Sapere dov’è l’identità è una domanda senza risposta
(José Saramago)
L’autunno porta con sé le foglie che cadono e le formazioni titolari: di solito nel mese di ottobre si capisce quale sarà la struttura di una squadra, quali saranno le linee di gioco e i titolari indiscutibili. A questa consuetudine calcistica, Spalletti e la Roma si oppongono con forza: è come se si fosse ancora nel precampionato, con gli undici titolari in continua mutazione, e dubbi a partire dal portiere (Szczesny gioca in campionato, Alisson nelle coppe) fino all’attacco.
Per non parlare della crisi d’identità tattica: squadra reattiva o proattiva? Transizioni rapide o calcio associativo con il pallino delle mezze posizioni?
Questa incertezza deriva da vari fattori, e anche dall’esperienza di Spalletti nella scorsa stagione: arrivato a fine girone d’andata, mise in sicurezza la squadra cercando un sofisticato mix tra attacco in campo largo e minuziosa ricerca dei corridoi interni. Niente (o poche volte) centravanti, rotazioni continue del triangolo di centrocampo, difesa alla ricerca dell’anticipo.
Poi, con il mercato di mezzo, Spalletti sembra aver perso punti di riferimento, la squadra ha perso la testa facendosi eliminare ai preliminari di Champions, e adesso la Roma si ritrova con la linea difensiva improvvisata (rottura del legamento crociato anteriore per due titolari come Rüdiger e Mario Rui, pubalgia per un potenziale elemento chiave come Vermaelen), Florenzi che cambia posizione continuamente, incertezza sulla strategia di gioco.
C’è un problema di equilibrio tattico, quasi in simbiosi con la continua ed eterna autocombustione del cosiddetto ambiente.
Perturbazioni
Già, che cos’è l’ambiente a Roma? Si dibatte da sempre sulla sua esistenza e consistenza, e sull’effettiva incidenza dei risultati. Per capirci qualcosa, bisogna immaginare una squadra che si allena nel mezzo di una tempesta: anche se, come in questo caso, mediatica. Breve resoconto di cosa è successo alla Roma in una settimana, fuori dal campo: il giorno dopo la brutta sconfitta di Torino, Ilary Blasi ha definito Spalletti un piccolo uomo e Pallotta uno che non sa cosa dice; Spalletti ha risposto (facendo al tempo stesso gli auguri a Totti), con un video sul canale ufficiale della Società, con ironia tagliente; Totti ha dovuto smentire sua moglie con un comunicato ufficiale; 48 ore prima di una partita di Europa League, Totti ha organizzato una festa di compleanno con tutti i crismi; dopo la partita, Spalletti ha detto che la festa avrebbe dovuto organizzarsi in un altro momento, perché gli ha impedito di rispettare il programma settimanale di doppie sedute.
Come se non bastasse, nella pausa della Nazionali, cioè una settimana dopo gli avvenimenti sopra descritti, è arrivata una ulteriore perturbazione, con le dimissioni del D.S. Sabatini e una conferenza stampa durata quasi 90 minuti, dal contenuto talmente strabiliante da essere difficilmente sintetizzabile. Ma, tra tanti concetti diversi, si è percepita la disillusione del D.S. nei confronti della società che non lo ha sostenuto e c’è stata anche una frase su Totti come tappo che impedisce la crescita del gruppo.
In tutto questo, la Roma ha vinto contro l’Astra Giurgiu in Europa League e contro l’Inter: forse, quindi, allenarsi nel mezzo di una tempesta non incide sui risultati.
Identità
Tornando al campo. L’andata dei preliminari di Champions all’Estádio do Dragão (la prima partita ufficiale della Roma in questa stagione) aveva mostrato un’identità ben precisa, soprattutto nei primi 40 minuti in parità numerica: una squadra corta, con una linea difensiva sempre pronta ad accorciare; discreta nel tentativo di recuperare il pallone nella metà campo avversaria (principalmente schermando le linee di passaggio e con densità nella zona del pallone), e ispirata da una vertigine verticale appena in possesso, con Dzeko ad attaccare costantemente la profondità e Nainggolan tra le linee.
Da quella occasione, questi strumenti tattici non si ritroveranno mai tutti insieme. Già al ritorno contro il Porto, una settimana dopo, Spalletti cambia tutto: schiera De Rossi difensore centrale e Paredes davanti alla difesa nel tentativo di impostare una partita più associativa: la Roma va in tilt e si fa eliminare.
La mappa degli xG creati dalla Roma: è impressionante il numero totale di occasioni, ma anche quello di errori in danger zone.
Per più di un mese i giallorossi hanno fluttuato alla ricerca di un centro di gravità: il controllo del pallone senza centravanti e con impostazione dal basso, e una squadra teoricamente corta; il controllo dello spazio, tramite la ricerca continua della profondità anche esasperata, con Dzeko e Nainggolan tra gli spazi, e Salah deputato a bucare la linea difensiva avversaria.
