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Calcio Angelo Ricciardi 2 dicembre 2015 11'

Al ritmo di Jorginho

La ritrovata centralità del centrocampista brasiliano nel Napoli di Sarri.

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La domanda principale che è stata rivolta a Jorginho durante questi mesi riguarda il perché sia così a suo agio all’interno del progetto tattico di Sarri: «Con il nostro allenatore mi trovo benissimo. La mentalità del mister è la stessa mia, a me piace pressare e recuperare palla in avanti». Ripercorrendo la sua storia personale, il concetto di difendersi continuando ad andare avanti ritorna più volte e forse si riesce davvero a comprendere perché gli riesca così bene.

 

Difendere in avanti

La storia di Jorge Luiz Frello Filho parte da Imbituba, nello stato più freddo del Brasile, Santa Catarina. Siamo nel profondo sud del sud del Brasile, dove la terra carioca si unisce con quella dell’Argentina e dell’Uruguay, dove le ombre si fanno più lunghe. Le pendenze della vita da quelle parti raramente sono benevole e in un modo o nell’altro ti ritrovi a giocare con la tua esistenza, basta una mossa sbagliata o semplicemente avventata per farti perdere la giusta rotta. Come nell’Adugo—gioco strategico da tavolo brasiliano con pedine—dove a un certo punto della partita ti ritrovi chiuso in angolo, ormai alle strette, senza possibilità di vincere.

 

I genitori divorziano: la madre lavora molte ore come donna delle pulizie; il padre, già un po’ assente nell’infanzia di Jorginho, cambia città. Torna spesso, però, a Imbituba, e per un unico motivo: vedere il figlio giocare nella scuola calcio locale. «Se ne parlo mi viene un nodo alla gola», confessa Jorginho.

 

La sua prima scuola calcio è un trampolino importante: a 13 anni viene inserito in un progetto di conquistadores calcistici italiani, agenti e procuratori dediti alla ricerca di talenti in Sud America. Si sposta così a Guabiruba, 180 km di distanza dalla sua città natale, e la vita comunitaria con gli altri 50 ragazzi del progetto è dura: mangia la stessa cosa per tre volte al giorno, non c’è energia elettrica, troppe docce fredde e troppo fredde.

 

Rimane a Guabiruba fino a 15 anni: grazie a quel progetto vola verso l’Italia ed entra nel giro del settore giovanile dell’Hellas Verona. Il compenso è di 20 euro a settimana, quanto basta per qualche ricarica telefonica per sentire il portoghese delle persone care. Tra lo sbarco in Italia (2007) e l’esordio in Serie B con il Verona (4 settembre 2011) passano quasi quattro anni: un anno e mezzo nelle giovanili gialloblù, un prestito al Sassuolo per giocare il Torneo di Viareggio, un altro prestito alla Sambonifacese nella vecchia C2, e infine inizia ad allenarsi con la prima squadra dell’Hellas.

 

Proprio in mezzo alle sedute di lavoro con Mandorlini conosce una delle persone più importanti della sua carriera calcistica: il portiere Rafael. Nel connazionale trova un amico sincero, un punto di riferimento stabile, forse percepisce addirittura quelle sfumature paterne ormai troppo lontane e limitate alla sua infanzia brasiliana: «Mi ha dato una mano fin dall’inizio. (…) Mi ha sempre dato tanti consigli, mi diceva quello che dovevo fare e quello che, secondo lui, non dovevo fare», dirà poi Jorginho.

 

Via Duomo (Napoli) come la spiaggia di Imbituba. I bambini con i quali scambia un paio di passaggi gli chiedono il portafoglio (sineddoche napoletana per indicare il documento di identità) per essere certi che sia Jorginho in persona, a lui bastano due palleggi per togliere ogni dubbio.

 

Delicatezza femminile

Jorginho trascorre la maggior parte della sua infanzia sulle spiagge di Imbituba, ma non è solo. A fargli compagnia c’è spesso la madre: Maria Teresa Freitas, calciatrice e trequartista di ruolo: «Mia madre giocava a pallone e così ho imparato molto da lei. Oggi lei gioca solo per divertirsi, ma di calcio ne capisce. Mi ha portato tante volte in spiaggia, giocavo l’intero pomeriggio e facevo pure del lavoro tecnico sulla sabbia. All’età di quattro anni sono andato in una scuola di calcio portando con me la mentalità imparata da mia madre, cosciente delle difficoltà e dei problemi che avrei avuto. Ma grazie a Dio li ho affrontati».

 

A distanza di anni, l’eco degli insegnamenti della madre riaffiora nel gioco di Jorginho. C’è una delicatezza spiccata nel modo in cui controlla la palla, nelle traiettorie che è capace di imprimere al pallone. C’è cura, calma, tranquillità nel suo gioco. Quando effettua un passaggio rasoterra il pallone sembra sfiorare la superficie dell’erba come un hoverboard, nessun rimbalzo irregolare, nessuna rotazione involontaria.

