Raúl González Blanco: l’icona del Real Madrid
In occasione dei 115 anni del Real Madrid, rendiamo omaggio al giocatore che ne rappresenta meglio la storia recente.
Parte IV. Declino
Peggio ancora la stagione dopo, se possibile: il Barça di Rijkaard e Ronaldinho continua il suo dominio, in Spagna e in Europa, e Raúl non ha nemmeno la possibilità di battersi sul campo, visto l’infortunio al ginocchio occorsogli proprio nel Clásico del Bernabeu (quando il pubblico di casa tributò un’ovazione a Ronaldinho), che lo tiene fuori 5 mesi consentendogli a malapena di tornare per i mondiali in Germania. Alla fine 26 presenze (solo 20 dall’inizio) e 5 gol, magro bottino (una sola presenza e zero gol nella Copa; 4 su 10 in Champions).
Qualcuno motiva questo scadimento nelle prestazioni con un presunto allontanamento di Raúl dall’area di rigore, man mano che con gli anni arrivavano nuovi galácticos, ma in realtà né Figo né Zidane né Ronaldo hanno mai spostato Raúl dalla sua posizione preferita di seconda punta. Semplicemente (per modo di dire, perché resta un mistero) Raúl perde quel non so che… chi scorge i filmati dei suoi gol col passare degli anni li nota persino più brutti, banali: diminuita la reattività, son basati più sul mestiere che su quella concisa brillantezza che caratterizzava il suo gioco negli anni migliori.
Nemmeno il ritorno di Capello lo risolleva del tutto. Il secondo Madrid di Don Fabio è la bruttissima copia di quello del ‘96-’97, ma vince comunque la Liga grazie al suicidio del Barça e a un orgoglio smisurato, al quale partecipa, come no, anche Raúl con qualche gol importante come quello che contribuisce all’incredibile rimonta casalinga con l’Espanyol. Sette gol in 35 partite (32 dall’inizio; 1 presenza e 0 gol nella Copa; buoni invece i 5 gol su 7 in Champions) però sono pochissimi, ancora una volta.
Con Schuster, ancora, il Madrid non supera lo scoglio degli ottavi di Champions, ma si conferma campione di Spagna, e le statistiche di Raúl migliorano sensibilmente: 18 gol in 37 partite (36 dall’inizio; 5 su 8 in Champions; 0 su 1 in Copa del Rey). Anche se non si può dire che le prestazioni tornino in tutto e per tutto quelle dei tempi migliori, ed esagerata appare la pressione dei media madrileni per un suo ritorno in nazionale.
Nemmeno fra i tifosi il consenso è più indiscusso, e qualcuno maligna su un suo eccessivo peso nello spogliatoio, che incidendo anche sulle scelte di mercato (come la discutibile cessione di Robinho nell’agosto 2008) avrebbe impedito al Real Madrid di puntare decisamente su un’accoppiata Robinho-Robben ai lati di Van Nistelrooy, posto che sulla destra del tridente (posizione solo teorica, con totale libertà di movimento a ridosso di Van Nistelrooy) Raúl non lascia alcuna possibilità.
Comunque, Raúl è tornato goleador affidabile, con 18 gol in 37 partite proprio come della stagione precedente (35 però dall’inizio; tripletta nell’unica presenza nella Copa; 3 su 7 in Champions), anche se forse la miglior prestazione la fornisce quando non riesce a segnare, nel Clásico del Camp Nou perso 2-0, la prima di Juande Ramos dopo le dimissioni di Schuster. L’ultima stagione è cronaca: Pellegrini riesce a sfilarlo dall’undici, gradualmente e senza usare scortesia, facendone una sorta di mostro sacro da usare soprattutto a partita in corso, senza eccessive pressioni, talvolta impiegato anche come cambio per Kaká o Van der Vaart sulla trequarti nel 4-3-1-2. Infatti sono solo 8 le presenze dall’inizio sul totale di 30, e 5 i gol (0 su 2 nella Copa; 2 su 7 in Champions).
È l’epilogo della sua carriera madridista, e non manca un tocco di romanticismo: l’ultimo gol ufficiale in maglia merengue Raúl lo sigla alla Romareda, sul campo del Zaragoza. Dove tutto era cominciato.
“Piace a tutti perché sa fare tutto. Conosce l’essenza del gioco, ha la capacità di semplificare le cose e va verso il gol imboccando sempre la scorciatoia. È in grado di giocare di spalle o fronte alla porta, di svariare sulle fasce o venire a cercare palla indietro, di muoversi davanti o dietro la linea immaginaria del pallone. Fa pressing, ruba palla o interrompe l’azione quando il gioco è in mano all’avversario, si fa vedere sempre se invece è la sua squadra a gestirlo, e quando riceve il pallone punta, finta, dribbla, passa e tira.” (Jorge Valdano)