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Le 10 domande fondamentali sulla NBA 2023/24
24 ott 2023
Temi sparsi per farsi trovare pronti con l’inizio del campionato.
(articolo)
13 min
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IMAGO / ZUMA Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Wire
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Sono passati 133 giorni da quando i Denver Nuggets hanno vinto il primo titolo della loro storia e sono sembrati come minimo 1.033. Nel corso degli ultimi quattro mesi è successo di tutto, dallo sbarco in NBA di Victor Wembanyama a tutti i movimenti di mercato che hanno cambiato alcuni degli equilibri che avevamo dato per assodati.

La stagione 2023-24 è la prima in cui la NBA sta cercando attivamente di ridare lustro e interesse alla regular season, che per stessa ammissione del commissioner Adam Silver «ci era scappata un po’ di mano». Lotta al load management, torneo di metà stagione, qualche abbozzo di modifica per resuscitare l’All-Star Game e, soprattutto, una lotta per la post-season che almeno in una delle due conference dovrebbe durare fino al termine della stagione, anche perché dall’altra parte dell’arcobaleno non c’è una classe del Draft particolarmente significativa.

Detto questo, come da tradizione inauguriamo la nuova stagione con le 10 domande fondamentali per i prossimi otto mesi di partite.

Il perfetto equilibrio del quintetto dei Denver Nuggets compensa anche una panchina tutta da inventare?

Nonostante i movimenti di mercato che ci sono stati quest’estate, a livello di primi cinque giocatori nessuno arriva a toccare la perfetta simmetria della squadra di coach Michael Malone, capace con calma e lucidità di costruire il perfetto complemento per i giochi a due di Jamal Murray e Nikola Jokic. E ci sono margini di miglioramento per fare anche meglio, visto che le Finals di Michael Porter Jr. non sono di certo state ideali.

Quando si analizza la panchina, però, la situazione cambia. I campioni in carica hanno perso un co-titolare come Bruce Brown (non avevano alcuna chance di pareggiare l’offerta da 45 milioni di dollari in due anni degli Indiana Pacers) e un veterano come Jeff Green (utilissimo alla causa sia in campo che soprattutto fuori dove era uno dei leader). Al loro posto dovranno salire nella scala gerarchica Christian Braun – che era l’ottavo giocatore della rotazione e ora sarà il sesto uomo – e Peyton Watson – incensato da Calvin Booth come «nuovo Bruce Brown ma più difensivo», su cui ci sono grandi aspettative. A loro si aggiungono Reggie Jackson (rinnovato con un biennale da 10 milioni senza che ce ne fosse davvero un motivo), Zeke Nnaji (a cui bisognerà dare spazio dopo il rinnovo da 32 milioni in 4 anni) e il top scorer della preseason Julian Strawther (la cui consistenza difensiva va però testata quando si giocherà seriamente.

Avere un titolo da difendere e, soprattutto, il miglior giocatore del mondo in squadra aiuterà i Nuggets a poter migliorare la loro panchina anche a stagione in corso se ce ne dovesse essere il bisogno, o muovendosi sul mercato dei buyout (prima che le nuove regole lo impediscano per le squadre sopra il “second Apron”, soglia alla quale però i Nuggets non sono ancora arrivati) oppure usando la loro scelta 2024 alla deadline del mercato. In ogni caso, i campioni rimangono ottimamente posizionati per potersi ripetere anche in questa stagione, salute – ma questo vale per tutti – permettendo.

Una normale giornata in ufficio del Joker.

Quale squadra dell'Ovest può insidiare Denver?

A Los Angeles sponda Lakers non perdono occasione di mandare frecciatine in direzione del Colorado, segno che il 4-0 rimediato in finale di conference e le successive prese in giro da parte di coach Malone e altri membri della franchigia non sono state gradite. Serviranno ad aggiungere un po’ di pepe a una rivalità nascente, anche se la concorrenza a Ovest è davvero spietata. I Phoenix Suns hanno aggiunto Bradley Beal per creare una squadra con una quantità di shot-making (intesa come capacità di creare un tiro ad alta percentuale dal nulla) semplicemente insensata. E lo shot-making ai playoff tende a fare la differenza. Per riuscirci hanno dovuto sacrificare un po’ della loro profondità, ma dovranno accendere diversi ceri affinché Jusuf Nurkic non faccia rimpiangere Deandre Ayton e almeno tre dei tantissimi volti nuovi arrivati in estate tra i vari Eric Gordon, Grayson Allen, Nassir Little, Keita Bates-Diop, Drew Eubanks, Chimezie Metu e Yuta Watanabe possano essere schierabili in primavera (Bol Bol non fa parte di questa lista, ci dispiace).

