Fiorentina, un anno dopo
Sulla punizione con cui Lars Stindl e il Borussia Mönchengladbach di fatto hanno deciso la partita, battuta a ridosso dell’area di rigore sul lato destro del campo, la Fiorentina schierava dieci uomini in linea (di cui due in barriera) che coprivano longitudinalmente tutta l’area di rigore, un paio di metri all’interno della stessa.
Con un po’ di fortuna e un po’ di riflessi pronti, il tiro di Stindl, servito rasoterra al limite dell’area in posizione centrale, avrebbe potuto essere deviato, e invece la sua conclusione ha trovato un corridoio beffardo tra i tre o quattro uomini più vicini, depositandosi nell’angolino basso sul primo palo.
Con un po’ di esperienza e un po’ di solidità mentale in più, però, si poteva cercare di tenere d’occhio la posizione di Stindl anticipando lo schema del ‘Gladbach, quantomeno come forma di rispetto verso i due gol appena segnati dal suo capitano.
Con un po’ di consapevolezza in più, la Fiorentina avrebbe potuto capire che in quel preciso momento l’inerzia della partita stava scivolando fuori dal suo controllo.
La Fiorentina ha improvvisamente dimenticato come si difende tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo: in poco più di quindici minuti ha subìto 6 tiri in porta e 4 gol, nati da altrettanti calci piazzati.
54,6% è il dato di possesso medio nella partita di ieri, che scende però a 41,3% se ci limitiamo a considerare quel drammatico frangente. Non appena la squadra di Sousa ha perso il controllo del pallone, ha perso anche aggressività, compattezza, comunicazione, e ha iniziato ad abbassarsi, fino a portare Kalinic nella propria area di rigore; tanto che alla fine del primo tempo si vedono Christensen e Vestergaard, i difensori centrali del Gladbach, stazionare serenamente a sessanta metri dalla propria porta.
La partita, va detto, cambia con l’infortunio di Hazard e l’ingresso di Drmic, che trascina l’intensità su un piano insostenibile per la Fiorentina, una squadra poco intensa.
Paulo Sousa ha schierato l’undici titolare, praticamente lo stesso che un anno fa era stato schiantato 3-0 a White Hart Lane, con tre eccezioni, due delle quali particolarmente significative per rappresentare la mancata evoluzione del progetto: Carlos Sánchez e Maxi Olivera.
Sánchez e Olivera
Nella posizione di centrale destro di difesa ed esterno sinistro di centrocampo, l’anno scorso agivano Tomovic (che è sembrato inadatto a questi livelli) e Marcos Alonso, nel frattempo passato al Chelsea di Conte. Era lecito aspettarsi che il salto di qualità della Fiorentina partisse proprio dalle posizioni scoperte, per arrivare a strutturare una formazione globalmente competitiva, considerando anche la ricca cessione di Alonso che lasciava sperare in altrettanto ricchi investimenti.
E invece, nel doppio confronto che ha visto la Fiorentina uscire ai sedicesimi di Europa League, non solo Sánchez e Olivera non sono stati tecnicamente all’altezza dell’avversario, ma hanno addirittura palesato imbarazzo nel giocare il 3-4-2-1 di Sousa.
Probabilmente Sánchez non è abituato a concentrarsi sulla fase difensiva con la frequenza che gli è richiede Sousa, e quelli che dovrebbero essere automatismi – come controllare l’uomo e la linea contemporaneamente – a lui non riescono naturali. Nell’occasione del rigore, è evidente come fatichi a capire la posizione che deve coprire: un movimento ampio di Hofmann è sufficiente a mandarlo fuori equilibrio.
Olivera, invece, ha vissuto un impatto più complesso con il calcio europeo, e in fondo è alla prima esperienza fuori dall’Uruguay, ma ha sicuramente deluso sul piano della personalità: è raro vederlo arrivare sul fondo, o tentare la soluzione di passaggio più rischiosa. In più, ha pochissima consapevolezza dei tempi di uscita e dello spazio alle sue spalle. Dalla fascia destra del Gladbach, esattamente come nella gara di andata, sono arrivati i pericoli maggiori, tra cui i due calci d’angolo e la punizione che nel secondo tempo hanno piegato la resistenza della Fiorentina.
