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Calcio Dario Ronzulli 26 aprile 2017 6'

La lunga rincorsa del Foggia

Dopo 19 anni i “Satanelli” sono tornati in Serie B. Racconto di una stagione trionfale e inaspettata.

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Serviva un punto al Foggia per festeggiare l’aritmetica promozione in Serie B, e quel punto è arrivato domenica, con il 2-2 a Fondi. Una promozione attesa da 19 anni: l’ultima stagione del club rossonero in cadetteria è quella 1997/98. Un sogno continuamente frustrato e che a un certo punto sembrava irrealizzabile, materializzatosi poi nell’annata iniziata in uno dei modi più caotici possibili.

 

Delirio totale.

 

 

Da De Zerbi a Stroppa

 

Lo scorso anno il Foggia di Roberto De Zerbi aveva proposto un calcio a dir poco rivoluzionario per la LegaPro. Un gioco di posizione così raffinato e moderno raramente si era visto con quella continuità in terza serie. La squadra, così poco incline ai compromessi, si era arenata a due passi dall’obiettivo, nella finale playoff contro il Pisa di Gattuso più lucido e concreto.

 

Le sirene che suonavano dalle categorie superiori per De Zerbi – come quelle del Crotone neopromosso in A – hanno suonato a lungo prima che arrivasse la conferma da società e allenatore che il rapporto sarebbe continuato. Il mercato, il ritiro, le prime amichevoli, le prime partite ufficiali (in Coppa Italia, con onorevole eliminazione per mano del Verona al secondo turno). Poi il 14 agosto, a due settimane dall’inizio del campionato, la notizia a quel punto inaspettata: il Foggia esonera Roberto De Zerbi. Il presidente del Foggia Sannella parla di “divergenze insormontabili”, mentre De Zerbi scrive di rapporti incrinati con il direttore sportivo Di Bari. Sulla panchina del Foggia arriva Giovanni Stroppa, che condivide con il tecnico bresciano un passato da giocatore con i “Satanelli”, ricordato per i gol spettacolari da calcio d’angolo e ospitate di lusso.

 

Uno Stroppa di poche parole e molte frustrate autoinflitte.

 

Peraltro Stroppa deve aspettare 24 ore perché la società fa un ultimo tentativo per ricucire lo strappo con De Zerbi. Non ci sono però margini e Stroppa può iniziare a lavorare.

 

Il vantaggio del nuovo tecnico è che conosce bene l’ambiente, il campionato e i giocatori. Stroppa non stravolge il lavoro di De Zerbi ma riparte da questo: aspetta a metterci del suo anche perché vuole entrare prima in sintonia con il gruppo, capire cosa può chiedere e cosa può avere.

 

Nonostante il cambio di allenatore, le difficoltà sul mercato – l’attaccante che mancava arriva il 2 settembre, a mercato chiuso, ed è lo svincolato 33enne Fabio Mazzeo – e le quattro gare interne a porte chiuse per gli incidenti nella finale playoff con il Pisa, il Foggia di Stroppa parte fortissimo. Sei vittorie di fila e un gioco meno brillante ma più “rilassato” sul piano tattico, oltre che più solido in fase difensiva rispetto all’anno precedente. Poi un primo momento di black out che culmina con la pesante sconfitta 4-1 in casa della Juve Stabia. È il primo segnale che qualcosa va rivisto, specie in attacco dove Letizia e Padovan non incidono.

 

Il secondo momento di difficoltà arriva ai primi di dicembre: il Foggia pareggia con la Casertana e a Reggio Calabria, poi con il Fondi in casa crolla da 2-0 a 2-3. È il momento più difficile della stagione, quello in cui la panchina di Stroppa sembra a fortissimo rischio. La società però fa muro, difende il tecnico, lo conferma e a Melfi arriva la vittoria della svolta, la cui importanza è sottolineata dal modo in cui Stroppa chiude la zona mista

 

Da quel momento il campionato del Foggia diventa una marcia furiosa. I “Satanelli” infilano 16 vittorie – di cui 10 consecutive, record societario -, 2 pareggi e una sola sconfitta a Taranto. Merito anche del mercato di gennaio, che ha portato giocatori come Deli e Di Piazza: il primo è la mezzala perfetta per inserirsi negli spazi che il centravanti Mazzeo crea con i suoi spostamenti sulla trequarti – guardare il gol al Messina -; il secondo è la punta esterna che attacca lo spazio in velocità con un bagaglio da prima punta e lascia la corsia sinistra libera ad uno dei migliori della stagione, l’ex Torino e Bologna Matteo Rubin. Le gerarchie di formazione si fanno più nitide e dalla panchina giocatori come Alberto Gerbo, jolly preziosissimo, e Vincenzo Sarno, ex enfant prodige del calcio italiano e quest’anno tormentato dagli infortuni, permettono a Stroppa il cambio di ritmo a partita in corso.

 

Il Foggia stacca prima la Juve Stabia, poi il Matera, infine il Lecce in uno scontro diretto dominato in lungo e in largo e che lancia la fuga rivelatasi poi decisiva.

 

Coletti, difensore centrale, segna in modo non banale il gol del 2-0.

