Dopo un’interminabile sequela di conferme e smentite, Georges St-Pierre tornerà sull’ottagono della UFC, rispondendo alle attese di tutti quelli che avevano considerato prematura la sua abdicazione.
Dunque, da dove cominciare per chi non lo conoscesse per niente? Georges St-Pierre è l’ex campione UFC dei Welterweight, imbattuto da quando ha preso la cintura nell’aprile del 2008, difendendola 9 volte, con un record da professionista di 25 vittorie e solo 2 sconfitte. Forse Greatest Of All Time nelle MMA, ma indiscutibilmente nella ristretta cerchia di atleti che possono tranquillamente evocare un titolo che nessuno assegna se non i fan di uno sport tutto sommato giovane, ma con una storia già ricca di grandi personaggi.
Ha lasciato il titolo vacante nel novembre del 2013: l’ultima immagine che abbiamo di lui nell’ottagono è quella drammatica successiva all’incontro con Johny Hendricks: quando col volto tumefatto e lo sguardo perso nel vuoto, farneticando, St-Pierre ha ammesso di non ricordare buona parte della lotta.
I giorni passano, ad aprile del 2014 GSP è ospite di Joe Rogan (comico e storico commentatore UFC) nel suo podcast e le sue dichiarazioni prendono nuovamente sfumature inquietanti: «Io non posso dire che mi sia successo qualcosa. Non ho prove. Non lo so. Ma ti dico una cosa e sarò onesto a riguardo: a volte guardo l’orologio, ed è come se mi alzassi e guardassi l’ora subito dopo ma l’orologio fosse andato avanti di quattro ore, o di due ore. C’è una fascia di tempo nella quale non ricordo cosa sia successo. O posso guidare la mia auto – ed è già accaduto – guido l’auto in un giorno normale, vado da qualche parte, guardo l’orologio e sono passate 2 ore. È come un incontro ravvicinato del terzo tipo».
Negli ultimi tre incontri, contro Carlos Condit, Nick Diaz e Johny Hendricks, St-Pierre aveva subito più colpi che in tutto il resto della sua carriera UFC. Ma non è l’unico motivo che convinse St-Pierre a voler lasciare l’ottagono: negli ultimi tempi GSP aveva iniziato a sospettare che alcuni fighter stessero aggirando il blando sistema di controllo anti-doping UFC. Soprattutto, GSP stava iniziando a soffrire la pressione eccessiva su di lui, campione leggendario costretto a sfidare lottatori di livello sempre più alto. Negli ultimi anni, insomma, George St. Pierre ha avuto sempre e solo da perdere.
L’arrivo tra i grandi
Georges St. Pierre ha gli occhi celesti e un’espressione zen che mantiene anche nelle situazioni più difficili. Quando arrivò nelle MMA sembrava un turista di buona famiglia che zaino in spalla si è perso nel quartiere sbagliato di una grande città. Con la sua passione per la paleontologia, i musei, i dinosauri, la natura e la storia, il suo sorriso educato, lo sguardo sempre gioioso verso la vita, rappresentava l’esatto opposto dell’archetipo del fighter depresso, cupo e distruttivo. Cioè l’immagine più comune e stereotipata dei fighter di quegli anni.
GSP è diverso da sempre: ai tempi della scuola era pieno di brufoli e aveva pochissimo successo con le ragazze: le ferree leggi del conformismo adolescenziale facevano di lui uno sfigato. Un ruolo che spesso si accompagna all’umiliazione pubblica, alla violenza gratuita, al sovvertimento dei valori.
Una volta diventato un temibile combattente St-Pierre racconterà dell’autentico terrore affrontato in quel periodo della sua vita, quando in classe appena suonata la campana era costretto a prendere i libri e a schizzare fuori da scuola più in fretta possibile, prima che i bulli riuscissero a prenderlo.
Riflettendo un topos classico dei lottatori di MMA, il desiderio di difendersi spingerà GSP verso le arti marziali, prima solo con l’aiuto del padre e poco più tardi in una palestra di Karate. Anni dopo GSP fonderà un’associazione con l’obiettivo di “aiutare i giovani, fermare il bullismo e promuovere l’attività fisica nelle scuole”.
