Mega guida alla Western Conference 2016/17
C’è vita oltre Golden State?
5) OKLAHOMA CITY THUNDER
Ranking overall redazione UU: 9.1
Casadei
Nel ridente stato dell’Oklahoma è andato in scena per otto anni un dualismo a piano sequenza degno di Birdman. Ma chi il buono e chi il cattivo? Basti sapere che in Oklahoma ora vogliono cambiare il nome di una città da Durant a Westbrook. Ciò che è successo in mezzo è un pasticcio brutto di dichiarazioni a mezzo stampa, video, interviste, in cui ognuno gioca la sua parte. Il ruolo di Westbrook è ridere istericamente esclamando “that’s cute” alle provocazioni dei giornalisti: il giudizio nazionalpopolare supporta questa non strategia.
BRUH(via The Ringer)
La verità è che nessuna squadra può trovare un palliativo alla perdita di un Hall of Famer nel prime della sua carriera. La cura non è affidare un masso di dimensioni epiche sulle spalle di un uomo solo, come suggerisce qualche cuore impavido. Non è – e non è mai stata – una ricetta per la vittoria. Sam Presti lo sa e si è mosso in questa direzione. La trade che ha portato Oladipo e Ilyasova lasciando andare Ibaka – completata già prima di #TheKDecision – mira ad aggiungere un ball handler secondario per sgravare qualche peso dall’Atlante con il numero 0, e a maggior ragione diventa ancora più importante ora.
Nello scacchiere del GM Enes Kanter e Steven Adams sono i due alfieri atti a sostituire Ibaka. Gli Stache Bros, oltre ad essere una bromance intercontinentale assai improbabile, sono due omaccioni che hanno fatto vedere ottime cose ai playoff: Kanter è obiettore di coscienza sotto il suo canestro ma aggredisce l’altro ferro con una resilienza pari a pochi – e grazie a lui i Thunder catturano una quantità spropositata di rimbalzi; il neozelandese invece è un two-way player dotato di un gancetto in corsa mortale che Westbrook può innescare quando vuole.
Oltre ad essere il miglior bloccante in circolazione, Adams ha accettato cambi su chiunque ai playoff risultando fattore determinante contro Spurs e Warriors
Alla lineup rimane sempre un grosso buco in ala piccola e il problema ora non è trovare un vice-Durant, ma reinventarsi senza Durant. Andre Roberson è un avvoltoio in difesa ma ai playoff gli è stato riservato il Trattamento Tony Allen e non pare che quel tiro possa migliorare più di tanto. Singler e Morrow sono a roster dalla notte dei tempi ma Donovan li ha quasi totalmente dimenticati in primavera. Sul fronte rookie occhio a Domantas Sabonis che non avrà i mezzi fisici per fare la differenza, ma è un giocatore mentalmente pronto che può contribuire da subito.
La stagione dei Thunder ha uno spettro di possibilità virtualmente infinito che va dal Westbrook MVP che espugna la Oracle allo psicodramma esistenziale. Stiamo in medias res. Diciamo 45-50 vittorie, playoff, e un’insana quantità di schiacciate cattive in faccia a chicchessia.
4) UTAH JAZZ
Ranking overall redazione UU: 6.1
Fabrizio Gilardi
Dentro: George Hill, arrivato dagli Indiana Pacers, e Dante Exum, al rientro dall’infortunio che gli ha fatto saltare tutta la scorsa stagione.
Fuori: Trey Burke (ceduto), Raul Neto, Shelvin Mack.
Per garantire ai Jazz un deciso salto in avanti dal 9° posto materializzatosi appena prima di lasciare il palcoscenico all’ultimo show di Kobe basterebbe già solo questo: passare nel ruolo chiave di point guard da tre giocatori che faticano a stare in una rotazione NBA a un veterano con esperienza di playoff e un giovane di enorme potenziale, ma già di grande impatto nella metà campo difensiva.
Il principale obiettivo sul campo sarà quello di trasformare un attacco lento (30° pace, 29° per frequenza di transizione) e prevedibile, basato sul post alto (1° per tocchi al gomito e passaggi consegnati) e sotto media per efficienza nelle situazioni di pick and roll (vedi l’assenza di playmaker di ruolo competenti) in un sistema più moderno, aperto e che garantisca spazi più ampi, con la possibilità di schierare contemporaneamente 3 giocatori che uniscono capacità da trattatori di palla (Exum, Hill, Burks, Hayward, Hood, Joe Johnson) e da tiratori. Il meno abile sulla carta è Exum, che comunque ha avuto un anno di tempo per lavorare sul fondamentale e che già si avvicinava ad un dignitoso 40% piedi per terra.
Per evitare ulteriori brutte sorprese alla voce infortuni – che hanno tenuto i Jazz fuori dai playoff nella scorsa stagione e che comunque già hanno colpito la mano sinistra di Gordon Hayward (fuori per 20 partite) – è stata costruita una squadra estremamente profonda e versatile, in grado di passare facilmente da un assetto da smallball (3 esterni puri, Lyles, Favors/Gobert) a uno da bullyball (Exum, Hayward, Hood, Favors, Gobert, rispettivamente 198, 203, 203, 208 e 216 centimetri) e adattarsi ad ogni tipo di avversario.
