15) LOS ANGELES LAKERS
Ranking overall redazione UU: 28.2
Marco D’Ottavi
No more parties in El Segundo avrebbero dovuto cantare più correttamente Kanye West e Kendrick Lamar. Perché se a Los Angeles paiono sempre tutti pronti a far festa – pure i Clippers, per dire – solo i gialloviola sembrano non avere nulla per cui stappare un Asti Gancia nel breve. Dopo una stagione da 17 vittorie e tanti saluti a Kobe, è arrivata l’ora di rimboccarsi le maniche e capire se c’è una luce in fondo a quel tunnel che sembra infinito.
Partiamo dalle note positive: dal Draft è arrivato Brandon Ingram, un talento incredibile, ma che ha bisogno di tempo e panca piana prima di fare la differenza in NBA; in panchina è arrivato Luke Walton, il prospetto di allenatore più interessante e (pare) la mossa più intelligente fatta a Los Angeles da un bel po’ di tempo, ma anche lui avrà bisogno di tempo e di errori (tipo l’idea di promuovere Lou Williams in quintetto); D’Angelo Russell avrà finalmente minuti e pallone in mano per dimostrare di poter diventare la faccia di questa franchigia; Julius Randle avrà un anno in più sulle spalle e se migliora al tiro può essere una pedina fondamentale nella pallacanestro small ball di oggi; Jordan Clarkson continua ad impressionare e sotto la guida di Walton può ancora migliorare.
D’Angelo intanto riparte dal GHIACCIO NELLE VENE
Il problema è tutto il resto: in estate i big sul mercato hanno completamente snobbato i Lakers, che sono riusciti solo ad accaparrarsi due veterani affidabili come Deng e Mozgov, buoni da accostare al cuore giovane della squadra, ma pagati più del loro reale valore e non in grado di spostare gli equilibri; sono rimasti i tiri su un piede di Huertas, le pazzie di Nick Young e a quanto pare Metta World Peace è vivo e lotta insieme a noi; è arrivato un Calderon sul viale del tramonto (ma che comunque porta in dote il suo 41% da 3) e in generale il roster sembra ancora lontano dall’essere competitivo.
In campo Walton sembra intenzionato a portare a Los Angeles una certa idea di basket moderna, che poi è quella appresa alla corte di Steve Kerr: ritmi alti, palla che si muove, quintetti versatili, spaziature decenti e – se proprio ci si riesce – tiri da 3. Installare questa mentalità in una squadra da troppo tempo allo sbando richiederà lavoro ed errori, per cui è prevedibile un’altra stagione deludente per i tifosi, anche perché il verbo to tank già gira nei corridoi della dirigenza. I Lakers infatti hanno una prima scelta protetta solo se in top-3 (e tenendola non dovrebbero dare la prima scelta 2019 al Magic, facendola diventare due comode seconde scelte 2017 e 2018) e il Draft di quest’anno sembra pieno di guardie di talento, per cui cercare l’obiettivo delle 30 vittorie per la gloria non sembra poi un’idea geniale. Ma chi glielo spiega ad un allenatore abituato a stagioni da 73 W?
14) PHOENIX SUNS
Ranking overall redazione UU: 27.5
Nicolò Ciuppani
Anche dopo anni passati a ricostruire, i Suns sembrano non schiodarsi mai dal punto di partenza. Ogni estate scelgono al Draft una guardia da Kentucky, accumulano talento giovane nelle stesse posizioni del roster e si affidano a veterani in calo per tappare ampi minutaggi in un ruolo. Nonostante tutto, un raggio di flebile positività sembra filtrare nelle mosse di Phoenix: la dirigenza e la proprietà sembrano aver preso una direzione comune, quella della ricostruzione, e ciò è già un passo in avanti rispetto al recente passato.
Earl Watson è stato confermato come coach nonostante non abbia dimostrato nulla se non di essersi guadagnato la fiducia dei giocatori. La squadra sembra strutturata con Bledsoe e Booker a guidare i titolari e Knight le seconde linee, un nutrito gruppo di giovani da sviluppare (Warren, Bender, Chriss, Ulis), un paio alla resa dei conti per dimostrare che meritano rilevanza (Len, Goodwin) e veterani e journeyman per tenere insieme uno spogliatoio sgretolato dall’esperienza-Morris nelle passate stagioni (Dudley, Barbosa, Chandler, Alan Williams).
