In quel decennio ormai sbiadito in cui Diretta.it e il betting online erano ancora di là da venire, e si poteva essere al corrente del risultato di una partita solo non staccando mai gli occhi dall’apposita pagina del Televideo, l’Italia Under 21 scriveva spesso piccole pagine di felicità. Non aveva giocatori che rubassero gli occhi e il cuore con giocate alla Baggio (non ancora, almeno) né smuoveva le masse critiche dividendole in fazioni come faceva l’eretico Sacchi, ma era un villaggio sereno e affidabile amministrato con buonsenso dal borgomastro Cesare Maldini. La si incrociava quasi sempre in diretta su RaiTre all’ora dei compiti, smangiucchiati di malavoglia con il familiare sottofondo di un’Italia-Estonia con telecronaca di Carlo Nesti. Come una poesia di Prévert era una piccola e periodica certezza, a volte trascurabile, ma pur sempre una certezza: metteva allegria, portava speranza, soprattutto vinceva.
Naturalmente, per rendere avvincente quella storia, c’era comunque bisogno di un cattivo. Il suo nome era Antonio Matarrese, presidente iper-maneggione di una Federcalcio che, per cavalcare la tigre del nuovo che stava avanzando, era diventata più sacchiana dello stesso Sacchi. Sbarazzatosi dell’antiquato Azeglio Vicini (giubilato dalla Nazionale maggiore dopo la mancata qualificazione a Euro 1992 e sostituito con Arrigo), Matarrese aveva certo in animo di riservare lo stesso trattamento a Maldini, portabandiera di un calcio “pane e salame” un po’ favoleggiante che il presidente, uomo di praticità mercantile tipicamente barese, vedeva come il fumo negli occhi.
L’ultima ora di Maldini sembrava scoccata il 5 giugno 1991, dopo una catastrofica sconfitta per 6-0 in Norvegia che fece usare a Matarrese parole d’amore: «Andrebbero presi tutti a sculacciate». Invece la squadra tenne botta e riuscì a blindare la difesa e a inerpicarsi fino alla qualificazione alle Olimpiadi 1992, con annessa finale europea contro la Svezia, vinta contro ogni pronostico. A Barcellona Maldini perse improvvisamente il controllo di un gruppo bollito dalla calura catalana e finito alla deriva tra faide interne (Buso contro Melli, la cui pigrizia era enfatizzata dalla erre moscia parmigiana), scorribande notturne nel villaggio olimpico e gavettoni poco graditi ai danni degli altri atleti italiani, che presero a detestarli cordialmente. Maldini, poco incline alla diplomazia, se la prese a morte quando scoprì che Antonioli e Melli se la filavano in spiaggia ogni volta che potevano. Durante la gara di girone Polonia-Italia, persa 3-0 con l’Italia ridotta in 9, alcuni schermidori italiani furono visti gridare sugli spalti del mitico Sarrià “Andate a lavorare!”, con seguente lettera di scuse da parte della Federazione qualche giorno dopo. Ad ogni modo, il cammino si interruppe quasi in zona medaglie, a causa di una sconfitta ai quarti contro la Spagna padrona di casa di Guardiola e Luis Enrique cui non era estraneo il casalingo arbitro brasiliano Rezende.
Pillole da Barcellona ’92: le combinazioni in velocità tra Buso, Corini, Albertini e Melli e quella che è probabilmente la prima Italia di sempre con i nomi sulla schiena.
Di nuovo sulla graticola, con incalzanti voci di sostituzione con i sacchianissimi Varrella o Frosio, piano piano Maldini si riappropriò della tolda di comando con un nuovo biennio da campione d’Europa, stavolta a casa dei francesi. L’Under 1994 di Toldo, Panucci, Vieri e Cannavaro passò agli annali per aver segnato il primo golden goal della storia. All’epoca veniva ancora chiamato con il tetro nome di “morte improvvisa”: il primo boia fu Pierluigi Orlandini, da fuori area nella finale contro il Portogallo di Figo e Rui Costa, favoritissimo. Ma quell’Under si fece amare anche per la prima di una lunga serie di schermaglie con il ct della Francia, affrontata in semifinale. «Cesare Maldini fa un gioco che risale a vent’anni fa. È un allenatore, lui? È solo un signore che sta in panchina», scandì in conferenza stampa Raymond Domenech, mai troppo amante della cautela. «Siamo qui per imparare», lo schernì Cesarone il giorno prima di batterlo ai rigori, e non sarebbe stata l’ultima volta.
