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Stefano Piri
10 gol di Borriello, bellissimi e superflui
21 set 2017
21 set 2017
Che ci ricordano che avrebbe potuto avere una carriera migliore.
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Stefano Piri
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Borriello non è un giocatore simpatico perché non ha mai dato l’impressione di farsi in quattro per restituire agli spettatori in termini di vittorie ed emozioni quello che la natura gli ha dato. Borriello non è un giocatore simpatico anche per quella bellezza fisica, quasi beffarda, da modello classico, che accompagna il suo talento calcistico, non fenomenale ma comunque sufficiente a farci pensare che avrebbe potuto fare di più.

 

Oggi lo troviamo appesantito - è inevitabile per un giocatore della sua stazza a 35 anni - ma una decina di anni fa Borriello sembrava una specie di discobolo eneo trasferito su un campo di calcio: abbastanza alto e potente (1 e 85 per 76 chili di muscoli) da duellare fisicamente con qualunque difesa, ma non così tanto da risultare impacciato o statico; piazzato come un lottatore sul ring, ma con abbastanza esplosività nelle gambe da scaricare tutto il suo peso in orizzontale quando doveva attaccare la profondità. Capace di proteggere la palla come in un duello in gabbia e dotato di una coordinazione naturale che gli consentiva di arrivare all’impatto di testa o persino in acrobazia con una tecnica sicura e pulita.

 

Tutte caratteristiche che hanno fatto di Borriello un predestinato a livello giovanile, uno di quei giocatori sul cui talento gli addetti ai lavori continuano a scommettere anche contro ogni evidenza di campo. È diventato una chiacchierata nei primi anni di carriera, segnati da incomprensioni e scandaletti grotteschi come quello del doping/crema vaginale della celebre fidanzata.

 

A 25 anni è sbocciato improvvisamente al Genoa e per un po’ è sembrato sul punto di diventare un centravanti da Nazionale, indossando a rotazione le maglie di tutte le grandi di quel periodo, ad eccezione dell’Inter. Dappertutto si è lasciato alle spalle un ricordo ambiguo, mai veramente negativo ma sempre intorbidito da distacco e incomprensione. Ci ha messo del suo con scelte di carriera ispirate da quel genere di schiettezza mercenaria che fa di te un’affascinante canaglia solo se sei Ibrahimovic.

 

Infine negli ultimi anni ha trovato una sua dimensione da goleador a contratto breve, e adesso c’è chi vorrebbe incastrarlo in una mitologia plebea del bomber “di provincia” che non ha nulla a che vedere con la sua carriera.

 

Non è difficile prevedere che Borriello sarà dimenticato in fretta, quando smetterà di giocare. La sua carriera è curiosamente priva di picchi emotivi a cui la memoria possa aggrapparsi. Quasi mai è stato protagonista di grande vittorie o di grandi sconfitte, raramente ha determinato in positivo o in negativo il destino della squadra in cui giocava. Ha vinto due Scudetti, uno da ragazzino (con il Milan) e l’altro da riserva (con la Juventus), e persino una Champions League, prima da squalificato e poi ai margini della squadra (sempre con il Milan). Le stagioni migliori le ha giocate da trascinatore di squadre da salvezza tranquilla, come il Genoa del 2008/2009 o il Cagliari dell’anno scorso. Insomma, non proprio materiale per gli annali.

 

Eppure, riguardando i 96 gol di Borriello in Serie A mi sono reso conto che più della metà sono gol belli, o bellissimi, inventati dal niente o segnati in condizioni difficilissime. Per quanto abbia segnato un buon numero di gol da centravanti puro, di testa o a poca distanza dalla porta, Borriello non ha mai smesso di usare il suo sinistro educatissimo per inventare traiettorie impensabili, magari al volo o in acrobazia, da posizioni dalle quali attaccanti ben più celebrati di lui faticherebbero anche solo a centrare la porta.

 

Ancora oggi, quando sospetto che i chili che si porta addosso siano ben più dei 76 che Wikipedia continua a riportare in ricordo dei bei tempi andati, Borriello porta a spasso per l’Italia i segni dell’aristocrazia tecnica a cui è sempre appartenuto. Anche il

un paio di settimane fa, a giro sul secondo palo, ne è una testimonianza, se si pensa che lo ha segnato con il piede debole.