 

Nel suo stile di gioco è molto sviluppato l’uso della parte interna del piede (soprattutto del piede forte), davvero sensibile. Jorginho reinterpreta i fondamentali usando il piatto: oltre al passaggio (sia orizzontale che verticale) il piatto è l’opzione più istintiva—quasi l’unica—anche per il tiro verso la porta avversaria.

 

Segnare di piatto da fuori area. Fatto.

 

Jorginho per essere efficace non ha bisogno di esagerare o di strafare, non deve dannarsi per dare forme sofisticate al suo modo di giocare, perché nella natura stessa del suo talento c’è lo studio della semplicità. Il rapporto che ha con la ricerca del compagno libero è straordinario: Jorginho vede la linea di passaggio come un enigma e per risolverlo usa la strategia più lineare. È una sfida intellettuale: trovare sempre la soluzione più semplice per risolvere un problema. Guglielmo di Occam diceva: «A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire». E ancora: «È inutile fare con più ciò che si può fare con meno». Jorginho, con il suo modo di giocare, sostiene gli stessi principi e dice le stesse cose: controlla il pallone, sistema il corpo e apre il piatto. Il colpo di piatto di Jorginho come il Rasoio di Occam.

 

E non va sottovalutata la sua precisione assoluta, una questione di mentalità oltre che di tecnica, che si riflette nella sua tendenza a usare il congiuntivo, quando necessario, nelle interviste.

 

Meta-geometrie di centrocampo

I temi principali che Jorginho sottolinea più volte quando parla del suo ruolo sono la possibilità di avere due mezzali ai lati e la voglia—più un puro piacere, in realtà—di giocare il pallone, toccarlo spesso durante la partita, ma per tempi brevi. Teoricamente avrebbe tutte le caratteristiche per avere un buon impatto anche da mezzala (ruolo ricoperto anche a Verona) o in un centrocampo a 2, però in questo modo verrebbe trascurata una sfumatura essenziale del suo modo di giocare.

 

 

Jorginho ha bisogno di “fidarsi” dei suo compagni per rendere al meglio, deve conoscerli profondamente. E per un gioco basato sulla totale fiducia nei confronti dei compagni è necessario essere posizionati al centro, poter osservare da una posizione privilegiata lo sviluppo dell’azione. In un’intervista ha ammesso di essere uno studioso del gioco, di guardare durante gli allenamenti con attenzione i movimenti dei compagni. Questa inclinazione, unita al ruolo preferito ritrovato, è una spiegazione forse semplicistica del perché solo quest’anno si stia proponendo a livelli così alti, ma sicuramente non è lontana dalla realtà.

 

Se dovessimo associare, per Jorginho, un aggettivo all’abusato termine “geometrie” non ci sarebbero dubbi: “non euclidee” è quello giusto. La sua dimensione spazio-temporale è distorta, si basa sulla divisione in due tempi, due battiti, due tocchi. Un codice binario applicato al calcio attraverso il quale può programmare situazioni complesse, ma sempre conservando i canoni di precisione e semplicità. Al massimo si concede un terzo tocco, un prolungamento del primo controllo, una variazione funky. Un tocco forse sporco rispetto alla pulizia tecnica che lo contraddistingue, ma allo stesso tempo autentico, cioè originale e libero da inibizioni. È dai tempi di Thiago Motta che non ammiravamo in Italia un gioco a due tocchi di questo livello.

 

Riguardo alla centralità di Jorginho all’interno del Napoli è molto indicativo riportare alcuni dati che descrivono la sua importanza oltre che l’attitudine a giocare spesso il pallone. In questa stagione Jorginho è il calciatore della Serie A che ha effettuato più passaggi totali (1192) risultando il primo nella classifica con il dato sia proiettato sui 90 minuti (108,91) che frazionato per partita (91,69).

 

Nella partita giocata contro la sua ex squadra, il Verona, Jorginho ha toccato 210 volte il pallone, record nelle ultime 10 stagioni tra i maggiori cinque campionati europei, e ha completato 180 passaggi (negli ultimi anni solo Xabi Alonso ha fatto meglio, 183 passaggi completati nella scorsa stagione).

 

Jorginho passaggi

Verona – Napoli: la mappa dei passaggi di Jorginho (da Squawka).

 

La precisione media stagionale è altissima (91%), tenendo presente l’ovvia considerazione che all’aumentare del numero passaggi aumenta la possibilità di sbagliare. È però il confronto con i giocatori dei 5 grandi campionati europei a elevare l’interpretazione del dato a un livello di lettura superiore. Jorginho è primo nei passaggi totali effettuati, terzo dietro Verratti e Xabi Alonso nei passaggi effettuati per partita e terzo alle spalle dei centrocampisti del PSG, Verratti e Thiago Motta, nei passaggi effettuati proiettando il dato sui 90 minuti.