Nel dubbio, però, alcune caratteristiche sono rimaste immutate: la Roma ha creato moltissimo in zona gol, registrando un valore di Expected Goals pari a 17,54 (ma segnando solo 11 gol senza rigori: definire la Roma underperforming è quasi riduttivo) e concesso altrettanto, con una valore di xG contro pari a 8,14 (e 8 gol subiti senza il rigore di Iago Falque), addirittura il decimo peggior valore in serie A.
Gli xG creati dalle squadre avversarie della Roma: c’è una tendenza a bucare sul lato destro della difesa, dove sono stati utilizzati Florenzi e Bruno Peres. Ancor più pericolosa è la quantità di occasioni concesse in zona centrale.
La Roma è stata dunque una squadra da ribaltamenti continui, senza mai trovare un vero controllo se non per pochi minuti, cercando di surfare sull’onda più grande di ogni partita: in termini tattici, la Roma è stata troppo spesso lunga sul campo, e con reparti scollegati.
Dentro i suoi vuoti
Anche la lunghezza in campo è questione di scelte: come si deve muovere la Roma, intesa come squadra? Nel corso di queste prima parte di stagione, i giallorossi hanno oscillato sul campo, con un baricentro che è passato da 45 metri (basso) a 55 metri (alto) a seconda delle partite, con una serie di questioni irrisolte: la difesa deve muoversi in avanti o scappare indietro? Il doble pivote si deve schiacciare sulla linea difensiva o creare il collegamento con i giocatori offensivi?
Troppo spesso la risposta è stata uno schiacciamento verso il basso, che la Roma non riesce a compensare solo con la velocità sulle fasce, soprattutto la destra (Bruno Peres più Salah): più si abbassa, più diventano difficili le transizioni, e si finisce per spezzare la squadra in due inevitabili tronconi.
Alla Roma manca equilibrio, cioè la compattezza e i movimenti da squadra, in sincronia.
Nel video qui sopra c’è una sintesi estrema sulla mancanza di equilibrio della Roma: 71 secondi senza filtro.
Si nota Manolas che alla disperata salva su un 3 vs 3 privo di senso; De Rossi prova una verticalizzazione cieca su Salah, che isolato in 1 vs 1 supera Murillo ma sbaglia davanti al portiere; dopo i due tiri di Florenzi, Perotti sbaglia il controllo e a quel punto la Roma è spezzata in due, 5 giocatori sopra la palla e 5 sotto. L’Inter esegue una transizione non troppo veloce ma riesce comunque a servire Perisic in area: dopo l’intervento di Szczesny, Juan Jesus ha il pallone ma deve lanciare lungo su Dzeko, che sbaglia il controllo. A questo punto, la linea difensiva è tutta schiacciata in area. In una fase di difesa posizionale, Perotti e Strootman si fanno attirare dal pallone e Icardi è libero di crossare. Sull’altra fascia riceve Banega, che supera facilmente Peres in area. Tocca di nuovo a Szczesny respingere il cross.
71 secondi di delirio, in cui la Roma occupa male il campo ed è completamente passiva, portandosi due volte l’avversario dentro l’area. Al riguardo, come ha scritto Alfredo Giacobbe, in Serie A la Roma è la squadra che concede più passaggi in area agli avversari: la traduzione statistica del concetto di passività.
A causa delle spaccature tra i reparti, i giallorossi hanno ovviamente difficoltà a difendere in transizione, ma anche a chiudere lo spazio tra le linee. Difficoltà acuite, poi, dalla scarsa coordinazione del reparto difensivo: Juan Jesus ha giocato sia da terzino che da centrale sinistro; come compagno di Manolas si sono alternati il brasiliano, De Rossi, Vermaelen e poi Fazio. Ad un certo punto la Roma ha giocato con Peres terzino destro e Florenzi a sinistra, abbandonando cioè i centrali al loro destino. La Roma ha problemi non solo in transizione, ma anche in fase di difesa posizionale, non è una questione di momenti ma di approccio alla fase difensiva: i giallorossi sono troppo passivi, sin dall’inizio azione avversario.
Solo nelle ultime due partite giocate, Spalletti sembra aver trovato una linea difensiva equilibrata: Peres terzino destro, Juan Jesus sinistro, Fazio vicino a Manolas. E però nel gol segnato da Banega si nota la mancanza di armonia del reparto, con i difensori che si muovono tutti in modo diverso: ma con il tempo e il lavoro, questa linea difensiva potrebbe risultare la migliore (in attesa di Rudiger e Mario Rui).
I problemi della Roma in difesa posizionale: poca pressione sul portatore; le tre linee distanti; le letture sbagliate, con Perotti nella terra di nessuno, Juan Jesus stretto su Candreva, e Ansaldi sulla fascia liberissimo di ricevere.
E va detto che i problemi alle spalle dei terzini rimarranno sempre: da un lato perché Bruno Peres è un terzino di spinta, che anche in fase difensiva prova a risolvere tutto con la sua velocità superiore (riuscendoci spesso), ma con difficoltà nell’interpretare le situazioni. Dall’altro lato, Juan Jesus tende a schiacciarsi troppo spesso vicino ai centrali, creando spazi per gli avversari.
Come in uno specchio deformato, ai difetti della Roma corrispondono anche grandi qualità offensive: l’equilibrio instabile del battere e levare.