I Suns giocano al solito un attacco ad alto ritmo, con pochi passaggi e numerosi isolamenti, ma spettacolare abbastanza da rubare l’occhio in qualche nottata noiosa di League Pass. La difesa resta sempre il tallone d’Achille che li porta verso numerose sconfitte e il fondo della classifica, per quanto a roster ci sarebbero pure dei buoni difensori – ma il loro rendimento è scarso o per età elevata o per disimpegno personale. L’atletismo e la velocità sono decisamente dalla loro parte, ma senza giocatori (a parte Booker e Dudley) con un QI cestistico sopra la media per incanalare al meglio le energie.
A parte la parata di lunghi avversari che avanzano indisturbati a canestro, la stagione dei Suns riceverà attenzioni soprattutto per l’evoluzione dei suoi giovani, con riflettori puntati su Booker, la cosa più vicina a un All-Star che i Suns hanno avuto da Steve Nash in poi. Oltre ad un rilascio di tiro celestiale e la capacità di segnare a piacere, Booker non ha ancora compiuto 20 anni, e di giocatori di quell’età che dimostrano una tale comprensione del gioco ce ne sono pochissimi.
È persino riuscito a far giocare un pick&roll decente alla salma di Tyson Chandler per mezza stagione
In Summer League ha giocato solo le prime partite, dando l’impressione di essere davvero un adulto in mezzo ai bambini e i tifosi di Phoenix aspettano a gloria un giocatore capace di rimetterli nella mappa della NBA che conta.
Come al solito, sarà la rotazione tra le guardie a richiamare le maggiori attenzioni: Brandon Knight in estate aveva dichiarato di sentirsi un titolare, ma Watson ha già fatto sapere che sarà il primo delle riserve. Paradossalmente la miglior stagione di Knight è stata proprio quella in uscita dal pino a Milwaukee, ma per contratto e per età è una soluzione che adesso potrebbe risultargli stretta. Lo stesso Bledsoe, anche se ancora il miglior giocatore della squadra, è spesso incline agli infortuni e da troppi anni si ritrova in una squadra senza sbocchi. Entrambe le guardie sono potenzialmente sul mercato, possibilmente in cambio di pezzi più futuribili, e i loro contratti con il nuovo cap sono delle potenziali steal. Ma il mercato di PG è sovrasaturo e nessuno sarà disposto a strapagare uno dei due se il malumore nello spogliatoio dovesse risorgere come nel 2014, quando l’Hydra formata da Bledsoe, Dragic e Thomas vide quasi tutte le sue teste tagliate in una notte.
Vincere non sarà prerogativa stagionale – a meno di partenze record che farebbero di nuovo cambiare i piani – perché lo sviluppo dei giocatori, dell’allenatore e un altro giro in Lottery sembrano più auspicabili.
13) SACRAMENTO KINGS
Ranking overall redazione UU: 25
Francesco Andrianopoli
Il rischio che Boogie Cousins possa lasciare i Kings per altri lidi è ormai da anni l’incubo peggiore di questa franchigia. In realtà, a ben vedere, le occasioni per andarsene gli sono già state prospettate in passato e lui le ha sempre rifiutate, quindi non si vede perché dovrebbe andarsene proprio ora che è ormai radicato nella comunità e può giocare in una nuova arena, con un nuovo allenatore e con una squadra drasticamente rivoluzionata.
Nessun’altra franchigia ha adottato un cambio di rotta radicale quanto quello di Sacto: dopo essere stati la squadra che giocava al ritmo più alto della lega, grazie agli scriteriati principi di George Karl, la guida tecnica è passata a Dave Joerger, un allenatore che a Memphis ha tenuto più che altro un ritmo lento, con attenzione maniacale alla metà campo difensiva, ricerca del gioco in post e di vantaggi in termini di centimetri, chili e muscoli, in totale controtendenza rispetto al trend generale che punta alla small ball e a quintetti sempre più piccoli e veloci.
