La notizia è una di quelle che fanno la storia, cambiano l’intero assetto economico-sportivo e spostano l’attenzione completamente su una narrativa sola, tralasciando tutto il resto a sfumare nel contorno.
Kevin Durant sarà un giocatore dei Golden State Warriors.
Una notizia del genere riporta subito alla mente The Decision di LeBron James, quando il re decise di lasciare Cleveland per andare a Miami con Wade e Bosh nel 2010. Ma la KDecision, come è stata definita ieri, è qualcosa di molto diverso, sebbene alcune sfaccettature e conseguenze siano simili.
Su tutte: la cartina della NBA viene da oggi completamente riscritta.
Questo resterà ovviamente un caso isolato, perché coadiuvato da troppi fattori diversi e da numerose sliding doors che potevano cambiare l’esito della vicenda con uno schiocco di dita.
Per arrivare ad una firma del genere abbiamo dovuto assistere a:
- Curry che prende un contratto ridicolo a causa di infortuni a inizio carriera, per poi diventare uno juggernaut offensivo;
- Klay Thompson che sta per essere spedito a Minnesota per Kevin Love, salvo poi ripensarci per il veto di Jerry West e Steve Kerr;
- Tankare una mezza stagione per entrare in top 7 (il range di protezione della scelta) e riuscire a prendere Harrison Barnes;
- pescare Draymond Green al secondo giro;
- numerose scadenze che coincidono nel modo esatto, ed altre che non coincidono come serve;
- il più grande aumento di cap della storia della lega.
Non c’è nessun modo per replicare questa situazione, mai. Nonostante ciò state pur certi che i proprietari cercheranno di cambiare le regole al prossimo contratto collettivo (estate 2017) affinché una cosa del genere non accada più.
Cosa vuol dire la scelta per Golden State?
La prima grande differenza tra The Decision e la firma di ieri è questa: finora nessun giocatore così forte aveva firmato per una squadra così forte.
Quando LeBron è andato a Miami la domanda che ci si faceva era come avrebbero trovato il modo di giocare assieme quei tre giocatori. Gli Heat avevano dovuto fare piazza pulita del roster, e avevano iniziato il loro viaggio schierando in quintetto Carlos Arroyo e Joel Anthony.
I Warriors invece sono arrivati a 90 secondi da un titolo dopo aver vinto 73 partite in regular season, e il fit di Durant è semplicemente perfetto. Occorre solo togliere dall’equazione Harrison Barnes e sostituirlo nel miglior giocatore della lega per giocare quel ruolo.
La Lineup Of Death è ancora più di prima un quintetto ingiocabile: non esiste un modo a cui io riesca a pensare per fermare un pick&roll tra Curry e Green, con KD, Thompson e Iggy a dividersi il resto del campo – così come un qualsiasi altro pick&roll con due dei 5 di cui sopra e gli altri a spaziare. Stiamo per assistere ad uno dei quintetti più devastanti di sempre, dove tutti e 5 gli interpreti sono contemporaneamente eccellenti tiratori, passatori e bloccanti.
Aggiungere uno scorer così efficiente da tutte le parti del campo è pazzesco, sarà ancora più pazzesco pensare che i tiri di Durant quest’anno saranno molto più aperti e quindi la sua efficienza probabilmente aumenterà.
Le squadre dovranno restare incollate a Curry E Thompson E Durant ed è una cosa completamente folle. I Warriors avranno l’area completamente spalancata per i tagli, e possono generare tiri ad altissima percentuale facendo pigramente portare dei blocchi a qualcuno fino a trovare un giocatore libero. Le difese dovranno come minimo battezzare Iguodala ogni volta, e Iggy ha appena chiuso una stagione col 54 di efg% da 3. Significa che questo è appena diventato il best case scenario per il tiro da concedere.
Prendete una delle numerose triple aperte sbagliate da Barnes nelle finali: adesso affidate quella tripla a Kevin Durant.
Difensivamente poi rischiano di toccare livelli di eccellenza pura: il miglior marcatore di Draymond Green è appena passato a giocare nella loro squadra, tanto per fare un esempio, di fatto eliminando una più che credibile avversaria nella Western Conference.
