Teocrazia
L’assurda, pazza carriera di Teofilo Gutierrez.
Guerra e (finalmente) pace
Negli spogliatoi avviene quello che tuttora è l’episodio più famoso e controverso della carriera di Teo: Sebastian Saja, portiere e capitano del Racing con un passato anche a Brescia, a fine partita cerca il colombiano per fargli capire con le cattive che il suo atteggiamento è solo un danno per la squadra: ne viene fuori una rissa che coinvolge anche altri compagni e Teo dal suo borsone tira fuori una pistola. Serve l’intervento della polizia per ricomporre la situazione e Gutiérrez è costretto ad uscire dallo stadio in taxi, escluso dal pullman della squadra.
Il padre, Don Teófilo, in una radio argentina racconterà che Saja aveva aggredito alle spalle il figlio, colpendolo alla testa, per poi ritirarsi in mezzo ai compagni quando il colombiano aveva cercato di rispondere.
“Escandalo en el vestuario”. La tv argentina ricostruisce la lite negli spogliatoi.
La pistola, poi, si rivelerà un giocattolo da paintball e Teo commenterà l’episodio dicendo che Saja è solo un codardo (il termine preciso è più volgare) perché non aveva capito che l’arma era finta. Vista la gravità dei fatti il presidente Cogorno si trova costretto a metterlo fuori rosa, ma non cede subito il suo cartellino: serviranno due prestiti, uno dimenticabilissimo al Lanús dove gioca solo in Libertadores, e uno e al Junior di Barranquilla, prima del passaggio, a dicembre 2012, al Cruz Azul.
Ma anche l’avventura messicana, malgrado un contratto di tre anni, durerà solo sei mesi. Teo segnerà 9 gol, vincerà una Copa México e perderà la finale del campionato, ma il rapporto con il club finisce non appena al colombiano giunge la notizia dell’interessamento al suo cartellino della sua squadra del cuore, ovviamente dopo il Junior, vale a dire il River Plate. Teo ignorerà ogni altra offerta, mettendosi contro i dirigenti messicani, deludendo i tifosi che lo accuseranno anche di essersi venduto la finale del campionato (se digitate su internet Teo Gutiérrez e Cruz Azul lo potrete constatare) e tornerà di forza in Argentina.
L’amore di Teo per il River è reale, confermato dai suoi familiari (soprattutto dal fratello Ronald che tifa Boca) e comincia nel 1996, quando da bambino vede una formazione grandiosa (Crespo, Francescoli e Ortega in attacco) vincere la Copa Libertadores. In Argentina, ovviamente, le perplessità sono tante, l’opinione pubblica non ha scordato le intemperanze al Racing e Ramón Díaz, ai tempi allenatore del River, deve spendersi di persona per assicurare di averlo visto più tranquillo, con un carattere gestibile.
“Bipolare. Lui è fatto così”.
Teo, una volta tanto, fa parlare praticamente solo il campo. Il suo apporto alla squadra è sempre determinante, sia come gol che come influenza generale, mostrando a tutto il Sudamerica un giocatore completo e maturo, capace di adattarsi a ogni compagno mantenendo un rendimento al massimo del proprio potenziale. Il picco assoluto di forma arriva nel 2014: nel primo semestre il River vince il campionato arrivando davanti al Boca nel Torneo Final, titolo che mancava da sei anni, e Teo realizza 6 reti. Viene convocato per i Mondiali brasiliani del 2014, dopo aver segnato 6 gol con la maglia della Colombia nelle qualificazioni che gioca da titolare.
Pékerman gli consegna la maglia numero 9 lasciata libera, causa infortunio, da Radamel Falcao, dandogli la responsabilità di fare da punto di riferimento negli ultimi metri, preferendolo a Jackson Martínez e Carlos Bacca. All’esordio contro la Grecia va in gol: di lì in avanti la Colombia vivrà un torneo entusiasmante, che si concluderà solo con la sconfitta contro il Brasile padrone di casa.
Nel semestre successivo, l’incontro con Marcelo Gallardo, nuovo allenatore del River, fa scattare qualcosa nell’animo di Teo: in campionato segna 10 gol in 13 partite mostrando un livello di gioco raro per qualità, abnegazione e applicazione tattica. A livello internazionale il River vince la Sudamericana 2014 e il colombiano viene inserito nell’11 ideale della competizione. El País lo inserisce nella sua selezione “Equipo Ideal de America” e, per finire, vince il Pallone d’Oro Sudamericano.
«Il River con Teo è una cosa, senza un’altra». Parola di Juan Roman Riquelme.
Il matrimonio tra giocatore e club è semplicemente perfetto: i tifosi del River lo vedevano già di buon occhio a causa dei suoi screzi col Boca, il livello delle sue prestazioni li fa innamorare definitivamente e anche il fatto che in campo si conceda gesti da tifoso aiuta l’idillio. Ma con un tipo come Teo le cose sono sempre destinate a cambiare.
