Zurigo e Rotorua distano all’incirca 190.000 chilometri l’una dall’altra, ma a separare i due protagonisti di questa storia non è solo la distanza fisica tra i rispettivi luoghi d’origine.
Enes Kanter nasce in Svizzera durante il periodo in cui il padre Mehmet perfeziona la laurea specialistica in medicina presso il prestigioso ateneo frequentato, tra gli altri, da Albert Einstein a inizio ‘900. Il figlio di Mehmet vanta un curriculum accademico di tutto rispetto che si conclude con un anno di permanenza oltre oceano, presso la Stoneridge Prep School, nel cuore della Simi Valley, in California. Quando al Nike Hoop Summit del 2010 Enes, non ancora 18enne, infrange il record di punti stabilito da Dirk Nowitzki nel 1998, appare chiaro a tutti che si tratti di un predestinato. Solo una storia poco chiara, relativa a somme percepite durante la sua permanenza nelle file del Fenerbahçe due anni prima, gli impedisce di volare tra le braccia di coach Calipari a Kentucky. Nonostante l’inghippo, gli Utah Jazz lo scelgono comunque con la numero 3 al Draft 2011.
Kanter dimostra da subito un’innata efficacia nel pitturato avversario, particolarità che diviene la sua cifra stilistica. Quanto all’atteggiamento nella propria metà campo, il turco — parafrasando una celeberrima battuta dei Simpsons — è presto bollato come un vegano di livello 5, ovvero si rifiuta per principio di toccare qualsiasi cosa proietti un’ombra.
Se l’attitudine difensiva è rivedibile, le modalità con cui si relaziona all’ambiente dei Jazz finisce inevitabilmente per isolarlo dal resto del gruppo. Già nell’anno da rookie non fa mistero di apprezzare ben poco l’impostazione tecnica della squadra, che a suo dire lo costringe a giocare troppo lontano da canestro, e ancora meno il contesto ambientale (l’unica cosa di valore nello stato dello Utah secondo Kanter? “Le montagne”). Felicemente approdato a OKC, gli strascichi derivanti dallo scarso feeling con la sua prima franchigia tardano ad esaurirsi.
Nel suo primo, infelice ritorno a Salt Lake City, il pubblico e gli ex-compagni lo accolgono con moderato entusiasmo e Kanter non fa niente per evitare le polemiche. Laconico il commento dell’ex compagno Trevor Booker: “Come d’abitudine ha fatto i suoi numeri ed è tornato a casa con una sconfitta”.
Steven Adams invece è figlio di un ufficiale della marina inglese stabilitosi in Nuova Zelanda che, tra una missione e l’altra, si è tenuto impegnato e ha sfornato 18 eredi con 5 diverse consorti. Il tratto genetico comune è l’imponenza fisica: i discendenti maschi di Sid Adams infatti misurano in media 2,06 metri d’altezza, e le femmine 1,83. Valerie è la più celebre tra le sorelle, campionessa mondiale e due volte medaglia d’oro olimpica nel getto del peso, mentre Steven è l’ultimo della nidiata.
Il percorso di crescita del neozelandese è decisamente meno lineare rispetto a quello del futuro amico e compagno di reparto. Dopo la prematura morte del padre, Adams abbandona la scuola e trascorre la prima parte della sua adolescenza per le strade della cittadina natale, frequentando compagnie poco raccomandabili. Warren, uno di fratelli maggiori, decide di prenderlo sotto la sua ala protettiva e lo aiuta ad entrare allo Scotts College di Wellington. L’imponenza fisica del giovane Steven, insieme a una sempre più marcata predisposizione per il basket, gli procurano l’attenzione di diversi college americani e Adams opta per Pittsburgh, dove disputa un’eccellente stagione da freshman. Al termine dell’annata si dichiara eleggibile per il Draft 2013 e i Thunder dispongono della scelta numero 12, eredità della trade che ha portato James Harden a Houston nove mesi prima, e puntano forte sull’acerbo ma promettente centro.
