Ogni volta che gioca con la maglia della Nazionale, a maggior ragione dopo il problema fisico che lo ha tenuto fuori dagli Europei di Francia, Marco Verratti è al centro del dibattito: è il giocatore di più alto livello che l’Italia abbia a disposizione ed è normale che su di lui ci siano grandi aspettative.
Ma se ne parla molto anche perché, proprio per via degli infortuni che ne hanno rallentato l’inserimento nel gruppo storico formato dai giocatori della generazione precedente alla sua (i vari Bonucci, De Rossi, Marchisio…), Verratti non è riuscito ancora a dare quanto avrebbe potuto, quanto la fantasia dei tifosi immagina possa dare, alla maglia azzurra. Ora, a 24 anni, la sua carriera è a un bivio fondamentale, con la maglia della Nazionale ma non solo, anche per la sua percezione pubblica è destinata a cambiare nei prossimi tempi. Insomma, Verratti non è più un ragazzino, il periodo di apprendistato sembra giunto a termine e – mercato a parte – tifosi e stampa si aspettano un ulteriore salto di livello.
Ad esempio, dopo l’opaca prestazione in amichevole con l’Olanda, in cui ha giocato nell’inusuale ruolo di trequartista (è dai tempi di Pescara, pre-Zeman- che non gioca così avanzato in campo e lui stesso in passato ha espresso perplessità sulle sua adattabilità al ruolo), stampa e opinionisti non hanno perso occasione per attaccarlo. In quasi tutte le pagelle della gara è risultato tra i peggiori e c’è chi, come Roberto Pruzzo, si è spinto a dire che “Verratti non è un fuoriclasse” e che ha “dei limiti fisici”.
La sua posizione nel club è altrettanto delicata: la dolorosa uscita dalla Champions League del Paris Saint-Germain ha tratteggiato un punto interrogativo sul suo futuro, con squadre come Barcellona, Chelsea, Juventus e Inter potenziali interessate a un suo possibile addio a Parigi; ma anche i dubbi sulla sua capacità di influenzare una grande squadre che si sono fatti – necessariamente, come per tutti quelli in campo in quel 6-1 – più grandi.
È arrivato il momento di chiedersi qual è il reale valore di Verratti, se è davvero un giocatore di primo livello o se è invece semplicemente un giocatore strano, con pregi e difetti molto marcati ma tutto sommato inadeguati a un contesto in cui possa essere centrale.
Verratti l’intrattenitore
Va detto subito che stiamo parlando di un giocatore straordinario nella difesa della palla e che, probabilmente, oggi è tra i migliori al mondo nel conservare il possesso. Senza la possibilità di schermare la sfera con il solo fisico, ha dovuto affinare le proprie qualità tecniche e mentali, migliorando il proprio bagaglio di finte e controfinte, oltre che il proprio ingegno, per trovare vie d’uscita a situazioni spesso difficili dal semplice punto di vista spaziale.
In questo possiamo tranquillamente paragonarlo a Sergio Busquets, ma soprattutto a Xavi, che gli è più simile anche per movenze e conformazione fisica. Con la tecnica e l’intelligenza tattica, Verratti ha trasformato le gambe corte in un punto di forza, che sfrutta, insieme a un’innata sensibilità, per muovere il pallone a 360 gradi all’interno del suo raggio d’azione.
Negli ultimi anni il centrocampista del PSG ha incrementato la consapevolezza nel controllo di palla diventando, anche in questo, uno dei migliori al mondo. È una questione di scelte, e di variabilità delle stesse, oltre che di pura tecnica. Osservarlo gestire il pallone a centrocampo rimanda a un’idea di impressionante consapevolezza, riscontrabile ormai in ogni sua giocata.
Verratti riesce al tempo stesso a esercitare controllo sulla partita e a intrattenere lo spettatore, pur giocando in un ruolo che non sempre lascia grandi margini alla fantasia per emergere. In Ligue 1 completa 2,6 dribbling ogni 90 minuti – un dato praticamente da ala – ma va sottolineato come anche la sua efficienza sia elevatissima, considerato che su 52 dribbling totali ne ha falliti appena 7.
Pur giocando con un’evidente gusto per lo spettacolo, l’approccio di Verratti rimane pragmatico: difficilmente cerca una giocata fine a sé stessa, anzi, il “problema”, semmai, che si porta dietro praticamente da quando lo conosciamo, è che a volte si prende rischi in zone del campo in cui sarebbe sconsigliabile.
