Il mestiere di arbitrare
Quanto guadagna un arbitro? Quanto spesso viene picchiato? Un affresco sulla classe arbitrale italiana.
2015, anno di svolta
Il fenomeno delle aggressioni agli arbitri è tornato a crescere dopo un triennio di relativa calma. Nel 2011, infatti, sembrava che il fenomeno avesse subito un colpo in seguito alla dura denuncia dell’allora direttore generale della FIGC, Antonello Valentini. «In Italia si giocano 570mila partite ufficiali in una stagione effettiva», aveva dichiarato Valentini «Nella passata stagione sono stati 600 gli arbitri aggrediti e malmenati».
Anche Maradona ci è cascato.
Parole che avevano prodotto un effetto tangibile. Il Consiglio Figc, su proposta di Giancarlo Abete, presidente fino alla disfatta azzurra nel mondiale 2014, approvò una serie ulteriore di misure punitive per i campionati giovanili e dilettantistici, sia per le società che per i giocatori. Per la prima volta si parlava di pene e ammende pecuniarie contro i calciatori, cosa non da poco considerato che si tratta di giocatori che non ricevono uno stipendio.
Gli effetti lenitivi però sono durati poco. Già nella stagione 2014-2015 le aggressioni denunciate dagli arbitri erano tornate 600, quasi raddoppiate in dodici mesi rispetto alle 375 della stagione precedente, come testimoniato dal report consegnato al Ministero dell’Interno e predisposto dall’Osservatorio dell’AIA sulla violenza sugli arbitri. Da quella stagione le aggressioni nei confronti degli ufficiali di gara sono tornate ad essere un fenomeno dilagante e in costante aumento.
E anche in serie A la vita da arbitro non è semplice.
I numeri dicono che ogni giorno, in Italia, si disputano in media circa 1600 partite ufficiali con un arbitro federale per un totale che ha superato abbondantemente le 600mila gare a stagione (alle quali vanno aggiunte oltre 140mila amichevoli). Se il dato assoluto rivela che rispetto alla stagione 2013-2014, gli episodi di violenza nei confronti delle componenti arbitrali sono passati da 375 a 600, osservando lo scorporo dei dati sui trenta giorni si osserva che l’anno scorso i mesi più caldi sono stati, in barba al meteo, gennaio e febbraio, con 102 e 111 casi denunciati. Sono questi i mesi decisivi, soprattutto nelle serie inferiori. Infatti sono proprio Prima, Seconda e Terza categoria le serie che creano maggiori problemi di ordine pubblico.
Dei 600 episodi rilevati, 57, quindi quasi il 10%, sono accaduti nei campionati adolescenziali, quelli che per intendersi vanno dal Settore Giovanile e Scolastico a quello dei campionati Giovanissimi e Allievi regionali, passando per Esordienti e Juniores. Parliamo di ragazzi che vanno dai 10 ai 17 anni. La quasi totalità delle violenze (638 su 681) sono state commesse da tesserati, cioè calciatori o dirigenti delle società stesse.
Per questo motivo si è pensato di scrivere un protocollo che finalmente si rivolgesse anche ai campionati giovanili, oltre che a quelli dilettantistici. Un protocollo che obbligasse le società condannate per violenze a versare l’anno successivo una “somma forfettaria a copertura delle spese arbitrali” e che, soprattutto, che contemplasse anche multe nei confronti di giocatori e dirigenti. Un regolamento inoltre che lasciasse libertà di adire le vie legali contro singoli e società in presenza di un referto medico che accertasse la presenza di lesioni.
Quando si parla di arbitri donne il retropensiero è pressappoco questo.
Molto spesso neanche il sesso dei direttori di gara ferma la violenza degli aggressori. In Italia ci sono quasi 2mila arbitri e assistenti donne (soltanto la Germania ne ha di più) e per loro farsi rispettare ed evitare aggressioni è ancora più difficile.
La frustrazione della classe arbitrale, soprattutto nelle serie minori, deriva oltre che dal fatto di sentirsi soli in mezzo al campo, avversario, quando non nemico, soprattutto dal non poter reagire. «In altri contesti è umana la reazione, anche per potersi difendere», ha raccontato nel maggio scorso al quotidiano abruzzese Il Centro, e ripreso dal blog arbitro.com dal capo regionale dei direttori di gara Angelo Martino Giancola, aggredito durante la finale di play-off i Eccellenza «Nel caso degli arbitri no, devono subire e basta».
La squadra del Pineto aveva segnato una rete in fuorigioco come poi mostrato, si dice, dalle immagini televisive. L’episodio aveva fatto infuriare i giocatori marsicani del Paterno, che hanno insultato l’arbitro sulla via degli spogliatoi e aggredito appunto il dirigente regionale. In questo senso, le parole di Giancola non devono essere lette come istigazione alla rissa tra direttori di gara e calciatori (come accade in altri paesi), ma come denuncia di una situazione in cui colui che si presenta in campo da solo si ritrova sotto i riflettori non appena qualcosa va storto: «Se avessi reagito domenica, sarei finito in prima pagina su tutti i giornali: “Capo degli arbitri picchia giocatore”».
Un quadro grottesco ma piuttosto verosimile, figlio del fatto che le botte agli arbitri da parte dei calciatori e dirigenti non fanno poi tanto notizia, semplicemente perché avvengono più spesso del contrario.
La FIGC, dopo le tante lamentele e l’allarme lanciato a più riprese dal presidente dell’AIA Marcello Nicchi, ha deciso di inasprire i provvedimenti nei confronti delle società i cui dirigenti o calciatori si rendessero protagonisti di condotte violente. Il comunicato 104 del 17 dicembre 2014, in vigore dall’inizio del 2015, ad esempio, recita: “A partire dal 1° gennaio 2015, gli addebiti delle spese arbitrali saranno posti a carico delle Società Dilettantistiche o del Settore Giovanile i cui tesserati abbiano tenuto condotte violente nei confronti degli Ufficiali di Gara”.