Semifinale Francia-Italia di Euro 1994: un implume Francesco Toldo fa le prove generali di Amsterdam 2000. Il malcapitato è Makelele, a cui effettivamente tutto si poteva chiedere tranne che tirare un rigore.
Piccoli fenomeni
A livello di sport di squadra gli anni Novanta dello sport italiano sono dominati dalle imprese della “generazione di fenomeni”, ovvero la Nazionale di pallavolo di Julio Velasco (tre titoli mondiali consecutivi dal 1990 al 1998, il terzo con ct Bebeto). Il calcio si lecca le ferite di Pasadena e ancora non conosce per intero il potenziale di quei ragazzi nati tra il 1973 e il 1976 che per il momento sono ancora sparsi tra la serie B e i margini delle grandi squadre: in ordine puramente alfabetico Buffon (che è un 1978), Cannavaro, Del Piero, Inzaghi, Nesta, Panucci, Totti, Vieri. Tutti loro fanno parte del biennio 1994-1996, quello del terzo titolo europeo consecutivo.
Com’è accaduto fino al 2006, per i gironi di qualificazione a Europei Under 21 e Mondiali/Europei “maggiori” veniva effettuato un sorteggio unico per comodità di trasferta: giornalisti e staff tecnico viaggiavano contemporaneamente al seguito di grandi e piccini, e se l’Italia giocava – mettiamo – a Bari, l’Under 21 andava in scena qualche ora prima a Matera. Il sorteggio del girone di qualificazione a Euro 1996 è stato assai benevolo per l’Italia vice-campione del mondo, che ha raccolto i cocci del disgregamento dell’URSS e della Jugoslavia: Croazia, Estonia, Lituania, Ucraina, Slovenia, con le prime due qualificate alla fase finale. Ben più rognosa la faccenda per Maldini, con un solo posto a disposizione da contendere a squadre dell’Est Europa abituate a coltivare i settori giovanili con cultura e rigore sovietico. L’esordio in Slovenia è già faticosissimo, nonostante possiamo schierare una coppia d’attacco Vieri-Del Piero non certo disprezzabile. Sotto 1-0 all’89’, evitiamo la sconfitta grazie a un gol alla Inzaghi di un giovane attaccante del Piacenza che si chiama, appunto, Filippo Inzaghi.
Il portiere titolare di quella prima partita è Patrizio Fimiani, del quale vi sfidiamo a ricordare la carriera senza andare su Wikipedia.
Nonostante l’abbondanza di grandi nomi in attacco, la stella delle prime partite è Davide Dionigi, attaccante di proprietà del Milan che segna 4 gol in due partite a Estonia e Croazia. Quest’ultima, temibilissima, viene sconfitta 2-1 a Caltanissetta da un’Italia bizzarramente in maglia rossa: è successo che i croati si sono presentati con le tenute bianche invece che azzurre come annunciato, e le divise azzurre dell’Italia non hanno i numeri dietro. Vengono rimediate le seconde maglie della Nissa, la squadra locale, e la partita inizia con mezz’ora di ritardo, mentre il pubblico è intrattenuto dalla disputa tra la banda dell’Esercito e quella dei Carabinieri su a chi spetti l’onore di suonare l’inno di Mameli.
In campo nella Croazia Milan Rapajc, futura stella del Perugia, mentre il gol ospite è messo a segno da Davor Vugrinec, che a fine millennio si metterà in mostra con la maglia del Lecce.