La sua capacità di controllo del pallone porta sempre, in ogni caso, dei vantaggi posizionali. Verratti attira molto facilmente gli avversari fuori posizione, aprendo degli spazi in cui possono inserirsi i compagni. Pur giocando in posizione da regista, interpreta il ruolo quasi come un rifinitore per l’attitudine a cercare una giocata rilevante anche in prima costruzione. Usa spesso il tacco, e sempre con una sensibilità straordinaria, e aggiusta la posizione del corpo e del pallone fin quando non è riuscito ad aprirsi l’angolo di passaggio desiderato.
Per gli avversari Verratti è uno dei centrocampisti più difficili da approcciare, perché non ha mai un’unica soluzione a sua disposizione ed è realmente imprevedibile nel duello individuale. È complicato persino scegliere la strategia per cercare di limitarlo. Se si scommette su un uomo in marcatura questo rischia di essere battuto, creando di conseguenza scompensi nell’intera struttura; se lo si lascia più libero, però, gli si concede la possibilità di gestire il gioco e sfruttare la sua gittata di passaggio praticamente illimitata.
Verratti il protagonista
A 24 anni, Verratti gioca ai massimi livelli da ormai cinque stagioni e questo ha avuto un impatto determinante sul suo sviluppo come calciatore. Il fatto di indossare la maglia del PSG, lo ha obbligato a imparare a sopportare le pressioni del favorito assoluto, ma lui si è calato nel ruolo con naturalezza, anzi probabilmente è tra i più sicuri di sé in uno degli spogliatoi più competitivi d’Europa.
La sua personalità lo porta a voler sempre essere al centro del gioco, muovendosi molto e con costanza per ricevere palla tra i piedi. Non è raro vederlo spostarsi dalla sua posizione di partenza per andare a coprire un po’ tutto il campo, pur di esercitare la sua influenza nel possesso palla della propria squadra, sia nel PSG che nell’Italia.
La sua influenza resta più determinante nel Paris Saint-Germain, grazie alla superiorità nei confronti dei propri avversari, che gli concede la possibilità di passare intere frazioni di gioco a gestire il possesso palla, senza la necessità di cercare il gol.
Giocando spesso in situazioni in cui le squadre avversarie sono costrette a scomporsi per cercare in ogni modo di recuperare il risultato, Verratti ha potuto allenare la propria resistenza al pressing, ma anche mettere alla prova la propria visione di gioco: è in questo scenario che vengono a galla le sue qualità di passaggio diretto. La precisione del suo lancio lungo, ad esempio, gli consente di mettere spesso i rapidissimi compagni davanti alla porta; e i suoi filtranti, giocati spesso al limite, sono davvero uno spettacolo.
Anche l’influenza dei compagni è stata determinante nel suo percorso di crescita e probabilmente avere avuto a fianco, anche in Nazionale, un centrocampista come Thiago Motta gli ha fornito un punto di riferimento, in campo e fuori. L’italo-brasiliano è uno dei centrocampisti più sottovalutati della sua generazione, e di sicuro ha avuto un certo ascendente su Verratti. Ma è vero anche il contrario: basta guardare la loro intesa sul terreno di gioco per cogliere l’influenza che l’uno ha avuto sull’altro.
Da Motta, Verratti ha imparato a giocare più in funzione del collettivo e a prendere decisioni migliori dal punto di vista strategico, tutto questo senza perdere però la capacità di essere diretto. Già con Laurent Blanc in panchina, era il classe 1992, tra i due, quello che doveva fornire il cambio di ritmo improvviso, o virare dal possesso palla fatto di passaggi corti in cerca di un’alternativa più diretta e verticale. Con Emery questo tipo di giocate sono ulteriormente incoraggiate, e Verratti cerca con maggiore insistenza il passaggio decisivo: finora ha servito 6 assist stagionali e in campionato ha giocato 1,8 passaggi chiave ogni 90 minuti, un record da quando gioca in Ligue 1.
Il numero 6 del PSG (da quest’anno, su richiesta di Camara) ha tutte le qualità per cercare gli esterni con un lancio diagonale sulle corsie, ma quello che è realmente diventato per lui una sorta di “trademark” è il passaggio a scavalcare la difesa avversaria. Verratti ama questo tipo di giocata, specialmente in zona centrale e appena gli avversari lo lasciano senza pressione alza subito la testa in cerca di un compagno che attacchi la profondità.
In questo senso è il compagno ideale sia per Belotti che, soprattutto, per Immobile, ma ha bisogno di giocare più indietro rispetto a quanto avvenuto con l’Olanda, per traslare questi meccanismi anche in Nazionale.