Un centro ricco di virtù mistiche.
Adams, fin dall’approdo nella Lega, comincia a farsi odiare dagli avversari per il suo approccio fisico e provocatorio. Il suo arsenale in attacco, oltre tutto, è decisamente più limitato di quello verbale sciorinato davanti ai microfoni.
Jet privati con tavoli a bordo e il primo, tenero impatto con Kendrick Perkins: ecco le cose hanno colpito l’attenzione del giovane Adams appena arrivato nella lega, il tutto nel suo meraviglioso accento neozelandese.
Small Ball, Big Bodies
Per entrambi, la prima parte di carriera NBA è un mero prologo all’imminente consacrazione, il trailer di un film destinato a diventare cult nel breve volgere di una serie di playoff, quella andata in scena poche settimane fa tra OKC e San Antonio. Prima di affrontare gli Spurs, la loro contemporanea presenza sul parquet equivale a poco più che un miraggio. Data la pressoché perfetta sovrapposizione delle singole caratteristiche tecniche — entrambi grossi e poco abituati a giocare lontano dal ferro — i due vengono considerati uno il cambio dell’altro. Per questo durante l’intera regular season Adams e Kanter giocano insieme 127 minuti complessivi accumulati in 27 partite, producendo risultati poco confortanti (un mero +2.1 di differenziale in una squadra da +6.9 in stagione). A coach Billy Donovan non rimane che catalogare la convivenza dei due centri sotto la voce “opzione tattica poco praticabile” e confinarla nel dimenticatoio.
Dopo il disastro di gara-1 contro San Antonio, però, i Thunder sono già con le spalle al muro. La sconfitta patita sul campo avversario ha sottolineato la distanza tra quella che sembra una squadra in pieno controllo del proprio destino, gli Spurs, e un’altra che appare destinata a ricadere per l’ennesima volta negli errori che hanno segnato la breve ma intensa storia della franchigia. Gli addetti ai lavori, pronti a suonare la campana a morte per OKC, concordano la soluzione necessaria per contrastare la supremazia nero-argento: Durant da 4, allargare il campo, tirare più da tre. Insomma, la consueta ricetta ormai applicabile a ogni squadra della lega, indipendentemente dalle caratteristiche del roster a disposizione.
Invece Donovan, la cui prima annata sul pino di OKC si era fin lì limitata all’ortodosso rispetto del dettame “uno-tra-Durant-e-Westbrook-deve-sempre-rimanere-in-campo”, estrae il coniglio dal cilindro. Difficile stabilire se si tratti di colpo di genio o mossa disperata, il confine tra le due definizioni è spesso piuttosto labile. Ad ogni modo, Donovan — probabilmente incoraggiato dalla strepitosa condizione psico-fisica di Adams, che nei playoffs ha migliorato sensibilmente tutte le statistiche individuali passando da 25 minuti di media a 32, da 8 a 10 punti e da 6,7 rimbalzi a 10 — decide di sondare l’ignoto: Adams e Kanter nello stesso quintetto.
I responsi sono subito ottimi: i Thunder si aggiudicano gara-2 e soccombono solo nel finale di gara-3. Ma è nelle successive due partite, in cui la serie svolta a favore di OKC, che il risultato dell’esperimento comincia davvero a dare frutti. In gara-4 Adams fa registrare un plus/minus di +21, il migliore della squadra, e stabilisce il massimo in carriera per punti (16), dopo aver ritoccato quello relativo ai rimbalzi (17) in gara-2.
Adams, padrone assoluto del pitturato, si guadagna la consacrazione nella NBA.