 

 

La ricerca dell’equilibrio

 

Stroppa è cresciuto calcisticamente nel Foggia di Zeman, che cita spesso come uno dei suoi riferimenti tattici. Ma il suo 4-3-3 ricorda quello del “boemo” solo per una vaga ispirazione al gioco verticale. Stroppa ha invece costruito una squadra scrupolosa nel mantenere i suoi equilibri: la linea difensiva gioca con un baricentro abbastanza alto e mai passivo, ma sta attenta a non scoprire troppo campo alle spalle dei due difensori centrali, Martinelli e Coletti, non proprio velocissimi. Rispetto allo scorso anno, una volta perso il pallone la priorità non è più la sua immediata riconquista in zone alte e pericolose del campo, la squadra ricerca subito le distanze per organizzare una difesa posizionale.

 

Significativo in questo senso l’ingresso nell’undici di Loiacono come terzino destro, obbligatorio dopo l’infortunio dell’ex Lecce, Siena e Parma Angelo, molto più offensivo. Loiacono ha dato un nuovo equilibrio e liberato offensivamente altre caselle: Rubin, il terzino sinistro, poteva proporsi in attacco con continuità mentre l’ala destra, Chiricò o Sarno, giocava senza particolari responsabilità difensive. Inoltre il centrale di centrocampo, il più delle volte Vacca, non aveva più l’obbligo di arretrare in una bozza di salida lavolpiana e poteva avanzare il proprio raggio d’azione. Ne viene fuori una sorta di 3-1-4-2 (o meglio 3-1-2-4) capace di creare pericoli sia in ampiezza che in profondità, con grande qualità soprattutto in mezzo al campo e con la possibilità e capacità di portare in area di rigore più uomini in modo pericoloso.

 

 

 

L’azione del secondo gol al Cosenza. Chiricò cambia fronte del gioco chiamando la salita di Empereur, subito coperto dal movimento opposto di Vacca. Tra le varie opzioni che il difensore brasiliano può sfruttare, sceglie la palla in verticale per Sarno: la difesa del Cosenza sta difendendo in ampiezza e allora per il numero 10 si apre un varco da sfruttare.

 

 

 

Nel secondo gol al Siracusa è ancora Chiricò che fa girare il pallone sul lato debole. I siciliani difendono compatti al centro e allora si cerca la penetrazione di Rubin dal lato sinistro. La difesa è in superiorità numerica ma è posizionata male rispetto al pallone: prima Mazzeo prende il tempo al proprio marcatore, poi Agnelli è il più veloce sulla ribattuta.

 

 

 

Questo gol contro il Lecce – segnato in uno scontro diretto fondamentale – è un’azione esemplificativa del doppio ruolo di sponda e di finalizzatore che ha assunto Fabio Mazzeo. Ma allo stesso tempo mostra bene la capacità del Foggia di smagliare le difese avversarie di fronte al dilemma se difendere l’ampiezza o la profondità. Coletti serve in verticale Mazzeo che con il suo movimento ha portato fuori posizione il difensore centrale dei salentini Cosenza. Deli aspetta che il compagno attacchi la profondità per servirlo e chiudere il triangolo. Il passaggio di Deli, marcato da tre avversari, è preciso e disorganizza la difesa avversaria. Mazzeo brucia sullo scatto l’altro difensore centrale Giosa – preoccupato anche della presenza nei paraggi di un altro rossonero, Agazzi, così come il terzino destro Ciancio, deve preoccuparsi sulla sua destra di Di Piazza – salta Perucchini e segna a porta vuota.

 

 

La squadra di una città

 

Il rapporto simbiotico che nasce e si sviluppa tra una squadra di calcio e la città di appartenenza in Italia è molto marcato soprattutto al Sud, dove ci sono meno derby cittadini e la passione calcistica locale si incanala naturalmente verso un unico club, arrivando a sovrapporre i destini della città con quelli della squadra.

 

A Foggia lo stadio Lo Zaccheria è stracolmo da mesi, con punte di 18mila presenze, e l’espressione di pura felicità di un’intera comunità al fischio finale di Fondi è la dimostrazione della simbiosi che lega la squadra alla città. Il contesto erano 19 anni di attesa, di illusioni e di delusioni, di bandiere esposte e poi riposte, di gol fatti e subiti quando ormai tutto sembrava finito.

 

Sarebbe stato narrativamente perfetto se la promozione in B fosse arrivata otto giorni prima, con la vittoria sulla Reggina firmata da Giuseppe Loiacono. Perché lui era in panchina il 19 agosto 2012 in Coppa Italia Serie D a Termoli, per la prima gara ufficiale dopo il fallimento societario tante volte sfiorato in questi 19 anni e alla fine verificatosi. Loiacono e Cristian Agnelli, foggiano doc tornato nella sua città il 28 agosto 2012 e appropriatosi subito della fascia di capitano, sono due simboli del percorso di rinascita partito dal punto più basso della storia del Foggia. È come se ci fosse stato bisogno di toccare il fondo per prendere la rincorsa. Consolidare la cadetteria è ora la priorità per evitare di affrontare altre due decadi di turbolenze calcistiche.

 

 

Tags : foggiapromozioneserie b

Dario Ronzulli è nato a Foggia nel 1982 e da bambino sognava di fare il giornalista sportivo. Ora che è cresciuto lo fa davvero: anni di preziosissima gavetta in radio locali, poi cinque anni a Radio Sportiva e due a Radio Montecarlo Sport. Ora collabora con la redazione basket di Tuttosport e bazzica l'etere bolognese.

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