Un cambio di mentalità fatto con il sarto per il gioco di Cousins, che finalmente non dovrà sfiancarsi correndo a destra e a manca, o ridursi a tirare triple in transizione, ma potrà finalmente vedere il gioco della squadra fluire attraverso di lui in un ruolo da “point center”, con set predicati sul suo gioco in post e le sue mani educatissime: una prospettiva entusiasmante, da cui potrebbero venir fuori numeri e rendimento da MVP.
Per mettere Joerger nelle migliori condizioni di perseguire questa rivoluzione tattica, il front office ha ribaltato il roster anche numericamente, liberandosi di giocatori fuori dal progetto come Rondo, Belinelli e Caron Butler, in favore di veterani tosti, affidabili e dall’attitudine spiccatamente difensiva e senza fronzoli come Garrett Temple (che Joerger potrebbe plasmare nel suo nuovo Tony Allen), Arron Afflalo, Matt Barnes e Anthony Tolliver.
Le prospettive sono quindi molto promettenti, anche se ci sono alcuni caveat: il roster è estremamente profondo nel reparto lunghi (oltre a Cousins ci sono Tolliver, Koufos, il talentuoso Cauley-Stein, che Joerger potrebbe far diventare un vero e proprio mostro difensivo, e i promettenti rookie Labissiere e Papagiannis), ma è una abbondanza che rischia di essere superflua, visto che il quintetto migliore sembra essere quello senza alcuna PF di ruolo e con Casspi e Gay accanto a Cousins; Rudy Gay, già che siamo in tema, avrebbe voluto essere spedito altrove e non fa nulla per nascondere il suo malcontento. Il backcourt è in condizioni disastrate, perché Darren Collison sarà sospeso per le prime otto gare stagionali (di cui sei, peraltro, in trasferta) a causa di problemi di violenza domestica, e questo lascerà per le prime partite le chiavi in mano al solo Ty Lawson e alla sua voglia di ricostruirsi una carriera che allo stato sembra precipitata: una prospettiva non proprio allettante, visto che ha già cominciato a saltare gli shootaround.
I Kings hanno mostrato nel corso degli anni di saper trovare soluzioni sempre più fantasiose per farsi del male: anche se questa sembra la squadra più completa, talentuosa e meglio allenata dai tempi di Adelman, una partenza difficile potrebbe essere il viatico per l’ennesimo psicodramma, in campo e fuori.
12) NEW ORLEANS PELICANS
Ranking overall redazione UU: 23.4
Marco Vettoretti
When it rains, it pours. Se le cose possono andare male, in Louisiana andranno peggio.
All’alba della quinta stagione post-discesa di Anthony Davis sulla Lega, i New Orleans Pelicans non sembrano essere ancora venuti a capo del loro secondo grande interrogativo, dopo che AD, a suo tempo, era stato la risposta al primo. Come si costruisce una contender una volta trovata la sua chiave di volta?
Intanto lui rimane un bel primo mattone, eh
Perché al di là di una condizione fisica non esattamente rassicurante – mai sopra le 70 partite giocate nei suoi quattro anni nella Lega e già un guaio alla caviglia con cui fare i conti in questa pre-season – che la prima scelta assoluta del Draft 2012 abbia le carte in regola per poter guidare una franchigia NBA ai playoff, è palese. Dando per scontato il contributo di un adeguato supporting cast. Eppure allo stato attuale delle cose i Pelicans sono ben lontani dall’essere adeguatamente competitivi.
Il secondo violino, Jrue Holiday, è al suo ultimo anno di contratto e starà lontano dai parquet NBA a tempo indefinito per le ormai note e sfortunate vicende personali, consegnando le chiavi del gioco a uno tra Tim Frazier, E’Twaun Moore e Langston Galloway, mentre si spera che Buddy Hield, bahamense prodotto di Oklahoma, confermi di essere uno dei giocatori più pronti ad essere usciti dall’ultimo Draft.
Posto che i playoff resteranno un miraggio per la quinta delle ultime sei stagioni, sarà lecito attendersi un sostanziale ridimensionamento del defensive rating, assestatosi sui 107.9 punti subiti ogni 100 possessi lo scorso anno (27° dato nella NBA). Decisamente troppi per un roster che contempla, tra gli altri, Omer Asik e i due free agent Solomon Hill e Moore. Nonostante Davis sia contrattualmente blindato da un quinquennale da 145 milioni, non ci sono allori su cui accomodarsi, anzi: serve lavorare dentro e fuori dal campo, serve dimostrare che il primo turno di playoff conquistato due stagioni fa non è stato un caso isolato e fortunoso.