Le cifre di Kanter invece rimangono sostanzialmente identiche a quelle registrate in regular season, ma è la combinazione dei due a risultare letale. Con i due lunghi in campo contemporaneamente i Thunder passano da un Net Rating di +1.9 registrato nelle sei partite a un eloquente +21.8 in 66 minuti, miglior combinazione di squadra. Ancor più evidente è il dominio sotto i tabelloni: si passa dal 54.5% all’84% di rimbalzi catturati, con un vertiginoso 45% tra quelli offensivi. Al termine della serie il saldo dei rimbalzi complessivi presi nelle sei gare segnerà un +48 (+21 offensivi) a favore di OKC.
A mandare all’aria il piano tattico di San Antonio è quindi la presenza ingombrante dei due lunghi su entrambi i lati del campo. Dal punto di vista atletico, il confronto con il pacchetto lunghi degli Spurs è umiliante per i texani: Duncan, West e Diaw non reggono la pressione difensiva applicata da OKC, costringendo Aldridge a prendersi tanti, troppi tiri, molti dei quali risultato di una forzatura negli ultimi 6 secondi dell’azione — perché dopo gara-1, ogni volta che prova a girarsi verso la linea di fondo arriva puntuale il raddoppio dei due lunghi. La percentuale di realizzazione nel pitturato cala bruscamente fino a un orripilante 48% e gli Spurs passano dai 110 punti segnati su 100 possessi, pregevole media tenuta durante la regular season, a poco più di 99. E se per Adams la cattiveria agonistica è un marchio di fabbrica riconosciuto, Kanter dimostra una voglia di sacrificarsi per i compagni mai vista in precedenza. Caricati di responsabilità fino a poco prima nemmeno immaginabili, i due sfruttano al meglio la possibilità di giocare finalmente fianco a fianco.
Enes & Steven doin’ work.
Non bastasse, l’attacco di OKC diventa un rebus irrisolvibile per Leonard e compagni. I Thunder alzano i giri del motore e sfruttano in maniera chirurgica il vantaggio derivante dall’utilizzo del pick and roll tra uno dei due lunghi e Westbrook o Durant. San Antonio decide comunque di cambiare su quasi tutte le singole situazioni, finendo per chiudersi nel più classico dei vicoli ciechi. Non c’è scampo: Adams o Kanter restano accoppiati con giocatori impossibilitati a reggerne la prepotenza fisica vicino a canestro, oppure Durant e Westbrook approfittano del mismatch per maltrattare il lungo avversario e portare a casa punti facili. Popovich non riesce a trovare contromisure adeguate, OKC guadagna fiducia a ogni possesso e, dopo aver schiantato l’avversario in gara-6, si aggiudica una serie che sembrava segnata già dopo la prima partita.
Enes Kanter out here doing mid-game push-ups. Dude is feeling himself. https://t.co/YRq0Zj2bhO
— Anthony Slater (@anthonyVslater) 13 maggio 2016
Volgare dimostrazione di strapotere atletico: Kanter fa le flessioni dopo un contatto nel pitturato, Garnett-style.
Il ritorno alle finali di conference porta con sé una nuova, affascinante sfida. Se con Durant e Westbrook in squadra nessun traguardo sembra impossibile, il pilastro su cui poggia la ritrovata audacia dei Thunder è sostenuto dalle possenti spalle, e dai baffi, di Adams e Kanter. Una coppia la cui intesa non si limita ai 28 metri di campo.
Brothers In Stache
Le origini del soprannome, evidente parodia dei ben più glamour Splash Brothers californiani, si perdono nei meandri delle varie versioni che trapelano dai diretti interessati, a tal proposito piuttosto elusivi. Una cosa è certa: è Adams a gettare le basi per il futuro culto del baffo. Dopo alcuni estemporanei tentativi durante la stagione da rookie e al Media Day di due anni fa, il centro dei Thunder decide di adottare definitivamente il nuovo look nell’estate del 2015. Il modello dichiarato è Tom Selleck, alias Magnum P.I.. I primi riscontri esterni, però, portano altrove: mentre si trova in vacanza sulla costa croata, Adams viene più volte scambiato per il feroce Khal Drogo di Game Of Thrones.