Dopo la scorpacciata contro l’Estonia a Catanzaro (7-0 utile per la differenza reti), arriva un’inattesa sconfitta a Kiev che ci fa scivolare al terzo posto dietro la Croazia e l’Ucraina del forte attaccante Rebrov (il suo gemellino, Andriy Shevchenko, è stato già precettato dai grandi). La vittoria per 2-0 in Lituania manda in archivio la stagione 1994-95 e consegna agli annali un’Under 21 imperniata su giocatori di sicuro affidamento come Christian Vieri, Alex Del Piero, Marco Delvecchio, il talentuoso capitano e regista del Bari Emiliano Bigica, il portiere del Ravenna Domenico Doardo. Per vari motivi, non ritroveremo nessuno di loro un anno dopo: l’Under 21 è come l’estate dei vent’anni, dura un attimo e non torna più.
Nel primo tempo contro l’Estonia tutta la sintonia tra Christian Vieri e Marco Delvecchio, già molto prima di diventare protagonisti di un reality show ambientato a Cuba dall’immaginifico titolo “Bobo & Marco – I re del ballo”.
Prima di arrivare agli Europei, però, bisogna qualificarsi. Il grande cuore della piccola Italia ci consente di battere la Slovenia a Vicenza sotto il diluvio, con un gol di Galante a tempo scaduto decisivo per restare in corsa, e di strappare un buon 2-2 a Varazdin, in Croazia, grazie alle capocciate di Delvecchio e Galante. Il finale del girone assume connotati drammatici, con il sudatissimo 2-1 all’Ucraina firmato dal primo gol azzurro di Nicola Amoruso, elegante centravanti del Padova che nei mesi successivi scalerà le gerarchie dell’attacco ai danni dell’atalantino Vieri, rotto un po’ troppo spesso, e del neo-parmigiano Inzaghi, immusonito in panchina all’ombra di Zola e Stoichkov. Lo 0-0 contro la Lituania ci qualifica ai quarti, dove non peschiamo benissimo: il Portogallo, nel remake anticipato della finale 1994. I rapporti di forza sono però cambiati drasticamente: non è più la Seleção di Figo e Rui Costa e, nonostante la sconfitta dell’andata al Da Luz di Lisbona a causa di uno svarione di Panucci, i corazzatissimi azzurrini, raggiunti anche da Del Piero, hanno buon gioco a ribaltare il risultato a Palermo, con un 2-0 che ci qualifica ai Giochi di Atlanta.
Una nuova stagione è iniziata e nella classe di Cesarone sono arrivati nuovi alunni: il terzino sinistro milanista Francesco Coco, per molti “il nuovo Maldini”, e il portiere sampdoriano Angelo Pagotto, qui battuto su rigore in Croazia. Si rifarà.
La fase finale dell’Europeo Under 21 1996 viene assegnata alla Spagna, che decide di organizzarla proprio al Montjuic di Barcellona, la città dell’incubo olimpico a 40 gradi del 1992. Si sono qualificate anche la Francia di Pires, Makelele, Wiltord e un Patrick Vieira fresco di scudetto con il Milan, oltre alla sorprendente Scozia, che sarà vittima sacrificale nella semifinale contro i padroni di casa. Cesare Maldini ha fatto scelte sorprendenti: a casa l’ex capitano Bigica, avvitatosi in una brutta stagione a Firenze, e tra i pali fiducia a Pagotto, che alla Samp langue in panchina da due mesi e ha appena rifiutato un prolungamento per una sola stagione, preparandosi a un’estate da disoccupato («La Samp ha cercato di incastrarmi con un rinnovo a condizioni inaccettabili, il secondo a Zenga non lo voglio fare»). È la prima estate della rivoluzione Bosman, che porterà decine di bidoni stranieri quasi sempre a discapito dei nostri giovani migliori. Siede solo in panchina il prodigioso Gianluigi Buffon, maggiorenne da appena pochi mesi, rivelazione della stagione tra i pali del Parma a partire dal portentoso esordio contro il Milan nel novembre precedente. Il reparto più tartassato è l’attacco, che deve rinunciare a Vieri (rotto), Inzaghi (rotto) e Del Piero, preteso da Sacchi per gli Europei maggiori: giocherà in tutto 45 minuti da ala sinistra prima di essere dimenticato in un baule. Per chiudere la rosa di 18 giocatori Maldini deve avventurarsi nel fondo del barile, raccogliendo due ragazzi mai scesi in campo neanche un minuto tra girone e quarti. Il primo è un fantasista dell’Atalanta di difficile collocazione, dal talento proporzionale alla pigrizia e all’indolenza, e si chiama Domenico Morfeo. Il secondo è un attaccante tempestoso e dalla faccia vagamente da schiaffi, il secondo più giovane in rosa dopo Buffon: gioca nella Roma e porta la maglia numero 20, il suo nome è Francesco Totti.