 

Forse per questo Borriello non è un giocatore simpatico: per la sensazione che un giocatore capace di segnare cento gol in Serie A avrebbe potuto facilmente segnarne centocinquanta o duecento, se solo si fosse impegnato di più e avesse avuto un atteggiamento più umile.

 


 



 

Tendiamo a pensare che la mancata esplosione di Borriello da giovane sia dipesa dal brutto carattere o dall’eccessiva frequentazione di locali e belle ragazze, ma la verità è che i suoi primi anni di carriera sono l’esempio di come gli istituti contrattuali del prestito e della comproprietà abbiano contribuito a rovinare la carriera di molti giovani italiani della sua generazione. Il Milan lo tiene nelle giovanili fino al 1999, e poi inizia a farlo rimbalzare in giro per l’Italia senza seguire alcun criterio razionalmente comprensibile: comproprietà al Treviso, prestito alla Triestina, ritorno al Treviso, riscatto del Milan, prestito all’Empoli, un anno di panchina al Milan, prestito alla Reggina, prestito per mezza stagione alla Samp e poi al Treviso, un altro anno di panchina al Milan interrotto dalla positività a due metaboliti del cortisone e dalla sospensione per tre mesi.

 

Per otto (OTTO!) anni la squadra forse più forte al mondo non riesce ad abbozzare un piano di crescita per il ragazzo. Ciclicamente la dirigenza si incapriccia a trattenerlo a Milanello, dove ovviamente non trova spazio, poi si pente e lo impacchetta in fretta e furia verso destinazioni che non tengono in alcun conto il bisogno di continuità e fiducia di un giocatore così giovane: a Empoli è chiuso da Di Natale, Rocchi e Tavano; alla Reggina e alla Samp da un Bonazzoli nei suoi anni da Nazionale, con Bazzani e da Flachi a dare la doppia mandata. A Treviso nel 2006 finalmente è titolare, ma in una squadra già retrocessa a gennaio (quando lui ci arriva) e tra le più inadeguate alla massima categoria che si fossero viste fino a quel momento.

 

Eppure, anche naufragando in questo oceano di pressapochismo, Borriello riesce ad inviare regolarmente dispacci del proprio intatto talento a chi abbia la pazienza per intercettarli. Il 14 maggio 2006 il Treviso saluta la Serie A giocando in casa contro l’Udinese. Dopo il vantaggio ospite, Borriello si prende in spalla la squadra mettendo in scena per i pochi intimi del Tenni il suo personale

in crescendo. Prima sfiora il pari con una serpentina personale dal vertice sinistro dell’area, poi raccoglie un pallone lungo che ha attraversato l’area da calcio d’angolo, lo controlla e da posizione angolata calcia di sinistro in modo sinceramente impressionante, dando alla sfera la forza, l’effetto e la precisione di una pallina da tennis. Muntari si sostituisce al portiere, facendosi espellere e determinando il rigore che Borriello stesso trasforma con freddezza.

 

È però a un quarto d’ora dalla fine che Borriello sale tre o quattro gradini su una scala immaginaria, e da lassù con la fronte indirizza verso il palo più lontano il cross carico di effetto ma lento che Filippini gli ha fatto arrivare dalla trequarti.

pieno di piccole trasgressioni alle leggi della fisica: il tempo che Borriello trascorre a mezz’aria, la forza che riesce a imprimere al pallone spedendolo fuori dalla portata del portiere. La risonanza è in un certo senso amplificata dal piccolo stadio e dal disinteresse primaverile che circonda la partita: il palcoscenico non sembra adeguato al livello del protagonista.

 


 



 

Visto che a Treviso Borriello ha iniziato a vedere la luce, il Milan pensa bene di trattenerlo per la stagione successiva e costringerlo a giocarsi il posto con i freschi campioni del mondo Gilardino e Inzaghi, con lo strapagato Ricardo Oliveira, e da gennaio per non farsi mancare niente anche con Ronaldo. Borriello (chi l’avrebbe mai detto) finisce per perdere un altro anno. Segna un solo gol, ma pesante e bellissimo, a Cagliari, dopo essere subentrato nell’intervallo allo sconcertante Oliveira.