Sul 2-2, la Fiorentina va in crisi di identità: attaccare per richiudere la partita o difendere il risultato? Ne esce fuori una squadra spezzata e schizofrenica.
Chiesa
L’ulteriore novità rispetto alla passata stagione è Federico Chiesa, che ha preso a destra il posto di Bernardeschi, ormai stabile sulla trequarti nella posizione che era di Ilicic (lo sloveno è entrato nell’ultima mezz’ora, proprio al posto di Bernardeschi, e ha fatto in tempo a prendere una traversa su punizione).
Chiesa ha giocato una partita solida, in linea con le sue caratteristiche da giocatore poco associativo, con la testa bassa e il pieno di energia nel serbatoio. Non ha i lampi del fuoriclasse, ma è sicuramente più a suo agio di Bernardeschi nell’interpretazione del ruolo di esterno a tutta fascia.
Ha tentato 7 dribbling (primo giocatore in campo, mentre il Gladbach, in tutto, ne ha tentati 10) e gliene sono riusciti 3, ma ha anche subito 3 falli. Ha tirato 4 volte verso la porta (primo della Fiorentina, secondo giocatore in campo) e l’ha centrata una volta sola.
In questo momento, Chiesa è un giocatore di volume, fa talmente tante cose che non è un problema se non le fa benissimo, anzi, in una squadra che impone la superiorità numerica centrale, una risorsa del genere sulle fasce è molto preziosa. Piuttosto, è paradossale che l’unico innesto funzionale al sistema sia stato pescato dalla Primavera.
Fine corsa?
Mancano esattamente tre mesi al termine della stagione regolare, il sesto posto in campionato sembra irraggiungibile, e la speranza di rimediare con una serie di grandi prestazioni in Europa è morta sul nascere.
Per la Fiorentina questo finale di stagione può rivelarsi l’occasione ideale per pianificare il futuro con le idee più chiare e un tempo più che sufficiente a disposizione. Per invitare Enzo Miccio in sede e iniziare a fare una cernita nel grande armadio degli asset societari: cosa buttare, cosa reinventare, cosa riciclare.
Fugaci momenti di bellezza: Bernardeschi è ormai in grado di spezzare una partita con un contrasto vinto a centrocampo, mentre Borja e Kalinic si muovono col pilota automatico
Al di là delle situazioni contrattuali incerte (G. Rodríguez, Ilicic), le priorità sul mercato sono le stesse di un’estate fa, un difensore centrale destro e un esterno sinistro, mentre come dimostra il quinquennale firmato a gennaio, Chiesa rappresenta sicuramente uno dei punti fermi da cui ripartire. Questo, al di là della permanenza (che francamente sembra sempre meno probabile a giudicare dalle motivazioni trasmesse alla squadra) di Paulo Sousa in panchina, e quindi dalla conferma di quel modulo fluido che appena un anno fa stupiva in positivo tutta la Serie A.
Il tempo è passato veloce per la Fiorentina, ma se l’ossatura della squadra dovesse restare anche per la prossima stagione il trio Bernardeschi-Borja Valero-Kalinic – e al momento non c’è motivo per pensare il contrario – probabilmente è proprio il 3-4-2-1 di Sousa il sistema migliore per farli coesistere. In questo senso, la società toscana si potrebbe trovare di fronte al paradosso di sostituire un allenatore cercandone uno che ne condivida le idee oppure si potrebbe pensare a una rivoluzione tecnica (tagliando magari anche qualche testa eccellente, ma quest’anno in calo, come Gonzalo) prima che tattica.
In ogni caso, non è mai stato chiaro come in quei 15’ contro il ‘Gladbach che la Fiorentina ‘16/’17 non è che il fantasma della squadra dello scorso anno. Sconfitte di questo tipo sono dure, ma sanno anche di punto basso da cui non si può che risalire, con le forze e le intuizioni giuste.