Nessuno si nasconde: a Salt Lake City si punta a vincere la Northwest Division e quindi presumibilmente a guadagnare il fattore campo al primo turno di playoff. Se Quin Snyder saprà sfruttare le varie possibilità tattiche a proprio vantaggio, magari rinunciando a qualche minuto di coesistenza della coppia di lunghi titolare, e sarà in grado di tenere tutti uniti, positivi (auguri con Burks, che al rientro di Hayward potrebbe trovarsi incollato alla panchina) e in forma (non quella tondeggiante sfoggiata dall’altro nuovo arrivo Boris Diaw, sigh) il traguardo è alla portata. Da tenere d’occhio: la crescita di Exum e Lyles e la definitiva maturazione di Favors, che potrebbe essere la vera chiave della stagione.
3) L.A. CLIPPERS
Ranking overall redazione UU: 3.7
Daniele V Morrone
Qualcuno dovrà pur affrontare gli Warriors nella finale di Conference prima della rivincita contro LeBron. Ed è veramente stuzzicante pensare che quella squadra possano finalmente essere i Clippers. Soprattutto per loro. Soprattutto perché è evidente come questo possa essere l’ultimo anno a disposizione per questo gruppo.
Con le concorrenti dirette al ruolo di sfidante che si sono indebolite, per i Clippers è veramente arrivato il momento dell’“adesso o mai più”. Soprattutto perché Rivers non deve toccare nulla dal punto di vista tattico per rimanere tra le migliori, dato che il core di questo gruppo (Paul, Redick, Griffin e Jordan), se sano, è una sicurezza per viaggiare al ritmo delle migliori della classe sempre e comunque. Anche con il pilota automatico, anche bendata, questa squadra potrebbe eseguire i propri giochi in modo fluido con la certezza di essere in grado di mettere in difficoltà qualsiasi difesa. Il pick and roll tra Paul e Griffin, con Redick sul lato debole e Jordan pronto a ricevere sotto canestro è un assetto élite in grado da solo di garantire uno dei primi tre attacchi della Lega.
E se tutta la prima parte di questa preview poteva valere anche per la versione dei Clippers dello scorso anno, purtroppo anche la parte dove Rivers dovrà mettere le mani è rimasta invariata: serve assolutamente un’ala piccola titolare affidabile e al momento il roster ne è privo. Addirittura non è chiaro ancora neanche chi partirà in quintetto, visto che il giocatore in vantaggio (Mbah a Moute) è un buco nero in attacco tale da poter essere lasciato completamente libero se con palla, cosa che rende molto problematico le spaziature, ma almeno sembra un giocatore NBA rispetto a chi sta dietro in griglia come l’attuale Paul Pierce (lo so, fa male scrivere questo di Pierce), Alan Anderson o l’insipido Wes Johnson.
E se il quinto titolare rimane un problema, non è molto meglio la situazione della panchina, formata solo da giocatori che Doc the GM ha pescato tra gli scarti della lega (come Felton o Speights) o giocatori di cui si fida ma che non danno reali garanzie di rendimento ad alti livelli (come Bass o l’attuale Crawford). E visto che la possibilità di movimenti sul mercato è minima a meno di andare a toccare uno dei quattro del core, c’è da fare le nozze con i fichi secchi. Come il tanto bistrattato Austin Rivers, che risulta l’unica riserva affidabile e rischia di avere compiti dalla panchina ben più grandi di quanto il suo talento permetterebbe: come l’idea di averlo in campo più tempo possibile sulla PG avversaria così da non stremare Chris Paul già a marzo.
Con pregi e difetti ben noti e poco arginabili, comunque a meno di infortuni eccellenti i Clippers navigheranno a vele spiegate tra l’élite della Lega contendendo il secondo posto ad ovest e puntando tutte le proprie fiche sull’approdo alle finali di conference. Da questo risultato quasi sicuramente dipenderà tutto il futuro dell’intero gruppo.
2) SAN ANTONIO SPURS
Ranking overall redazione UU: 3.3
Dario Ronzulli
Era dall’estate del 1996 che i San Antonio Spurs non iniziavano la propria stagione senza Tim Duncan. Basta questo per segnare già da ora l’annata dei texani, che si consoleranno con il probabile ultimo giro di giostra del mammasantissima Manu Ginobili (quest’anno accompagnato di nuovo da altri argentini, Garino e Laprovittola). Oltre a Timmy sono andati via David West, Matt Bonner, Boban Marjanovic e Boris Diaw con la sua macchina del caffè.
Come fai a sostituire uno così?