 

Il corner battuto a campanile

sorvola l’area di rigore, nella mischia che segue Borriello si ritrova al limite dell’area piccola spalle alla porta, come se l’area fosse una cella e i due difensori avversari guardie che lo tengono ammanettato dietro la schiena. Stoppa il pallone di petto tenendoselo addosso, e poi si piega su se stesso in volo come una mano aperta che si chiude improvvisamente a pugno. La palla fischia verso la rete mentre Borriello si sta già ricomponendo per esultare, alla velocità di un giocatore grosso la metà di lui.

 


 



 

Quando nell’estate 2007 il Milan cede metà del suo cartellino al Genoa neopromosso, Borriello ha venticinque anni ed è già all’ultima chiamata per il calcio che conta. La squalifica per doping dell’anno precedente più che metterne in discussione l’integrità ha reso quasi impossibile prenderlo sul serio, e ha fatto immaginare a molti l’inizio di una parabola alla Francesco Coco. I genoani stessi sono per lo più scettici, e sembrano riporre più speranze nel recupero del plurioperato Figueroa che nella sua redenzione.

 

L’incontro che cambia l’inerzia della carriera di Borriello è quello con Gasperini, che il centravanti napoletano ricorda ancora oggi come il miglior insegnante di calcio incontrato e il miglior allenatore mai avuto (a pari merito con Conte).

 

Borriello segna il suo primo gol alla terza di campionato contro il Livorno risolvendo una situazione delicatissima, con la squadra che sta perdendo in casa dopo aver fatto un solo punto nelle prime due partite, e quindi con la panchina di Gasperini data già per traballante.

 

Il gesto tecnico più vistoso è naturalmente l’impatto con il pallone, con Borriello che torcendo la testa riesce a indirizzare la palla sul secondo palo (con una precisione che non ha bisogno quasi di nessuna forza) da posizione angolatissima, ma credo che la preparazione e la cattiveria con cui Borriello attacca il primo palo senza sapere se Rossi riuscirà a crossare raccontino bene con quanta determinazione stesse aspettando l’occasione di dimostrare finalmente il proprio valore.

 


 



 

Siamo al terzo gol di testa su quattro commentati in classifica, e non è un caso. Il colpo di testa è il fondamentale più cristallino di Borriello, quello su cui concordano anche i detrattori. Nel gol col Livorno lo abbiamo visto irrigidire il collo senza saltare e usare la fronte come una sponda a biliardo per indirizzare la palla nell’unico angolo possibile. Spesso in carriera lo abbiamo visto tuffarsi e torcersi a mezz’aria come un pesce nell’acqua per anticipare il difensore avversario all’altezza dell’anca o del ginocchio.

 

Questo gol invece apre la sua prima tripletta in Serie A e detta il tono della miglior stagione della carriera. C’e il dominio totale sugli avversari ingentilito da una complicità da artista con la palla, che prende uno strano giro dal basso in alto e va a infilarsi proprio sotto l’incrocio dei pali.

 


 



 

Nel 2009/2010 Borriello è capocannoniere del Milan con 15 gol e dimostra di non sfigurare nel tridente con Pato e Ronaldinho. Lui lo ricorda come “l’anno delle

” ma io voglio soffermarmi su questo gol segnato in Champions contro il Marsiglia.

 

Quello che definisce un attaccante “da grande squadra” è la capacità di trovare i diamanti nelle miniere di carbone, di capitalizzare al massimo circostanze che agli altri sembrano ordinarie. Qui riceve palla sulla trequarti e defilato, con la difesa avversaria un po’ in affanno ma tutto sommato piazzata. Non lascia spazio ad Heinze per intervenire, lo sfida e lo inganna con una finta che, a piede invertito, è identica a quella con cui Diego Milito farà girare la testa a Demichelis nella finale di quella stessa edizione della Champions. Poi con movimenti rigidi ma precisi Borriello prende la mira e batte Mandanda da posizione molto angolata. (Tanti anni dopo, con la maglia del Carpi, Borriello rifilerà lo stesso giochetto nientemeno che

)

 


 



 

Il periodo in cui abbiamo visto con maggiore continuità il giocatore che Borriello sarebbe potuto diventare in una dimensione parallela dove non esistono le distrazioni, gli infortuni e le scelte sbagliate, sono i primi sei mesi alla Roma. Tra settembre 2010 e febbraio 2011, prima che su di lui cada la pesantezza spirituale che in questi anni ha annichilito molti dei giocatori che si sono trovati in giallorosso nell’ombra di Francesco Totti, Borriello segna 17 gol.