Dietro a queste due, ogni squadra ha sia argomenti a favore che contro da poter mettere sulla bilancia. Golden State rimane Golden State, ma giocano in una division infernale e la salute dei Big Three + Chris Paul non è di certo priva di dubbi; per i Clippers vale lo stesso discorso, e rimangono legati a quanto riusciranno a rimanere in salute Kawhi Leonard e Paul George; i Memphis Grizzlies di solito sono una garanzia in regular season, ma oltre a non avere Ja Morant per le prime 25 partite dovranno anche fare a meno di Steven Adams per tutta la stagione, che senza mai dire una parola era il giocatore che maggiormente forniva loro un’identità sotto canestro.

In questo marasma, occhio ai Minnesota Timberwolves: hanno un quintetto base equilibrato al netto della convivenza Towns-Gobert ancora tutta da decifrare e profondità dalla panchina per poter cambiare assetto in corsa, oltre a una positional size con cui sarà difficile fare i conti per tutti (basti pensare che il 3 titolare, Jaden McDaniels, è cresciuto ulteriormente ed è vicino ai 2.10 pure lui). In più Anthony Edwards sembra pronto a fare un ulteriore salto di qualità per prendersi anche un posto nei quintetti All-NBA.

Chi rimane fuori dai playoff a Ovest e avrà una brutta estate?

I conti sono presto fatti: dando per scontato che San Antonio e Portland a un certo punto della stagione la diano su, anche perché non hanno così tanto interesse a competere subito per un posto al play-in, rimangono 13 squadre per soli 10 posti in post-season, e per ciascuna delle tre che rimarranno fuori dai giochi si prospetta un’estate non semplicissima. Sugli Utah Jazz probabilmente non ci sono così tante attese, anche perché alla dirigenza interesserebbe aggiungere una guardia in grado di prendere le redini della squadra attualmente nelle mani non sicurissime di Talen Horton-Tucker, Collin Sexton e Jordan Clarkson (a meno che non sia il rookie Keyonte George). Houston invece ha speso tanto in estate e ha assunto un allenatore come Ime Udoka per poter competere subito, anche perché per tenersi la loro scelta al Draft dovrebbero finire tra le ultime 4 e hanno già fin troppi giovani da dover sviluppare.

La second unit con Amen Thompson, Cam Whitmore e Tari Eason rischia di essere uno dei guilty pleasure del sottobosco NBA

Con ogni probabilità saranno allora gli infortuni a decidere chi rimarrà fuori dalla post-season tra Oklahoma City, Sacramento, New Orleans e Dallas, oppure anche una delle squadre trattate nella domanda precedente se dovesse farsi male il giocatore sbagliato. Ma per ciascuna di esse non raggiungere neanche il torneo play-in si prospetta come una stagione fallimentare, e le stagioni fallimentari tendono ad avere delle conseguenze pesanti in off-season. Auguri a tutti quanti.

Milwaukee e Boston hanno già ucciso la Eastern Conference?

Gli arrivi di Damian Lillard da una parte e di Jrue Holiday (più Kristaps Porzingis) dall’altra hanno fatto in modo che Bucks e Celtics si staccassero ulteriormente dal resto della concorrenza nella Eastern Conference, probabilmente ascendendo al rango di Contender con la C maiuscola insieme ai Nuggets. Per come si è allineata la conference, sarebbe molto strano non vederle battagliare per il fattore campo nella più che probabile eventualità che si incontrino in finale di conference a maggio inoltrato, lasciando alle altre il dubbio privilegio di giocarsi il terzo posto e un’uscita al secondo turno contro di loro.

A differenza dell’Ovest, che ha una contender conclamata e un livello medio altissimo, l’Est ancora una volta presenta due candidate per il titolo e un livello decisamente più basso nel resto delle squadre, specialmente con tutti i dubbi che circondano i Philadelphia 76ers (ci torniamo dopo), i Cleveland Cavaliers (usciti un po’ ridimensionati dai playoff dello scorso anno) e i New York Knicks (le squadre di Tom Thibodeau dopo qualche anno sembrano sempre arrivare a una scadenza improvvisa, e negli anni pari Julius Randle non rende come in quelli dispari).

