Da quando Novak Djokovic ha iniziato ad allentare la sua continua tensione al miglioramento, dopo aver completato il Career Grand Slam con la vittoria del Roland Garros 2016, il tennis ha ricominciato a raccontare grandi storie e a rompere quella monotonia che ne stava pregiudicando l’interesse mediatico. In pochi mesi si è eletto un nuovo “Numero 1” del mondo (Andy Murray), si è arrivati al tanto sospirato diciottesimo Slam di Roger Federer e alla rinascita di Rafael Nadal a Montecarlo e Barcellona, che ora punta diretto al decimo Roland Garros.
Il 2017 è anche l’anno d’esordio dell’esperimento delle “Next Gen Finals”, il Master degli under 21 che si disputerà a Milano e che vedrà coinvolti i migliori tennisti del mondo nati dal 1996 in poi. Per giustificare il boom mediatico creato dall’ATP su queste nuove leve c’era bisogno di qualche risultato pesante. È accaduto che Alexander Zverev, in netta crescita già da mesi, abbia ottenuto la vittoria di un Master 1000, a Roma, un risultato che forse neanche lui si aspettava di raggiungere così presto, e che necessariamente contribuisce a far rivedere un po’ a tutti le nuove gerarchie del tennis mondiale.
Come è migliorato Zverev
Con la vittoria al Foro Italico in finale contro Novak Djokovic, Zverev raggiunge per la prima volta in carriera la Top 10, proprio alla decima posizione nel ranking mondiale. Ormai da due anni però si parla di lui come il vero grande Numero 1 del futuro. Federer già lo scorso anno non aveva dubbi che sarebbe arrivato nelle prime dieci posizioni, pur avendolo ammonito: «Sono sicuro che diventerà un Top 10 ma bisognerà vedere: si può essere top 10 per una settimana o per dieci anni consecutivi, c’è molta differenza».
A giugno scorso avevo già analizzato il gioco di Zverev. In quel periodo aveva appena battuto il suo idolo Federer per la prima volta (ma era un Federer ben lontano da quello che ha vinto tutto nei primi mesi del 2017) ed era entrato nei primi 30 del ranking. Accanto ai suoi grandi pregi, aveva però evidenziato anche qualche difetto: ampiamente giustificabile con l’età, ma sul quale sarebbe stato opportuno lavorare il prima possibile per evitare che alcuni problemi potessero diventare cronici.
La velocità di braccio sul dritto è sempre stato il principale cruccio di Zverev. Il lavoro su questo fondamentale è stato enorme e – anche se continua a tendere ad arretrare e accorciare di più con il dritto piuttosto che con il rovescio – ora riesce con più continuità a fare due passetti in avanzamento per attaccare la palla con il dritto quando necessario, velocizzando di più con l’avambraccio per creare un colpo offensivo o, se possibile, definitivo.
Questo ci porta a uno degli argomenti più dibattuti su Zverev, quello della sua posizione in campo. Qui sopra si vedeva come avesse vinto il punto non appena avesse deciso di entrare in campo per colpire aggressivo in anticipo, in netta controtendenza con quella posizione arretrata che molti gli rimproverano. In questo senso vanno fatte alcune precisazioni: è vero che Zverev in passato si “sedeva” su un atteggiamento fin troppo attendista in certi casi, ma questa è una risposta sia alla sua velocità di braccio non eccezionale sul dritto – che lo penalizza soprattutto sulle palle basse, dove tuttora non riesce a dare velocità e rotazione allo stesso momento, e spesso si limita ad appoggiare – sia alla tecnica del suo rovescio, dove in fase di preparazione non porta subito la racchetta dietro il corpo ma inizialmente in alto, per poi scendere sotto la palla e colpire, perdendo qualche istante in più rispetto ad esempio a Djokovic che invece porta la racchetta subito dietro nella posizione della “pausa”.
Per completare ed esplodere a pieno entrambi i fondamentali Zverev ha quindi bisogno di qualche frame in più, non è una sorpresa che abbia ottenuto sulla terra battuta il suo primo grande titolo in carriera. Pur partendo non vicinissimo dalla riga di fondo in ribattuta, Zverev aveva velocità medie altissime in risposta al servizio di Djokovic. Quella frazione di secondo in più che gli permette di preparare il colpo gli consente successivamente di giocare in pressione come vorrebbe.
Nel frattempo Zverev ha anche migliorato molto il servizio, riuscendo a distendersi sempre più in alto – dopo che qualche anno fa sembrava più “incassato” con la schiena – e ad esplodere di più in avanti col piede sinistro in atterraggio. Il tutto si unisce a una condizione atletica molto migliorata con il preparatore Jez Green, ex di Murray, bravo a non sovraccaricarlo di massa muscolare per non compromettere l’agilità necessaria per un ragazzo di 1 metro e 98 centimetri.