 

I passaggi chiave totali sono 24 (2,19 ogni 90 minuti giocati). Gli assist sono pochi (1 in totale), se teniamo in considerazione la sua qualità nel passaggio e nella verticalizzazione, però l’interpretazione è sensibile al suo stile di gioco, sicuramente più improntato verso l’hockey pass o third pass o comunque a un passaggio finalizzato a creare “situazioni pericolose” e non genericamente occasioni da gol.

 

Scandire il tempo

Spesso sentiamo associare il calcio brasiliano al samba. Jorginho potrebbe essere uno degli esponenti della bossa nova, che parte dal samba, ma si sviluppa ispirata dagli ambienti minimalisti della musica europea e statunitense degli anni ’50. La maturazione calcistica avvenuta in Italia ha modellato i suoi istinti brasiliani, privilegiando l’esternazione del ritmo verso i compagni piuttosto che un’interiorizzazione intima tipicamente brasiliana. Jorginho, con i due tocchi, con la delicatezza delle linee disegnate con il pallone, con i tempi del pressing offensivo, riesce a mettere in ritmo i propri compagni.

 

Jorginho è un giocatore particolarmente dinamico, si propone nello spazio breve senza palla con continuità. Lo smarcamento è un aspetto essenziale del suo gioco, uno strumento nelle mani della squadra sia per consolidare il possesso palla che per alleggerire il pressing avversario. Per uno smarcamento mirato a un successivo gioco veloce a due tocchi è fondamentale posizionarsi bene con il corpo. La qualità di Jorginho della preparazione e dell’orientamento del corpo, durante lo smarcamento e successivamente la ricezione, è eccellente. Questo orientamento preventivo gli permette anche di nascondere i limiti nell’uso e nella qualità dei tocchi con il piede debole.

 

Non si tratta soltanto di tempi e spazi di smarcamento (comunque ottimi), ma di controllare il baricentro del corpo, di sincronizzare fisico e mente per effettuare lo stop e il successivo passaggio nel minor tempo possibile e con più precisione possibile. Jorginho ha le caratteristiche e l’inclinazione per rendere fluido il possesso palla e risulta una qualità fondamentale per uscire dal pressing avversario, per aprire gli spazi e per velocizzare la manovra. Senza dimenticare che consente ai compagni, destinatari del passaggio, di ricevere palloni “puliti”, quindi più facili da controllare e da rigiocare, e con anticipo sugli avversari, secondi in più che possono fare la differenza.

 

 

All’interno del sistema di Sarri, Jorginho sembra muoversi nella sua comfort zone. Gli scambi rapidi, i continui smarcamenti, l’attacco costante alla zona libera, la ricerca della punta centrale che si abbassa tra le linee sono il groove perfetto per lui. È molto interessante il filo diretto tra le giocate in zona offensiva di Jorginho e i movimenti di Higuaín, ad esempio.

 

 

Jorginho vs. Valdifiori

Scegliere tra Jorginho e Valdifiori è stata una delle prime questioni da affrontare per Sarri. La conoscenza e la stima nei confronti di Valdifiori, frutto di anni di lavoro insieme, è passata relativamente in secondo piano non appena Sarri ha scoperto in prima persona le qualità di Jorginho. A tal punto che già durante la pre-stagione non aveva le idee chiare su chi fosse il titolare. «Se domani avessi una partita importante non saprei chi scegliere tra Jorginho e Valdifiori» diceva a luglio.

 

Per capire l’importanza di Jorginho ci ha messo poco, ha inquadrato perfettamente il suo potenziale. Se l’Empoli aveva bisogno di una miccia per far partire le folate offensive improvvise, il Napoli ha bisogno di sfiancare l’avversario, far girare il pallone per colpirlo nelle zone in cui inevitabilmente si scopre mostrando debolezza.

 

Valdifiori nell’Empoli sfruttava la qualità del suo lancio per concretizzare i movimenti codificati delle due punte del 4-3-1-2: particolarmente vantaggiosa era la sua abilità a staccarsi dalla posizione centrale per stringere sul lato palla e lanciare di prima, dalla zona laterale, nello spazio costruito dal movimento di uno dei due attaccanti che andava incontro e attaccato dall’altro attaccante con un taglio profondo diagonale.