I Warriors saranno forti come ancora nessuno riesce ad immaginare, e probabilmente saranno favoriti per la vittoria pure se uno tra Curry, Durant, Klay e Green si infortunasse per tutta la stagione.
Per far quadrare i conti però dovranno comunque dare una sfoltita al loro roster: Bogut è stato fatto partire in direzione Dallas per una seconda scelta e Golden State ha dovuto rinunciare ai diritti per Barnes e Ezeli, perdendoli per niente. Questa mossa permette loro di tenere in squadra ancora Shaun Livingston, e ora più che mai dovranno affidarsi ai vari McAdoo, Rush e Speights per rinfoltire la panchina.
Ma il problema più grande ora come ora è che i Warriors non hanno nessun centro a disposizione, anche se è notizia di poche ore fa che Zaza Pachulia ha firmato per 2.9 milioni (uno scherzo se considerate che è un giocatore di rotazione fatto e finito) pur di vincere il titolo. E probabilmente non sarà il solo.
In ogni caso Golden State giocherà ancora di più con un quintetto piccolo, e sebbene a rimbalzo e in post abbiano i mezzi per restare competitivi, numerose squadre proveranno a sfruttare questo unico limite per logorarli fisicamente, oltre che puntare Curry ad ogni azione come successo negli ultimi playoff.
La mancanza di profondità sarà la più grande debolezza di Golden State probabilmente per un paio di anni, quando poi la panchina tornerà ad essere competitiva a sufficienza, ma fino ad allora aspettatevi di vederli vincere molte meno partite in regular season per far rifiatare i titolari e vederli freschi ed in salute ai playoff – e a quel punto auguri.
Cosa vuol dire per Oklahoma City?
Quello di ieri è, senza girarci intorno, il giorno più nero della storia dei Thunder, che perdono il giocatore più forte della loro storia, l’uomo franchigia e il simbolo di OKC nel mondo, e si stima che in questa giornata la franchigia abbia perso un valore di centinaia di milioni di dollari.
Le sliding doors prima di questa scelta sono numerose e dolorosissime: meno di un mese fa Durant e Westbrook facevano a pezzi la difesa di Golden State in gara 3 e gara 4, in un dominio offensivo da parte di due giocatori veramente totale. I due dei Thunder entravano a piacere tra le linee avversarie, dominavano le plance offensive e non c’era veramente modo per i Warriors di ottenere uno stop. In gara 6 i Thunder avevano avuto una dozzina di occasioni per andare in vantaggio di una dozzina di punti e chiuderla, invece una secca offensiva dello stesso Durant (7/30 al tiro) ha riaperto partita e serie.
Uno dei più grandi “e se” della storia recente. Se qualcuno di quei 23 tiri sbagliati KD fosse entrato magari OKC adesso avrebbe un anello e ancora il loro giocatore franchigia. Sapere che dopo 40 giorni da questa partita Durant avrebbe cambiato casacca rende quella gara-6 ancora di più una delle partite su cui più si scriverà nella storia della NBA.
In passato avevamo scritto che ormai l’attacco di OKC era l’attacco di Westbrook con KD a fare il secondo di extralusso, ma emotivamente e per l’importanza che aveva per l’ambiente, quella squadra era la squadra di Durant, nella buona e nella cattiva sorte, ed è ormai un buco troppo grande da colmare.
I Thunder non sono comunque i Cavs lasciati da LeBron sei anni fa: Westbrook è ancora uno dei più forti giocatori del pianeta, la squadra è piena di giovani che possono essere titolari sin da subito (Adams, Oladipo, Kanter) o che lo saranno a breve (Sabonis). Il Pick&Roll tra Westbrook e Adams è ancora un’arma offensiva eccezionale, ma adesso le difese avranno un bel pensiero in meno e i Thunder rischiano di diventare una squadra che lotterà per i playoff e nulla di più.
Inoltre, il prossimo anno sarà Westbrook a toccare la free agency e i Thunder potrebbero provare a scambiarlo entro l’anno per evitare di perderlo come successo con Durant, o come minimo trattare per modificare il contratto ed estenderlo da subito.
Perdere consecutivamente KD e RW per nulla rischia di essere uno choc troppo grosso per chiunque: Presti è chiamato a ricostruire una squadra buona ma non troppo (per poter tankare dal 2017/18), e se dovesse perdere anche Westbrook il processo di ricostruzione sarà molto più lungo.