Ma soprattutto Zverev conserva da sempre una cieca sicurezza sul rovescio in diagonale. Lo scorso lunedì l’ho visto in allenamento dal vivo e con un semplice “cesto” di Green ha provato tutti i colpi (dritto da destra, dritto da sinistra e rovescio) in tutte le direzioni (diagonale e lungolinea) escluso proprio il rovescio diagonale, talmente sicuro che non ci ha perso tempo preferendo scaldare più a fondo il rovescio lungolinea. In questo modo non temeva per nulla lo scambio sulla diagonale sinistra nella finale contro Djokovic, per anni padrone di quella direttrice di campo perfino contro il dritto mancino di Nadal.
Zverev è talmente sicuro con il suo rovescio incrociato che lo usa per ribaltare uno scambio in cui sembrava alle corde. Con quel colpo è fenomenale anche in corsa o fuori equilibrio, data la sensibilità nelle braccia.
Le nuove prospettive
Alexander Zverev quindi non è diventato un giocatore nuovo, come ha invece fatto ad esempio Hyeon Chung – del quale è coetaneo – che ha cambiato del tutto esecuzione del servizio per diventare grande. O come ha invece dovuto fare Juan Martin Del Potro per sopravvivere ai dolori al polso sinistro, anche se il suo rovescio sta molto lentamente riavvicinandosi alla normalità originaria.
Zverev ha migliorato tante piccole cose dal punto di vista tecnico, ma soprattutto ha mostrato un’attitudine completamente diversa in campo. Gli scorsi anni era solito innervosirsi molto facilmente ma stava già migliorando da questo punto di vista rispetto ai match disputati nel pieno dell’adolescenza. A Roma ha mostrato un temperamento saldo, mai scalfito dalla tensione nonostante il nome pesante del suo avversario nella sua prima finale in un Master 1000, né ha mostrato segni di inquietudine quando non è riuscito a chiudere in due set un match sostanzialmente dominato in semifinale contro John Isner. Forse i titoli conquistati a San Pietroburgo a fine 2016 e a Montpellier e Monaco di Baviera nel 2017 gli hanno dato maggiore consapevolezza.
Zverev è considerato un po’ il portacolori del tennis futuro e allo stato attuale divide il carro delle speranze del tennis in divenire con Dominic Thiem e Nick Kyrgios. Ma essendo più vicino di età con l’australiano, e avendo temperamento e caratteristiche tecniche completamente differenti, una gran parte del pubblico sogna che siano proprio Zverev e Kyrgios gli alfieri di una nuova rivalità della storia del tennis. Una dicotomia che sarebbe destinata a spaccare in due l’opinione pubblica tra chi sostiene che Kyrgios abbia più potenziale e chi, invece, tesserebbe le lodi di Zverev per una maggiore abnegazione nonostante – forse! – una quantità di talento di poco inferiore.
Il rispetto c’è.
Di certo Zverev riconcilia anche quella parte di pubblico che stava rinnegando la “Next Gen”, derubricandola a semplice operazione di marketing, per via di un impietoso confronto con la precocità dei giocatori del passato. Il tennis però negli anni è enormemente cambiato: per arrivare ad altissimi livelli ora c’è bisogno di una preparazione fisica accurata che prima di almeno 22-23 anni è quasi impossibile avere. Di contro, le tecniche di recupero fisico sono migliorate e i corpi degli atleti si conservano molto più a lungo.
Il risultato è che l’età media dei tennisti di successo si è alzata vertiginosamente: se un atleta riesce a mantenere fino a 30-32 anni un ottimo livello fisico, ovviamente negli anni subentrano variabili come esperienza e miglioramenti tecnici che consentono al tennista di essere molto più competitivo a 28 anni piuttosto che a 21. L’ultimo teenager a vincere uno Slam è stato Nadal al Roland Garros 2005, ma si è trattata di un’eccezione creata dalla straordinaria superiorità di Nadal su una superficie come la terra. Negli anni successivi abbiamo visto però come il maiorchino abbia dovuto lavorare sul suo tennis per arrivare ai massimi livelli di competitività anche sulle altre superfici.
La stella di Alexander Zverev è nata a Roma, mette d’accordo tutti e rappresenta forse il primo vero episodio di ricambio generazionale al vertice dopo i “Fab Four”, atteso ormai da troppi anni. Tuttavia il passo da qui a considerarlo favorito anche negli Slam potrebbe essere ancora lungo ed è importante che il giovane tedesco continui a lavorare senza sosta sui tanti piccoli dettagli che lo renderebbero grande.