11) DENVER NUGGETS
Ranking overall redazione UU: 20.7
Lorenzo Neri
Nella lista delle squadre più affascinanti della stagione viene d’istinto fare il nome dei Minnesota Timberwolves ed è facilmente comprensibile come ha ben spiegato il buon Dario ieri, soprattutto ora che hanno aggiunto un coach di livello come Tom Thibodeau – ma con un piano progettuale già ben avviato la scorsa stagione, i Denver Nuggets rischiano anche di avere più certezze rispetto alla franchigia di Minneapolis.
I Nuggets infatti sembrano avere tutte le caratteristiche della squadra pronta all’esplosione:
- Squadra e core giovane di talento? Check!
- Profondità del roster, alto numero di alternative per ogni ruolo? Check!
- Allenatore con ottime conoscenze nelle due fasi di gioco e capacità di sviluppo dei giocatori? Check!
- Un quasar player (tanto buono da sembrare una stella ma con qualche difetto da non permettergli di esserlo davvero) che può prendersi le brighe del giocatore franchigia in attesa della crescita o dell’arrivo di un giocatore di quel rango? Check!
- Materiale da offrire in sede di trade in cambio di giocatori di caratura superiore? Check!
- Una dirigenza con un’idea, uno progetto e uno scouting di primo livello mondiale? Check!
Probabilmente l’ho buttata giù molto semplice, ma è il modo più immediato per far capire che i Nuggets potrebbero avere tutte le carte in regola per fare un anno da mina vagante a Ovest in attesa di capire come arrivare a essere una presenza fissa nei playoff. La scorsa stagione, chiusa comunque con un record dignitoso (33-49) per una squadra così inesperta, è stato un bel banco di prova per alcuni giocatori su cui la franchigia punta il proprio futuro come Emmanuel Mudiay e Nikola Jokic, che tra errori e sorprese hanno dimostrato grande potenziale da esplorare.
In particolare Jokic ha giocato a un livello di pallacanestro veramente alto nonostante la giovane età, dimostrando un profilo tecnico vasto e pulito in uno dei ruoli che solitamente rimangono più grezzi da questo punto di vista. Le sue capacità da passatore hanno aiutato la fluidità dell’attacco e il compito di Mudiay e di Gallinari nella gestione offensiva. Coach Malone, cercando di sfruttare la verve dei suoi prospetti e la grande forza a rimbalzo (Mudiay è pur sempre una PG di quasi 2 metri per 90 chili) cercherà di giocare molto in velocità e transizione, ma quando la squadra dovrà fermarsi è molto probabile che Jokic sarà il perno su cui ruoterà la squadra, sfruttando il play congolese come risorsa dal pick and roll e Danilo – aka il quasar player – come principale arma realizzativa in una squadra che da quel punto di vista ha solo lui e Will Barton con punti nelle mani sicuri, tanto che al Draft si è cercato di andare ai ripari puntando su un realizzatore versatile come Jamal Murray da Kentucky.
Ah, sembra sia tornato pure uno Jusuf Nurkic in forma smagliante. Sempre insieme al suo carico di timidezza.
Oltre alla mancanza di pericolosità nell’attacco a difesa schierata, i limiti di questa squadra sono facilmente riconducibili al roster molto giovane, quindi probabile protagonista di una certa discontinuità di rendimento, e a una difesa ancora troppo ballerina soprattutto nella difesa del tiro da tre – 37.1%, 3° peggiore della Lega.
La ricostruzione dei Nuggets sembra essere prossima allo stadio conclusivo ed è probabile che verso metà del percorso si trovino nella situazione di dover scegliere se puntare forte verso l’ingresso ai playoff o far fruttare un’altra scelta in lottery per poi iniziare a far sul serio già dal prossimo anno. Occhio anche alle possibili variazioni del roster durante la stagione, visto che gli ingredienti ci sono tutti: gregari appetibili (Chandler, Faried), giocatori giovani e scelte da far fruttare. Tenete un occhio sui Nuggets, poi non dite che non vi abbiamo avvisato.