Che tipo di regular season possiamo aspettarci dai Miami Heat?

Fallito l’assalto a Damian Lillard e persi due titolari come Gabe Vincent e Max Strus, i Miami Heat dovranno affidarsi di nuovo alle alchimie tattiche di coach Erik Spoelstra e al suo laboratorio di Giocatori Da Rotazione Che Neanche Sapevi Esistessero per sfangare un’altra regular season, magari stavolta evitando di dover passare dal torneo play-in dove lo scorso anno avevano rischiato l’eliminazione, salvo poi inventarsi una delle più incredibili cavalcate fino alle Finals della storia della lega.

Ormai è chiaro che Jimmy Butler è un “16-game player” e non un “82-game player”, anche se lo scorso anno ha avuto una regular season sottovalutata. Tyler Herro si ripresenta con qualcosa da dimostrare a sé e a tutto l’ambiente che era pronto a scaricarlo sul mercato, Bam Adebayo è un perenne candidato al premio di Difensore dell’Anno, Caleb Martin nei playoff dello scorso anno ha guadagnato una fiducia nei suoi mezzi su cui poter costruire. Da lì in poi però il roster è formato da incognite anagrafiche (Kyle Lowry e Kevin Love da un lato, Nikola Jovic e Jaime Jacquez dall’altro) e gli esperimenti di Spoelstra in mezzo. Con ogni probabilità i vice-campioni in carica rimangono la squadra più indecifrabile di tutta la NBA.

Quando e come si risolverà la questione James Harden?

Dopo che si è risolta la questione Lillard, quella legata a James Harden rimane lo snodo più importante di tutta la lega almeno dal punto di vista del mercato. Dopo un training camp in cui Harden ha recitato la parte del bravo soldatino che si allena (ma senza partecipare alle partitelle) e non fiata, una volta che ha capito che non stava funzionando ha cominciato a negarsi ai 76ers, disertando allenamenti e partite. Al momento la risposta alla domanda “Sarà in campo per la prima di regular season?” sembra più no che sì, ma la situazione è mutevole come un cielo d’autunno, perciò tutto può cambiare da un momento all’altro.

Che poi la questione Harden è centrale non tanto per Harden in sé, che arrivato a questo punto della carriera rimane un giocatore produttivo (miglior assistman della lega lo scorso anno a 10.7 assist a partita, più 21 punti di media e il 38.5% da tre) ma che non fa più parte dell’élite della lega. La questione è tutta legata a Joel Embiid: Philadelphia ha l’obbligo di ottenere dalla cessione di Harden uno o più asset in grado di convincere l’MVP in carica che a Philadelphia può avere le maggiori chance di vincere, anche se ormai un decennio di drama ininterrotto potrebbero averlo convinto del contrario. Daryl Morey, caduto un po’ in disgrazia dopo gli anni illuminati di Houston, si gioca una parte della sua reputazione e probabilmente della sua permanenza nella lega, ecco perché non può sbagliare.

La squadra numero 1 da seguire sul League Pass?

Passiamo alle note divertenti. Se non avete gli Oklahoma City Thunder in vetta alle vostre preferenze probabilmente avete un sacco dell’immondizia al posto del cuore (cit.). Shai Gilgeous-Alexander, Josh Giddey, Jalen Williams e Chet Holmgren sarebbero quattro giocatori da seguire anche se giocassero ai quattro angoli della NBA, figuriamoci tutti nella stessa squadra. Se volete salire sul carro dei Thunder, questo è l’anno in cui dovete cominciare a prendere posto prima che sia troppo tardi.

In attesa di vederli tutti assieme.

Nella Eastern Conference è impossibile non avere un occhio di riguardo per gli Indiana Pacers. Tyrese Haliburton è un genio della pallacanestro e con le sue visioni può fare felice qualsiasi compagno di squadra; ad aumentare l’attrattività dei Pacers si aggiunge la scelta di promuovere in quintetto Bennedict Mathurin e Obi Toppin, in grado di incendiare qualsiasi partita con il loro atletismo. Bisogna convincere coach Carlisle a lasciare loro briglia sciolta e farli correre, ma meritano la vostra attenzione.

Come si fa a tenere sotto controllo l'hype per Wembanyama?