 

 

A Napoli Sarri ha adattato la sua idea di manovra offensiva principalmente verticale basandola sulla ricezione tra le linee di attaccanti e mezzali, situazione che necessita di un regista capace di aprire gli spazi alle spalle dei centrocampisti avversari accorciando e velocizzando la circolazione del pallone. Jorginho riesce a innalzare esponenzialmente il livello qualitativo degli scambi con i due difensori centrali e con i terzini, facilitando la costruzione di spazi in zone pericolose attaccabili senza palla dai compagni.

 

Rispetto a quella di Valdifiori, la distribuzione dei passaggi di Jorginho è più ampia e varia. Con la stessa efficacia può giocare corto o lungo, verticale o orizzontale. Oltre alla reale possibilità di bilanciare e alternare le soluzioni, dimostra una profonda intelligenza nelle letture. Per questa ragiona è un calciatore particolarmente adatto a plasmare il proprio gioco in base al tipo di difesa che fanno gli avversari e al momento della partita. «È un giocatore diverso, che per noi può cambiare l’atteggiamento in ogni partita» disse di lui Benítez subito dopo il suo acquisto.

 

La prima parte di stagione di Jorginho.

 

La manovra offensiva del Napoli ha già un regista offensivo (Higuaín), ha già un sorprendente giocatore associativo (Hamsík), ha già un punto di riferimento laterale che taglia verso il centro alle spalle dei centrocampisti oppure pronto alla ricezione statica (Insigne): in questo contesto Jorginho è praticamente perfetto.

 

Non è da sottovalutare nemmeno quell’attitudine naturale dell’italo-brasiliano a difendere in avanti, guidando la seconda linea di pressing. Jorginho dimostra maggiore abilità, rispetto a Valdifiori, nel correre in verticale in fase di recupero palla per alzare la linea di pressione e nell’oscurare le linee di passaggio degli avversari. Se da un lato le caratteristiche fisiche di Jorginho lo rendono un difensore fragile e attaccabile negli spazi larghi, dall’altro è sorprendente notare che con le distanze sempre cortissime del pressing del Napoli Jorginho è un difensore di sistema molto efficace. Negli spazi stretti, quando si trova a contatto con l’avversario, sembra controllare il pallone anche quando è tra le gambe dell’avversario. In queste condizioni nemmeno quando è costretto a scivolare sull’esterno sembra patire particolari difficoltà. Si ritorna al discorso della fiducia verso i compagni, necessaria e reciproca.

 

Possiamo definire anche quantitativamente il suo impatto difensivo: Jorginho ha totalizzato 31 palloni intercettati (2,38 a partita) e 23 tackle vinti (2,1 ogni 90 minuti), valori che confermano un’attitudine difensiva a tratti sorprendente, per le caratteristiche fisiche.

 

Futuro azzurro?

L’azzurro è il colore del destino per Jorginho. L’azzurro dell’oceano Atlantico, l’azzurro del Napoli e magari quello della Nazionale. “Rovinare” questo disegno con i colori di una squadra inglese (Arsenal?) o quelli verdeoro sarebbe un peccato, ragionando egoisticamente. Sarebbe bello vederlo duettare con Verratti, magari nel prossimo Europeo. Certo, dovrebbe convincere Antonio Conte e dimostrargli di valere un posto nella nostra Nazionale. Sarebbe molto interessante testare una sua possibile collocazione nel 3-5-2 e nel 4-3-3 usati da Conte nella fase di qualificazione al prossimo Europeo.

 

La sua posizione coinciderebbe con il vertice alto del rombo di costruzione (con i tre difensori) nel 3-5-2 e con il vertice basso nel centrocampo del 4-3-3. In un progetto tattico in cui, citando Fabio Barcellona nell’articolo di analisi del gioco della Nazionale, «la caratteristica principale della fase di possesso palla è il gioco a uno-due tocchi» e «la circolazione di palla è propedeutica alla creazione di spazi e invita gli avversari alla pressione per “aprire il campo” alla manovra offensiva», Jorginho si troverebbe perfettamente a suo agio. Se il calcio di Conte «si può immaginare come un calcio a due velocità: paziente in fase di preparazione, ipercinetico dopo l’innesco offensivo» il giocatore del Napoli potrebbe essere l’interprete perfetto per sia per definire le due fasi cinetiche che per gestire il cambio di velocità.

 

Mantenere il livello altissimo delle prestazioni di questa stagione obbligherà Conte a coinvolgerlo nelle discussioni sui convocati, la fase declinante della carriera di Pirlo potrebbe agevolare il suo inserimento tra gli azzurri considerando la carenza di profili tecnici simili. Solo con il tempo sapremo se l’intrigante possibilità di vederlo in Nazionale si concretizzerà.

 
 

Tags : antonio contehellas veronajorginhomaurizio sarrinapoliregisti

Angelo Ricciardi è nato nel 1992, studia per diventare ingegnere e nel tempo libero scrive di calcio su Fuori dagli Schemi.

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