Praticamente del reparto lunghi della scorsa stagione è rimasto solo LaMarcus Aldridge – peraltro al centro di voci che, se dovessero verificarsi, cambierebbero il materiale su cui lavorare – e, volendo, Kyle Anderson che presumibilmente avrà più minutaggio da 4 tattico che da 3. Una rivoluzione totale, sia per la quantità che per le caratteristiche dei giocatori. La coppia Pau Gasol-Aldridge avrà bisogno di tempo per trovare un punto d’incontro tra due giocatori piuttosto sovrapponibili da un punto di vista offensivo. Allo stesso modo, difensivamente ci sono meccanismi da rivedere perché nessuno dei due possiede la capacità di lettura di Duncan o Diaw. Ma la mole di lavoro maggiore che attende Popovich è far emergere le qualità della panchina: la rotazione prevede Anderson, David Lee, Dewayne Dedmon e Joel Anthony. Senza offesa, ma gli Spurs hanno avuto di meglio nella loro storia.
Tutto questo però non cambia il piano di battaglia stagionale: a San Antonio si gioca per vincere, sempre e comunque. Sarà ancora di più, sempre di più la squadra di quello straordinario uomo-ovunque che risponde al nome di Kawhi Leonard. Sarà la solita squadra organizzata, sarà la solita squadra da 50+ vittorie, sarà la solita squadra che nessuno vorrà affrontare ai playoff. Saranno insomma i San Antonio Spurs: siete davvero sicuri di scommetterci contro ad occhi chiusi?
1) GOLDEN STATE WARRIORS
Ranking overall redazione UU: 1
Vismara
Faccio ancora un po’ fatica a capire come la squadra di cui più abbiamo parlato negli ultimi due anni sia riuscita a diventare ancora più rilevante rispetto al recentissimo passato. Cioè davvero: nell’ultimo biennio l’ascesa dei Golden State Warriors ha finito per fagocitare un buon 50% delle attenzioni legate alla NBA, richiamando l’interesse di persone che della nostra amata palla a spicchi si interessano solo occasionalmente e costringendo ESPN.com a creare una sezioncina chiamata “Nothin’ but Steph”. Eppure nella stagione che sta per cominciare sono diventati esponenzialmente più rilevanti. È quello che succede quando collezioni 73 vittorie ma non vinci il titolo sprecando un vantaggio di 3-1. Lo è ancora di più quando riesci a prendere uno come KEVIN DURANT.
L’arrivo di KD cambia però un po’ la narrativa attorno agli Warriors: se durante l’era Mark Jackson erano “la squadra più hipster della NBA” e gradualmente sono diventati “la squadra più divertente della NBA” con Steve Kerr, nella passata stagione si sono trasformati ne “la squadra più vincente della NBA”. Solo che si sono spinti — o li abbiamo spinti “noi”? — oltre le Colonne d’Ercole dell’Hipsterismo: hanno iniziato a vincere fin troppo per risultare ancora simpatici e il continuo bombardamento delle loro immagini ha finito per far rivoltare, poco a poco, la gente contro di loro. Tanto che alla fine della scorsa stagione c’era tanta gente a godere del titolo di LeBron James tanta quanta a esultare per la caduta degli dèi.
L’arrivo di Durant si inserisce in questo solco di “repulsione istantanea”: a tutti piace seguire il percorso di persone che dal nulla diventano miliardarie, ma quando diventano ancora più ricchi, potenti e arroganti, iniziamo ad odiarli. Osservare come risponderanno gli Warriors al “turn heel” che, volenti o dolenti, dovranno affrontare è una delle sotto-trame più interessanti di una squadra che appare destinata a fare la storia della NBA, perché quattro giocatori tra i primi 15 dei quintetti All-NBA della stagione precedente non li aveva mai avuti nessuno.
Are you serious?
Le prime immagini di Curry, Thompson, Durant e Green tutti assieme fanno semplicemente spavento, e nel corso della stagione ci saranno momenti in cui agli avversari in panchina non resterà che lanciare gli asciugamani in campo per dichiarare la resa come in un incontro di boxe. Lo abbiamo già visto negli anni passati, è destinato a peggiorare ancora. Perché non è solo l’incredibile ammontare di talento offensivo, ma anche se non soprattutto quello difensivo, dato che il Durant ammirato negli scorsi playoff è vicino ad essere il miglior difensore della NBA, visto che quasi da solo aveva obbligato i suoi attuali compagni di squadra a tirare fuori il meglio del meglio per riuscire a batterlo. Per togliere ulteriori speranze agli avversari, anche la panchina sembra essere più solida rispetto a quella dello scorso anno (che, a voler ben vedere, non funzionava poi granché bene) perché a guidarla ci saranno sempre due dei quattro sopracitati.
Cosa può riuscire a farli deragliare allora? Pat Riley la definiva “The Disease of More”: più successo una squadra ha, più i suoi componenti cercheranno ulteriori stimoli individuali, che siano soldi, riconoscimenti o statistiche. È già successo con Draymond Green — il cui caratterino è stato descritto nel dettaglio da Ethan Sherwood Strauss nel miglior pezzo uscito in questa pre-season —, potrebbe succedere anche con altri. Ed è quello che sperano le altre 29 franchigie, perché in questo momento pensare che non vincano loro questo titolo NBA è puro esercizio di stile.