Se Victor Wembanyama non è già entrato nelle vostre priorità mattutine, conviene che aggiustiate le vostre morning routine. Le sole quattro partite di preseason disputate hanno già fornito una quantità di giocate da riempirci una rubrica intera, ma al di là delle volte in cui vi farà esplodere il cervello, c’è anche tanta sostanza nel suo gioco: la quantità di campo che riesce a coprire difensivamente è in grado di cambiare la geometria del gioco fin dal primissimo giorno, anche perché gli attaccanti avversari non hanno ancora preso le misure alle sue misure. E anche l’aspetto del gioco in cui sembrava più indietro, cioè la capacità di passare il pallone e leggere i raddoppi, sembra già nettamente migliorata rispetto all’ultimo anno in Francia.

Che facciamo, un’analisi possesso per possesso di questa sequenza?

Ci saranno inevitabilmente serate con cattive percentuali, anche perché la selezione di tiro rimane selvaggia (ma se lo può permettere), e il record di squadra non dovrebbe essere granché, anche perché gli Spurs non hanno tutto questo interesse a vincere adesso. Però guardandolo non possono che venire dubbi: non è che è già troppo forte per tankare? E se gli Spurs iniziassero la stagione come i Jazz dello scorso anno? Che tipo di cifre può mettere su con un minutaggio superiore ai 30 minuti? Comprendo solo fino a un certo punto lo scetticismo sulla possibilità che quel tipo di fisico regga: Wembanyama ha già lavorato a lungo e bene sulla flessibilità articolare proprio per prevenire certi problemi, e almeno in questo primo anno ci sarà Zach Collins a prendere le botte per lui sotto canestro. Quindi, per rispondere alla domanda iniziale: davvero non ne ho idea come tenere sotto controllo l’hype.

Chi vincerà il premio di MVP?

Negli ultimi anni la sacra triade Antetokounmpo-Jokic-Embiid ha dominato non solo la vittoria del premio finale (bisogna risalire al James Harden del 2018 per trovarne un altro) ma anche la composizione del podio, e tutti e tre sono ancora nel prime della loro carriera per potersi confermare in vetta alla lega.

In linea teorica dovrebbe essere l’anno in cui Luka Doncic si inserisce stabilmente in questa conversazione, ma né lui né tantomeno i Dallas Mavericks sembrano pronti a questo salto di qualità, affrontando la stagione con più incognite (anche fisiche: come sta quel polpaccio?) che certezze. Jayson Tatum avrà dalla sua parte numeri e vittorie di squadra, ma la sensazione è che debba fare qualcosa di davvero speciale per poter scavalcare i tre mammasantissima (non è nemmeno escluso che accada: lo scorso anno ha tirato col 29% nelle triple dal palleggio, un numero che certamente non rende giustizia al suo talento realizzativo). Kevin Durant e Devin Booker finiranno per togliersi voti l’un l’altro, Steph Curry avrà già i suoi problemi a raggiungere quota 65 partite disputate per poter essere “eleggibile”, Shai Gilgeous-Alexander non raggiungerà il numero di vittorie di squadra per rientrare nel circolo ristretto dei top.

In-Season Tournament: che cosa aspettarsi dal primo anno?

La più grande novità della stagione è l’introduzione del torneo che si disputerà tra novembre e dicembre mettendo in palio per la prima volta un trofeo di squadra che non sia il Larry O’Brien (o uno dei due per i campioni della conference, che però non interessano a nessuno). Indipendentemente da quello che possiate pensare della formula ideata – che potete trovare qui – almeno per quanto mi riguarda rimane lodevole l’intento di rendere più competitiva la regular season, specialmente nel periodo che avvicina al Natale dopo aver smaltito la smania di vedere i giocatori nelle loro nuove squadre.

In una lega che storicamente cavalca la serialità delle proprie sfide con le serie al meglio delle cinque o delle sette partite, inserire il maggior numero possibile di incontri a eliminazione diretta aumenterà l’interesse, perché è più semplice convincere uno spettatore neutrale a occupare due ore del proprio tempo per una partita “autoconclusiva” (una squadra avanza, l’altra va a casa) rispetto a chiedergli di seguire un’intera serie in tutte quelle minuzie, aggiustamenti e accorgimenti che invece fanno impazzire gli appassionati. Non bisogna aspettarsi che da subito l’In-Season Tournament richiami l’attenzione quanto le Finals, ma dopo il successo del torneo play-in e l’impatto che ha avuto sul finale di stagione, la NBA si è guadagnata il beneficio del dubbio.

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