You call it Madness (but we call it love)
Squadre, storie e personaggi dell’atto conclusivo della stagione di College Basketball, il Torneo NCAA.
MINE VAGANTI
Sotto alle contenders troviamo un nugolo di squadre che agisce nel pericoloso limbo che nella stessa maniera può portarli a una inaspettata presenza all’atto finale di Phoenix come a un precoce viaggio verso casa.
La veterana di questa fascia è sicuramente Wichita State (#10 South), che negli ultimi anni si è tolta di dosso l’etichetta di sorpresa diventando una di quelle squadre che nessuna delle grandi scuole vuole trovarsi sul tragitto. Gli Shockers sono incredibilmente solidi, riuscendo a bilanciare in maniera ottimale le due fasi di gioco (nella top-20 della Nazione sia per Offensive che Defensive Rating) affidandosi a una coralità di giocatori che garantisce versatilità e varietà di soluzioni a coach Gregg Marshall, il migliore tra le mid-major. E come ogni anno valgono decisamente di più del loro seed.
Rimanendo in tema di versatilità, nella American Conference quest’anno è sbocciata una Southern Methodist (#6 East) che si candida ad essere un pericolosissimo dark horse per le Final Four. Il quintetto composto interamente da giocatori sopra il metro e 95 di altezza permette loro di cambiare in difesa su tutto e tutti e di potersi adattare a ogni tipo di squadra; dall’altra parte del campo Semi Ojeleye, scarto di Duke, sta mettendo su numeri impressionanti (19 punti con il 43% dal campo) ben sostenuto dalla grande predisposizione della squadra a rimbalzo offensivo sfruttando la maggiore stazza. Non c’è più Larry Brown a causa del ban dello scorso anno, la panchina sembra essere un po’ troppo corta per un evento che prevede due partite in tre giorni, ma i Mustangs di Jankovich hanno tutte le potenzialità per fare rumore.
Florida State (#3 South) è un caso un po’ più particolare. Ha un seed e un curriculum che dovrebbe inserirli nella fascia superiore, se non fosse per la scarsa continuità di risultati e rendimento. Tra fine dicembre e inizio gennaio hanno collezionato 6 vittorie su 7 contro squadre invitate al Torneo, mettendosi davanti addirittura a Duke come rivale annuale di North Carolina per la conquista della ACC, salvo poi sciogliersi come neve al sole lontana dalle mura amiche, mostrando tutti i difetti dell’inesperienza del roster e di alcuni elementi. Rimangono comunque una squadra di grande talento, con un giocatore proiettato nella lottery del prossimo Draft (Jonathan Isaac) e due giocatori come Dwayne Bacon e Xavier Rathan-Meyers con molti punti nelle mani.
Infine, è impossibile non avere un briciolo di simpatia per Michigan (#7 Midwest), scampati a un possibile disastro aereo alla vigilia del Torneo della BigTen che li ha messi in dubbio fino all’ultimo minuto. Gli Wolverines quelle partite non solo le hanno giocate ma si sono permessi di vincere la BigTen da testa di serie numero 8, conquistando l’invito automatico al Torneo NCAA, diventando la grande storia delle prime due settimane della March Madness. Senza dimenticare che sono una delle squadre più amate dai puristi del gioco per la loro esemplare esecuzione offensiva, tutta farina del sacco di John Beilein.
BRACKET-BUSTERS
È arrivato il momento di dare un’occhiata a quelle squadre che non hanno grandi velleità di vittoria, ma che faranno di tutto per rovinare la marcia ai grandi atenei, quelle squadre che vengono chiamate comunemente Cinderellas.
Un ruolo che Middle Tennessee (#12 South) ha già recitato lo scorso anno, piazzando l’upset più rumoroso del tabellone al primo turno contro una Michigan State che sembrava lanciatissima per le Final Four. Tornano ancora più forti dopo aver dominato in lungo e in largo la loro Conference, il trio formato da JaCorey Williams, Giddy Potts e Reggie Upshaw è la spina dorsale di un roster lungo che ha le potenzialità per tirare brutti scherzi a chiunque. Minnesota è avvisata, ma non sorprendetevi se passasse al weekend successivo.
E a proposito di intruse alle Elite Eight… DUNK CITY IS BACK! Florida Gulf Coast (#14 East) ritorna nel Torneo con il piglio dell’ammazza-grandi pronta a rievocare le gesta del Torneo 2013 dove riuscirono quasi a staccare il biglietto per la Finale del Regional. Non sembrano solidi come allora, il coach è cambiato (Enfield a USC, al comando ora Joe Dooley, ex-assistente di Bill Self) ma la grande forza di squadra rimane un attacco scintillante che tira con più del 50% dal campo e le solite giocate di atletismo che nel mese di Marzo valgono doppio.
Con questa schiacciata Rayjon Tucker ha rotto il cronometro sopra il canestro… DUNK CITY!
Nella Midwest Region invece troviamo Vermont (#12), altra squadra con storia cenerentolesca in passato (2005, upset su Syracuse) che è una delle formazioni più in forma del tabellone, provenendo da 21 vittorie consecutive. La America East non è tra le conference più competitive delle mid-major, ma i Catamounts fanno della pazienza e dell’efficienza al tiro il proprio credo, a ritmi bassi (64 possessi a partita) e prediligendo le conclusioni all’interno dell’area. L’accoppiamento con Purdue, squadra di stazza e potenza, può non sembrare dei migliori, ma in pochi riescono ad addormentare la partita a proprio vantaggio come loro.
Non va dimenticata neanche North Carolina Wilmington (#12 East), una delle migliori squadre offensive della nazione (117.8 di Offensive Rating per KenPom) che nonostante i ritmi alti spreca pochissimi possessi e tira con alte percentuali. Kevin Keatts è uno dei coach emergenti più interessanti nel panorama collegiale, la guardia Chris Flemmings è uno dei migliori attaccanti di cui nessuno parla e l’accoppiamento con Virginia, rinomata per le regole difensive ferree di coach Tony Bennett, è da leccarsi i baffi per la differenza di approcci al gioco.
Occhio anche all’opener (giovedì ore 17 italiane), dove i cervelloni di Princeton (#12 West) cercheranno di disinnescare l’attacco di Notre Dame.
Infine, sempre a proposito di cervelloni, un caloroso benvenuto nel tabellone a Northwestern. Un’università che, con la scusa degli standard accademici più rigorosi che altrove, ha abbracciato la realtà alternativa prima dello staff di Donald Trump, giustificando anni di imbarazzanti sconfitte come se fosse una cosa normale. Era l’unica squadra di una conference di elite a non essere mai arrivata al torneo. Spezza l’incantesimo dopo 80 anni, grazie al pragmatismo di coach Chris Collins. Figlio di Doug, allievo di Krzyzewski a Duke. Se la vedranno contro Vanderbilt, in una partita presumibilmente equilibrata. In caso di vittoria, tutt’altro che impossibile, avranno il record migliore nella storia della NCAA. Almeno fino a sabato.