Adams, che non è un fan della popolare serie tv, si dichiara sorpreso. Tuttavia, apprezza il fatto che la somiglianza con il personaggio interpretato da Jason Momoa gli spalanchi le porte dei locali notturni più esclusivi della zona.
Kanter, con cui nel frattempo è sbocciata un’amicizia difficilmente pronosticabile, si fa coinvolgere ai margini dell’annuale ricorrenza del Movember. Teoricamente il look in comune dovrebbe durare per solo il mese di novembre, ma l’indice di gradimento, a detta dei protagonisti in gran parte maschile, è in costante ascesa e contribuisce a renderlo permanente.
Halloween brothers! pic.twitter.com/2wknqYdVHI
— Steven Adams (@RealStevenAdams) 25 ottobre 2015
Foto del profilo alla Magnum P.I., trucco alla Joker per Halloween (e un celebre compagno di squadra che si veste da Steven Adams).
Slowly forcing them to convert to the dark side. @AllBlacks pic.twitter.com/HS1ygXVhZP
— Steven Adams (@RealStevenAdams) 24 dicembre 2015
Scambio culturale Nuova Zelanda/Turchia alla vigilia di Natale.
L’account Twitter di Adams regala fuochi d’artificio a ripetizione e il marchio degli Stache Brothers si diffonde. Mitch McGary, finito ai margini delle rotazioni in casa Thunder, tenta di accreditarsi come terzo fratello per poi essere respinto in quanto giudicato portatore di baffo non all’altezza.
"You may not have the looks.
You may not have the dash.
But to win yourself a girl,
If you only got a moustache" pic.twitter.com/aeg0ZRiqVC— Steven Adams (@RealStevenAdams) 26 novembre 2015
Baffi, donne e poesia (McGary non può evidentemente competere).
Quando il culto è ormai consacrato, i due protagonisti sono oggetto di una lunga intervista sul tema. Nel mentre, respingono la candidatura di un nuovo membro assai influente da quelle parti.
Tempi comici praticamente perfetti e un’intesa che permette di andare oltre le iniziali perplessità di Kanter a proposito di un look considerato troppo anni ‘80.
Dentro e fuori dal campo i due col baffo non fanno prigionieri: convertirsi al loro culto o soccombere, non ci sono altre alternative. Se domattina si presentassero sul terrazzo del Palazzo Municipale che da su Bicentennial Park, avrebbero gioco facile nell’aizzare la folla: “Abbiamo conquistato Fort Alamo, adesso andiamo a prenderci tutto il f*****o Texas!”. Migliaia di adepti, a piedi o a cavallo, tutti con il vessillo del doppio baffo bene in vista, pronti a seguirli e marciare verso sud, diretti al confine. Qualora decidessero di assecondare la genuina inclinazione umoristica, piuttosto che dichiarare guerra agli stati confinanti, non rischierebbero di perdere la loro vena corrosiva.
I Moustache Brothers originali, che per aver osato criticare il regime militare di Myanmar con la loro satira sono stati rinchiusi per 6 anni in un campo di lavoro.
Stache Brothers, Inc.
Anche se i protagonisti di questa storia sono un turco e un neozelandese, siamo pur sempre in America, perciò il passo dalla goliardata al marketing è breve: in primavera compare l’iconica maglietta celebrativa, prodotta e commercializzata da 405 Threads, con sede proprio a Oklahoma City.
L’urlo di Kanter terrorizza l’occidente, il Texas in particolare.
L’estate si avvicina, e il secondo modello di t-shirt va esaurito in meno di 48 ore. Bisogna affrettarsi per non correre il rischio di rimanere senza.
(Purtroppo, fuori dal continente americano, la 405 Threads consegna solo in Australia e Nuova Zelanda. Adesso sapete a cosa servono tutti quei vostri amici emigrati nell’altro emisfero.)