Donovan è un coach in grado di plasmare una nuova identità a questi Thunder, e dato il talento a disposizione possono perfino essere meglio di come ce li aspettiamo ora, ma la verità è che siamo stati privati di un paio di serie a Ovest come quelle di quest’anno – ed è questa la cosa che agli appassionati neutrali lascia l’amaro in bocca.
Cosa vuol dire per Durant?
Per quanto facile possa essere comprendere che tipo di giocatore sia Kevin Durant, tentare vagamente di capire che tipo di persona sia è una cosa troppo difficile per me.
All’arrivo nella lega Durant era un ragazzino che tratteneva a stento la gioia nel trattare con la Nike un contratto perché quello era sempre stato il suo sogno; pochi giorni fa si è seduto allo stesso tavolo con Popovich, Ainge, West e Riley, trattando singolarmente con ciascuno di essi per prendere una decisione impensabile.
Sono stato letteralmente delle ore, dopo l’annuncio della firma a pormi una semplice domanda: perché?
La decisione di LeBron era stata facile da capire: per quanto Cleveland fosse la sua terra e la sua casa, la società non era stata in grado di mettergli di fianco uno straccio di giocatore decente che fosse uno in 8 anni di carriera, e stava per entrare in una fase in cui avrebbe dovuto sprecare il suo potenziale migliore per aspettare che quella stessa dirigenza sistemasse le cose.
Quello che OKC rappresenta per Durant credo che sia paragonabile a quello che Cleveland rappresenta per LeBron: lo ha scritto per theplayerstribune.com nella lettera con cui ha comunicato la sua scelta, ma la squadra dei Thunder era davvero buona e davvero competitiva, ed erano sembrati a pochissimi centimetri dal traguardo più grande.
La realtà dei fatti è che nessuno di noi può avere idea di cosa significhi essere un giocatore come Kevin Durant, che cosa senta in cuor suo e cosa creda di trovare a Golden State. Possiamo solo farci un’illusione prospettica della verità, più che arrivare alla stessa.
Forse Durant sentiva di non poter mai fare più di quanto fatto quest’anno, che le 3 sconfitte consecutive ad opera dei Warriors erano un indizio ancora più grande delle 3 vittorie ottenute contro di loro. Forse ha semplicemente creduto e concordato con quello che gli ha detto Jerry West, vero mattatore indiscusso della NBA, ovverosia che andare ai Warriors fosse il modo migliore per creare una dinastia, e non solo per vincere un anello se le cose fossero andate per il meglio. O forse ha tristemente realizzato che per vincere aveva bisogno di molto più aiuto di quanto ha avuto finora.
La cosa di cui si può essere certi è che KD ha scelto la via più impopolare.
Dal prossimo anno ogni singola sconfitta dei Warriors verrà messa sotto al riflettore, ogni singola volta che quella squadra non renderà come le altissime aspettative che si sono create attorno ad essa sarà una carneficina mediatica, e la stragrande maggioranza della lega aspetterà ansiosa di vederli perdere.
I Warriors sono diventati i principali antagonisti della narrativa sportiva futura, e Durant ha preso indiscutibilmente il ruolo dell’uomo più odiabile. L’evento sportivo narrativamente più simile a questo è forse quello di Hulk Hogan che si allea con i cattivi Kevin Nash e Scott Hall per fondare il NWO. E quello era un evento scritto da degli autori in carne ed ossa proprio col fine di creare un colpo di scena.
Con queste premesse io non ho idea se questa sia una scelta di vigliaccheria o una scelta di coraggio, non ho idea di quanto possa essere facile diventare “il più odiato da tutti” pur di vincere.
Agonisticamente è stata la scelta più facile, ma in questo passaggio mi è sembrato realmente sincero:
“It really pains me to know that I will disappoint so many people with this choice”
Il pronostico adesso pende ancora di più dalla parte di Golden State, ma nello sport (come nel Northeast Ohio nelle parole di LBJ) “nothing is given, everything is earned”. Anche se tutto sembra indicare che i campioni saranno loro, adesso è il loro turno per riuscire effettivamente a vincere, sopportando l’etichetta dei cattivi.