Troppa pace
A maggio 2015 Teófilo deciderà di lasciare il River per tentare la sua seconda esperienza in Europa con la maglia dello Sporting Lisbona. Ma stavolta non lascia un ricordo amaro, almeno alla sua squadra del cuore, prima di andare via, e regala una prestazione monumentale, in una delle partite più delicate della storia recente del club.
Il 2015 per il River è l’anno della Libertadores, una vittoria tanto grande quanto inaspettata, ottenuta sopratutto grazie a una prestazione leggendaria nei quarti di finale contro il Cruzeiro, una delle favorite assolute. Dopo aver perso 1-0 al Monumental, il River sembra spacciato in vista del ritorno a Belo Horizonte, ma Teo e compagni producono uno sforzo straordinario vincendo 3-0 in Brasile: Gutiérrez, alla sua ultima partita con la “Banda”, assisterà il primo gol ed estrarrà dal cilindro un pezzo di bravura da fuoriclasse per il 3-0 finale.
Vedi alla voce: come dare l’addio.
Teófilo saluta così il “suo” River e i rimpianti sono tanti, per una squadra che ancora oggi, più di un anno dopo, in un certo senso deve sostituirlo, ma il colombiano non è uno che si guarda indietro.
L’offerta dello Sporting deve aver toccato Teo nell’orgoglio: una forma di riconoscimento per il gran rendimento in Argentina, ma anche un’opportunità di riscatto ormai insperata per lasciare un segno o, almeno, farsi conoscere davvero in Europa, dopo la sfortunata parentesi in Turchia. Con la motivazione extra, al solito, di uno stipendio migliore. L’esordio di Teo in Portogallo è quello già visto col Trabzonspor: supercoppa locale, gol (solo uno stavolta) e vittoria.
Una costante.
Con la maglia dei Leoni metterà insieme 15 gol, dimostrando che uno col suo talento avrebbe potuto imporsi anche alle nostre latitudini. Ovviamente non poteva mancare anche qualche colpo di testa, stavolta innocuo, come quando per esultare ha preso all’arbitro lo spray per segnare la distanza della barriera.
Oggi come oggi
L’estate del 2016 era destinata a segnare un ulteriore stacco nella carriera di Teo. Come detto, essere convocato da fuoriquota per le Olimpiadi da Restrepo, in un torneo caratterizzato dai rifiuti di molti protagonisti, dava un duplice segnale, di riconoscimento del suo valore ma anche di entusiasmo e voglia di rivalsa da parte sua.
Il ct colombiano aveva le idee molto chiare: «Teo sarà il leader della nostra squadra, gli ho parlato e vede le Olimpiadi come un’opportunità sia per la sua carriera che per continuare a dare qualcosa al fútbol colombiano». «Essere nella lista è un onore», ha rincarato la dose Teo, «Ho lavorato per questa convocazione, lavoro sempre per far parte della Colombia e andare alle Olimpiadi è un sogno per qualunque giocatore, soprattutto alla mia età».
Il bagno di folla del 2014, quando Teo è tornato a La Chinita.
A Rio ha avuto l’onore di indossare la fascia di capitano e la maglia numero 10: un simbolo per il suo comprovato talento ma anche dell’attaccamento dei colombiani che adesso possono identificarsi nella sua figura. È uno di loro, cresciuto con loro, con le loro difficoltà e non ha mai rinnegato le sue origini. Rispetto ad altri giocatori della sua generazione, ad esempio Bacca che condivide con lui le origini e gli inizi di carriera al Junior, Teo non ha mai rinnegato il suo lato oscuro, quello più umano, semplicemente ha imparato a conviverci, nei limiti del possibile.
E i campioni vulnerabili, fallibili, che nonostante i propri limiti arrivano a livelli altissimi, sono quelli che la gente preferisce. Soprattutto in Sudamerica.
Alle Olimpiadi, Gutiérrez ha deciso di esercitare la sua leadership iniziando dall’esempio sul campo: tre gol nelle tre partite del girone per aiutare la Colombia ad arrivare alla fase ad eliminazione diretta, e un ruolo evidente e riconosciuto anche sul piano carismatico. In campo parlava con tutti, arbitri compresi, poi quando c’era da giocare la palla tornava il solito concentrato di determinazione e imprevedibilità. Giustamente, quando possibile, ha cercato anche di fare il pieno d’affetto di quello che oggi è il “suo” pubblico.
Il percorso verso la medaglia si è interrotto ai quarti di finale: la Colombia si è dovuta inchinare nuovamente al Brasile; Teo a Neymar. Qualche giorno dopo, mentre O’Ney si faceva vedere sulle tribune del palazzetto che ospitava la finale di pallavolo maschile (vinta dal Brasile), Teo è sbarcato a Rosario, sponda Central.
Con i “Canallas” cercherà di tenere alto il nome della squadra, di mettere le radice in un terreno che sembra corrispondere alle sue caratteristiche. Tornerà a fiorire, o perderà di nuovo la testa: le uniche possibili alternative, in Teocrazia.