trama per lasciarvi intatta la sorpresa del film, che comunque è ricco di tematiche profonde. Il rapporto genitori-figli e allenatore-atleta, l’omosessualità nello sport e negli sport di contatto in particolare. È un film che non rispetta il canoni dei film sportivi classici, ma che è interessante guardare proprio per la sua eleganza e profondità nell’affrontare temi universali dello sport.
Ultras
È l’esordio alla regia di un lungometraggio per Francesco Lettieri, autore di videoclip diventati di culto negli ultimi anni. I fan di Liberato – che ha curato la colonna sonora del film – possono riconoscere anche in Ultras la cifra stilistica di Lettieri: l’estetica vintage ma contemporanea, la poetica della strada, la cura dei dettagli fino a creare un effetto ultrapatinato. Il film è uscito pochi giorni fa ed è stato piuttosto divisivo nelle critiche, tra chi ci ha visto una ricostruzione insopportabile e artefatta dell’universo ultras, e chi invece un tentativo di andare oltre i luoghi comuni e l’atmosfera di criminalità. Comunque lo trovate su Netflix, poi diteci cosa ne pensate.
Amateur
I tempi cambiano, il cinema si adegua. Koo ha promosso il suo progetto sul web nel lontano 2011 e ha progressivamente coinvolto Tony Parker nelle vesti di consulente-produttore e la piattaforma Netflix per la distribuzione. In questi sette anni di sviluppo i social network hanno modificato in modo sempre più incisivo la vita degli adolescenti; le dirette su Instagram hanno rapidamente preso il sopravvento sugli altri mezzi di comunicazione e hanno contribuito a far nascere nuovi canali per vivere il basket a 360 gradi. Un aspetto che la sceneggiatura ha centrato alla perfezione e ha felicemente integrato con la denuncia sociale che ha animato le intenzioni del suo creatore. Siamo di fronte a un eccellente esempio delle potenzialità del cinema indipendente che incontra la passione per la palla a spicchi. Koo ha vissuto in prima persona il clima di esaltazione e di profonda rivalità che si respira intorno alla squadre universitarie della “Tobacco Road” nel North Carolina (dove in 40 chilometri sono concentrati quattro programmi cestistici di grande livello) e ha dedicato il suo progetto più ambizioso alla pallacanestro e alle evidenti contraddizioni del mondo amatoriale NCAA.
La storia ruota attorno al difficile percorso di crescita di Terron Forte, un 14enne con un grande talento per la pallacanestro e un importante problema di apprendimento che arriva a compromettere anche la sua gestione del cronometro dei 24 secondi. Un aspetto che non basta a scoraggiare i reclutatori scolastici che, dopo una serie di video pubblicati in rete e presto diventati virali tra i giovanissimi, non esitano a bussare alla porta del prospetto e della sua famiglia. È il principio di una avventura che attraversa e fotografa con spietata freddezza il mondo delle “Prep School” che anticipano e indirizzano il passaggio verso le grandi università. La trama si sviluppa intorno alla giungla che ogni ragazzo con grandi potenzialità deve affrontare: brand di abbigliamento, agenti, allenatori e istituzioni scolastiche pronte a spremere ogni potenziale dollaro da ragazzini spesso inconsapevoli. Protagonisti privi di una assicurazione medica e sedotti da regali di ogni genere che funzionano più come uno strumento di ricatto che come incentivo vero e proprio.
La passione per il gioco trasuda da ogni inquadratura, le movenze del protagonista (Michael Rainey) sono curate in modo maniacale ed imitano egregiamente lo stile che abbiamo imparato ad apprezzare nella moderna NBA (con vaghi accenni al Markelle Fultz collegiale). Il ritmo delle azioni e dei fotogrammi decelera per enfatizzare certi movimenti per poi accelerare di colpo per rendere al meglio la sensazione dinamica propria di questo sport. La fluidità del gioco ricorda qualche discreto film di azione, un merito non trascurabile considerando la complessità tecnica di certi fondamentali. La necessità di regalare al pubblico una sensazione di realismo non si dimostra mai un problema ed esalta le qualità del giovane regista. Le discrete prove degli attori agevolano dei dialoghi abbastanza riusciti e il personaggio del Coach Gaines (Josh Charles) sintetizza efficacemente una nutrita dose di stereotipi con cui abbiamo imparato a convivere al livello collegiale.
La critica non si è dimostrata entusiasta di questo lungometraggio e il passaparola tra appassionati è rimasto abbastanza sottotraccia: elementi che hanno fortemente limitato la visibilità di Amateur nei primi mesi di presenza sul catalogo Netflix. Spesso le recensioni hanno cercato accostamenti forzati con dei mostri sacri come He Got Game e hanno bollato superficialmente il lavoro di Koo come una sorta di remake del famoso lavoro di Spike Lee. La storia perde mordente solo nel finale, un peccato veniale. La traduzione italiana ed i relativi sottotitoli dimostrano una scarsa connessione con la pallacanestro e si perdono in qualche piccola incongruenza che potrebbero confondere le idee degli appassionati meno esperti. Ma merita senza dubbio una possibilità.