Under Pressure
Italia-Francia, dunque. Maldini decide di abbracciare la modernità con un 4-4-2 al passo coi tempi in cui Pagotto (Sampdoria) è il portiere, Panucci (Milan) e Pistone (Inter) i terzini, Galante (Genoa) lo stopper e l’elegante Fresi (Inter) è il libero. A centrocampo quattro mediani intercambiabili con Tommasi (Verona) e Ametrano (Udinese) larghi e in mezzo la coppia al fosforo Tacchinardi (Juventus)-Brambilla (Parma). Per esclusione, a Marco Delvecchio (Roma) viene affiancato Amoruso, retrocesso in B col Padova. In panchina: Buffon, Sartor, Pecchia, Morfeo, Totti. Grandissimi assenti: i due difensori centrali titolari entrambi squalificati, non una brutta coppia dal momento che sono Nesta e Cannavaro. Il ct francese è ancora l’ineffabile Domenech, nel frattempo passato attraverso una disavventura al Mondiale di USA ’94. Inviato in America dalla Federazione come osservatore, si trovava a Boston per Corea del Sud-Bolivia quando gli era stato comunicato che quella partita poteva anche risparmiarsela. Rinfrancato, si era messo nel piazzale con i suoi due biglietti di tribuna centrale rimessi in vendita a metà prezzo; sfortunatamente, si erano avvicinati per primi due poliziotti in borghese che lo avevano arrestato per bagarinaggio. Una notte in carcere, prima di pagare i 500 dollari di cauzione e tornare a piede libero. Ma in conferenza non rinuncia all’abituale carico da undici: «L’esperienza in Italia ha molto maturato Vieira, adesso sa provocare avversari e arbitri». Maldini non infierisce: «L’ho incontrato uscendo dall’ascensore, mi ha sorriso».
La proverbiale prudenza di Cesarone, aperitivo di quella che sfoggerà due anni dopo a Saint Denis in un Francia-Italia ancora più importante, va a segno: i francesi ci accerchiano ma cavano dal buco solo il ragno di una traversa di Pires. Nonostante non giochi una partita seria da gennaio a causa di un brutto virus, Tacchinardi mette la museruola al temuto Makelele. L’infortunio alla caviglia sinistra che mette fuori causa Delvecchio, l’ennesimo attaccante, obbliga Maldini a ripartire nella ripresa con Totti. Dopo neanche cinque minuti una percussione di Brambilla porta a un contrasto tra Amoruso e il portiere Letizi, la palla resta vagante per qualche istante finché non arriva Totti a metterla in rete. Siamo in finale. La prima gioia in azzurro del “Pupone” arriva poco prima delle 8 di sera, negli stessi minuti in cui, ironia della sorte, a Fiumicino sta atterrando un volo proveniente da Parigi con a bordo Carlos Bianchi. L’allenatore argentino scelto da Franco Sensi per guidare la Roma 1996-1997; l’uomo che proverà in tutti i modi a scambiarlo con Litmanen.
Dite la verità, Brambilla l’avevate rimosso.