 

Questo contro il Cluj è forse il gol più bello in giallorosso, una volée in corsa a incrociare in cui Borriello si snoda come un
pupazzo di gommapiuma e sembra poter vedere la porta con un paio di occhi supplementari dietro la testa.

 


 



 

Il primo controllo è uno dei fondamentali più decisivi per giudicare la tecnica di un calciatore. Nel caso di un centravanti possiamo addirittura paragonarlo al servizio di un tennista: controllando più o meno bene il pallone l’attaccante detta la piega dell’azione offensiva e determina in buona parte le proprie probabilità di successo. Quando ci chiediamo se un centravanti è tecnico credo che dovremmo partire da qui, invece di valutarlo secondo criteri di eleganza che sono più significativi per un esterno o un centrocampista offensivo.

 

Borriello è un vero specialista del genere, sia spalle alla porta, quando aggancia il pallone e lo fissa a poca distanza da sé, come se lui fosse un pianeta e la palla un satellite, sia in corsa, quando il collo morbido del suo piede sinistro sembra una corrente d’aria che raccoglie il pallone. Valga ad esempio il primo gol segnato nella Roma, contro il Bologna, molto più difficile di quanto possa sembrare guardandolo distrattamente, in cui Borriello controlla il pallone a campanile con una sicurezza da giocoliere, guadagnando il tempo che gli consente di sistemarsi il pallone con calma e freddare senza problemi Viviano.

 


 



 

Il gol è bello, soprattutto per via della solita coordinazione da ginnasta nel colpire la palla al volo e tenerla radente all’erba, ma è soprattutto il più importante della carriera di Borriello. Segnato a un quarto d’ora dalla fine sbloccando una partita maledetta con il Cesena, dopo uno show del quarantenne Antonioli, il gol di fatto mette al sicuro dalla rimonta del Milan il primo Scudetto della Juve di Conte. Borriello sta per compiere trent’anni, e questi sono i gol che gli sono mancati e avrebbero potuto dare un’altra piega alla sua carriera.

 


 



 

I gol segnati l’anno scorso al Cagliari sono davvero quasi tutti belli, ancor più delle abitudini di Borriello. Ci sono avanzate da carro armato e carezze perfide al pallone, colpi di testa che spaccano la porta e addirittura

. Questo contro l’Atalanta è però particolarmente notevole per l’insolita grazia con cui Borriello danza intorno al pallone, come un ottimo artigiano che a fine carriera si concede di esplorare la propria vena artistica. Poi calcia di collo esterno in modo così tagliato che il portiere crolla sulla sinistra riuscendo a seguire solo con lo sguardo la palla che invece schizza verso l’angolo opposto. Come si dice a volte degli attori di Hollywood che sbarcano nella mezza età, Borriello più invecchia più diventa bello.

 


 



 

L’azione ha una strana staticità da guerra di trincea, con tre giocatori del Genoa che improvvisano una specie di torello al limite dell’area ai danni di cinque o sei confusionari difensori dell’Udinese. Borriello tiene viva l’azione all’inizio, poi mentre Konko e Leon si scambiano la palla accenna vari tentativi di smarcamento. Infine si trova troppo addosso a Konko, che non sapendo bene cosa fare scava sotto il pallone e glielo serve più o meno all’altezza del collo.

 

La perfezione dei movimenti di Borriello ha qualcosa di innaturale, come una mossa speciale in un videogioco di lotta. La palla levita in aria mentre lui controlla di petto e palleggia girandosi in direzione della porta i difensori esitano come se il gioco fosse sospeso o si stesse svolgendo su un’altra dimensione. Infine Borriello scaglia la palla verso la porta con una rabbia composta da lanciatore del peso, imprimendole una curva talmente perfetta ed elegante che Handanovic non può arrivarci nonostante si sia tuffato con uno slancio da fuoriclasse e un anticipo da sensitivo.

 

È un gol tamarro come lo sono certi combattimenti irrealisticamente acrobatici nei film d’azione, un gol perfetto per riassumere la bellezza intermittente e superflua,

, del gioco di Marco Borriello. Ci ricorda, ancora una volta, tutto quello che sarebbe potuto essere, e non è stato. Borriello ha toccato ripetutamente il cielo con un dito, e qualche volta con tutto il palmo della mano, ma per qualche motivo non è mai riuscito ad aggrapparglisi e tirarsi su.

 

 

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