Alla fine della stagione 2014-2015, quasi 300 società calcistiche si sono trovate a dover pagare delle ammende, pena la non ammissione alla stagione sportiva successiva. Il provvedimento, che ha scatenato una serie di polemiche da parte dei club, già in forte difficoltà per colmare le spese fisse, scatta in caso di episodi puniti dal Giudice sportivo. L’inasprimento ha coinvolto anche i provvedimenti disciplinari: 8 giornate di squalifica per singolo calciatore, 4 mesi di squalifica per singolo calciatore o singolo allenatore della società, 4 mesi di inibizione per il singolo dirigente o membro della società, cumulativamente 6 mesi di squalifica per calciatori e allenatori, cumulativamente 6 mesi di inibizione per dirigenti o altri membri.
Per quanto riguarda le ammende da pagare, vengono calcolate con una moltiplicazione tra costo medio di una gara e numero di partite casalinghe. In questo modo una società di Prima categoria può arrivare a pagare 1.050 euro, una di Eccellenza 3.150 euro, una di Serie D 10.500 euro e così via. In un secondo momento la società può rivalersi sul proprio tesserato violento in sede civile, così da applicare il principio di responsabilizzazione di calciatori e dirigenti portato avanti da AIA e FIGC.
Sono state molte le voci favorevoli dei direttori di gara a questo tentativo di responsabilizzazione dei singoli attraverso il forte inasprimento delle pene pecuniarie, anche perché, dicono ancora gli arbitri, per giocatori a fine carriera la prospettiva di una lunga squalifica non sembra essere una minaccia così pesante.
Quanto guadagna un arbitro?
E c’è da dire inoltre che per la stragrande maggioranza degli arbitri questi rischi non sono nemmeno compensati (sempre che si possa ripagare in denaro rischi di questo tipo) da una remunerazione adeguata.
Le tabelle con i rimborsi sono pubbliche e consultabili sul sito dell’AIA. Un direttore di gara appena formato dal corso base (solitamente di età tra i 16 e i 18 anni), viene spedito di solito nel campionato giovanissimi provinciali.
Tabella e dati tratti dal report dell’osservatorio violenza dell’Aia.
Per queste gare il rimborso minimo riconosciuto è di 30 euro per una trasferta di 25 chilometri. Questa somma comprende tutto, cioè spese legate al viaggio (benzina ed eventuali pedaggi autostradali) e alla persona. Il rimborso sale con l’aumentare del chilometraggio, fino a un massimo di 88 euro per trasferte di 300 chilometri. Ma, viste quantità e densità delle sezioni sul territorio nazionale (sono oltre 200, praticamente il doppio delle province), trasferte che vadano oltre la soglia dei 50 chilometri sembrano abbastanza improbabili. Le cifre restano praticamente invariate anche tra i dilettanti fino all’Eccellenza.
Soltanto con l’ingresso in Lega Pro le cifre aumentano: la diaria raggiunge i 200 euro, vengono aggiunti uno o due pasti per un ticket di 30 euro ognuno e un rimborso automobilistico di 21 centesimi per ogni chilometro percorso. Vale la pena ricordare che per il calcolo del viaggio fa fede l’indirizzo di domicilio dell’arbitro e gli spostamenti suggeriti sono soltanto in auto o treno. A questo punto un arbitro non ha meno di 28 anni e porta con sé anche un bagaglio di aspettative importanti da parte di tutti coloro che lo hanno seguito. «Dall’Eccellenza in poi preparatori e presidenti di comitato si aspettano che ogni arbitro debba diventare un internazionale», sottolinea il mio amico arbitro.
Il discorso ovviamente cambia se passiamo alle categorie superiori. Nonostante ciò, Calciopoli ha fatto da spartiacque tra un pre che vedeva gli arbitri di Serie A retribuiti con un gettone da dieci milioni di lire (divenuti poi col cambio 5.164,57 euro), e un post da 3.400 euro (1.700 per una gara di B). Nell’estate del 2006 le cose sono cambiate nuovamente per volere di Luigi Agnolin, commissario dell’AIA. Oggi gli arbitri guadagnano 3.800 euro per ogni gara di Serie A, oltre a una parte fissa che varia a seconda dell’anzianità, internazionale o meno, e numero di gare.
Per la precisione ogni arbitro promosso nella Commissione di Serie A riceve uno stipendio fisso di 30mila euro, che va ad aumentare di altri 10mila al raggiungimento dell’obiettivo di 25 presenze in una stagione. Coloro che vengono promossi alle gare internazionali maturano invece uno stipendio di 80mila euro. Gli arbitri che hanno fischiato in almeno 70 gare di A percepiscono 70mila euro.
I gettoni di presenza si vanno a sommare alla quota fissa, a cui gli internazionali possono anche aggiungere i gettoni per i match gestiti dall’Uefa, dove il tariffario è ancora più sostanzioso: 4.800 per ogni gara, 5.800 se riguarda la fase finale di una manifestazione.
Insomma un arbitro di Serie A può essere considerata una persona benestante, anche ricca se consideriamo che ai 200mila euro lordi che qualcuno all’apice della carriera raggiunge va sommata anche un’attività da libero professionista. Ma la carriera in ogni caso resta breve. Infatti nessuno dirige nella massima serie per più di un decennio, visto che a 45 anni il fischietto va appeso al chiodo. Una carriera in cui, è il caso di dirlo, uno su mille ce la fa.