A 15 anni Georges è praticamente inavvicinabile per qualsiasi bullo “normale”. Le arti marziali avevano raggiunto il loro scopo, ma al contempo GSP scoprirà di essere un grande agonista. A 21 anni, nel 2002, il ragazzo di St. Isidore (Canada) esordirà nelle MMA, e in UFC soltanto due anni dopo. È un peso Welter naturale e lo resterà per sempre (fino a quest’ultimo ritorno in scena, di cui parlerò più avanti).
Il suo primo match si tiene a Montreal contro Ivan Menjivar, che si ritira dalla full guard (cosa alquanto insolita: stava prendendo colpi ma aveva già dato dei grattacapi a GSP) al primo round.
Sei mesi dopo affronta nel suo Quebec Justin Bruckmann, e lo sottomette con un armbar dopo averlo atterrato e colpito ripetutamente dalla side position. A ottobre affronta Travis “The Gladiator” Galbraith, lo porta schiena a terra intercettando un one leg, lo controlla e poi dalla posizione laterale lo strapazza con le sue gomitate. Il suo avversario non prenderà bene lo stop e gli si avvicinerà in modo minaccioso, ma Georges sarà conciliante.
Il suo quarto match è contro Thomas Danny, con GSP che lo sovrasta con estrema facilità prima di costringere l’arbitro ad interrompere l’incontro verso la fine del secondo round, a causa di una vistosa ferita all’arcata sopraccigliare del suo avversario.
L’incontro successivo, contro lo statunitense Pete “The secret weapon” Spratt, che veniva da una vittoria contro Robbie Lawler (anche lui futuro campione dei Welter in UFC, l’ultimo prima dell’attuale campione Tyron Woodley), termina con una sottomissione per rear-naked choke alla prima ripresa.
La vittoria gli vale la chiamata in UFC.
L’atleta e il fighter
Alcune delle caratteristiche che diventeranno classiche di GSP sono già evidenti: innanzitutto le sue doti fisiche. St. Pierre dà la sensazione, in controtendenza con l’ambiente che lo circonda, di essere un atleta ben prima di essere un fighter.
Esiste certamente una componente genetica molto importante riguardo alla sua fisicità, ma GSP si allenava con metodi all’avanguardia quando per la stragrande maggioranza dei fighter l’allenamento era sparring, poi sparring, poi ancora sparring.
GSP invece si allena alla Tristar Gym, guidata da Firas Zahabi (che diverrà presto una fucina di talenti), dove limita lo sparring pesante e preferisce allenarsi a corpo libero, lavorare tanto sul footwork, sull’equilibrio e sulla tecnica. Il tutto esaltato da un’etica del lavoro davvero ossessiva.
Anche nello stile di combattimento sono però già presenti elementi molto definiti. Nonostante il background da karateka (sottolineato dall’entrata nell’arena con il kimono e una fascia in testa tradizionale con la bandiera giapponese) predilige le fasi di grappling. GSP riconoscerà quanto la gestione delle distanze ereditata appunto dal Karate sia stato un elemento indispensabile per il suo wrestling con le perfette esecuzioni di one leg e double leg takedown.
Nel match d’esordio in UFC affronta Karo Parisian, più giovane di lui di un anno ma che vanta già 8 vittorie per sottomissione. Lo massacra per tre round con un ground and pound perpetuo che porta Joe Rogan a definirlo “una macchina da cardio”. A un certo punto subisce una Kimura, da cui però esce mostrando un’impressionante forza fisica. Due qualità centrali nella sua identità di fighter.
Nell’incontro successivo affronta e distrugge dopo un minuto e quaranta dall’inizio Jay Hieron (che aveva un record 4-0). Per la prima volta mostra uno striking di altissimo livello, ma soprattutto un uso del jab che diventerà col passare del tempo sempre più importante.
A questo punto è importante fare una digressione. Nel 2004 l’uso del jab era ancora quasi assente nel mondo delle MMA e Georges St-Pierre ne fu il precursore assoluto.
Grazie a un’ottima gestione delle distanze, alla sua esplosività, alla velocità d’esecuzione, favorito anche da un ottimo allungo per la categoria dei Welter, St-Pierre rese il jab un fattore dominante per tutta la sua carriera.