Il calcio di Ibra
Un omaggio a più voci a Zlatan Ibrahimovic, con la speranza di rivederlo in campo presto.
Avere Ibrahimovic
di Cesare Alemanni
Secondo l’indice Recoba/Ronaldo (per cui all’aumento del talento corrisponde un’equivalente diminuzione della capacità di sfruttarlo e/o dell’integrità fisica del soggetto), Ibra è stato forse il fuoriclasse meno “morattiano” dell’era Moratti. A differenza dei suoi predecessori nel ruolo di salvatori della patria nerazzurra, Ibra è stato di un’efficienza e di una continuità spietata. Qualità che c’entravano poco con l’epica minore della prima età morattiana, tutta affettata signorilità e fragilità mascherata da sprezzatura. Con la sua sfrontatezza, con la sua efficacia a tratti quasi onnipotente, anche solo con la sua stazza, Ibra rappresentava per quell’Inter una catarsi dopo anni di frustrazioni e sfighe e talenti parziali e incompetenze societarie. Esistono migliaia di istantanee per dimostrare questo concetto, ne ho scelte due.
La prima è il gol segnato nel suo secondo derby di Milano, stagione 2006/07. Anche se è comunque meno banale di quanto possa sembrare, non è sicuramente il gol più bello di Ibra all’Inter (anche solo per rimanere ai derby, nel girone di andata di quella stessa stagione aveva compiuto questo mezzo capolavoro su Nesta). E tuttavia è un gol significativo perché è il gol con cui l’Inter ribaltò quel derby, il derby del famoso ritorno di Ronaldo, che addirittura segnò portando in vantaggio il Milan nel primo tempo e ammutolendo gli interisti.
Nell’intervallo, però, Ibra decise che quella partita non si poteva perdere e nei secondi quarantacinque minuti mise in campo una prova di forza e temperamento imbarazzante.
Una delle tipologie di gol più rappresentative dello swag Zlataniano sono quelle specie di rigori in movimento da trenta metri che ogni tanto decide di segnare, con la naturalezza di uno che non li prova ogni partita solo per non rovinare il divertimento agli altri e costringere la FIFA a cambiare le regole del calcio.
Ci sono giocatori da Hall of fame che possono contare al massimo due o tre gol di questo tipo in una carriera, Ibra ne ha segnati ben di più solo nei suoi tre anni all’Inter. Il mio preferito in questo genere è un gol segnato al Palermo.
Lo è per come dimostra la capacità di Ibra di rompere gli equilibri di una partita sullo 0-0 con una cosa tanto brutale nella sua semplicità e per l’esultanza “trallalì-trallalà” (non saprei come definirla altrimenti) con cui celebra il gol.
Ciò che però lo rende davvero speciale è il modo sbruffone, da oratorio, con cui Ibra si aggiusta il pallone per crearsi lo spazio e caricare il tiro ma anche, se non soprattutto, il movimento del terzino del Palermo così lontano dal concepire un colpo del genere da abbassarsi a coprire il corridoio di passaggio. (E va menzionato anche il fatto che quindici minuti dopo Zlatan segnò un altro gol con una punizione forse ancora più potente).
È incredibile siano già passati dieci anni da quella partita, ed è incredibile che Zlatan non abbia vinto una Champions o un Pallone d’Oro nel frattempo nonostante sia stato forse il più grande patrimonio condiviso del calcio degli ultimi venti anni (condiviso nel senso letterale del termine, data la sua carriera da giramondo).
Personalmente lo seguivo e amavo già all’Ajax e persino alla Juve, l’ho adorato ovviamente nella mia Inter, ma, a differenza ad esempio di Ronaldo, non gli ho portato nessun rancore nemmeno quando mi ha spezzato il cuore di tifoso per puntare a una Champions a colpo sicuro con Messi & co. (ovviamente la Schadenfreude alla fine di Barcellona-Inter non ho potuto fare a meno di provarla) e poi, ancora di più, tornando a Milano nel Milan. E se questo infortunio segnerà la fine della sua carriera ad alti livelli si tratterà di una fine triste e beffarda. Un’uscita di scena dimessa per un giocatore così esclamativo, in una serata di Europa League, nell’unica squadra che non è riuscito appieno a far rilucere.
Ibra contro tutti
di Francesco Lisanti
Secondo un aneddoto popolare, i Club Dogo prima di diventare i Club Dogo se ne stavano appoggiati alle macchine a importunare le ragazze che passavano, nella speranza di provocarne i fidanzati e scatenarci una rissa. I più incauti cadevano nella trappola, i più saggi probabilmente se ne tiravano fuori alla maniera della Curva Nord, che nel maggio 2009 si vide azzittire da Ibrahimovic con tanto di dito davanti alla bocca, e arrivò a definirlo «un gesto comprensibile, che ribadisce il carattere di un professionista che non le manda a dire».
Correva l’anno in cui il senso pratico di Mourinho incontrava Zlatan all’apice del suo strapotere tecnico e atletico: l’Inter non era sempre una squadra divertente ma riusciva a raggiungere lo svedese in qualunque zona del campo, spesso ricorrendo ai lanci lunghi dalla difesa, e tanto bastava perché poi ci pensasse lui a creare vantaggi sugli avversari, giocando d’anticipo o saltandoci sopra.
Da questa condizione di isolamento, unita all’insofferenza per i ripetuti insuccessi in Europa, Ibrahimovic ha tirato fuori una versione di sé nevrotica e lunatica, spesso infelice, altrettanto spesso incontenibile. Dopo un’ora di gioco della partita con la Lazio (girone di ritorno della stagione 2008-09) riceve davanti alla difesa, tenta di passare in un corridoio inesistente, si allunga la palla e la regala al portiere. Dagli spalti arriva qualche fischio, Ibra porta il dito alla bocca.
Esattamente un minuto dopo Zlatan sblocca la partita, riportando se stesso in testa alla classifica marcatori e l’Inter a dieci punti di vantaggio sulle inseguitrici. Ma in quel gol c’è soprattutto la voglia di archiviare la contesa tra lui e il pubblico aperta un minuto prima in piena in autonomia, per dimostrare che aveva ragione lui. Nel momento stesso in cui Ibra si gira e punta la difesa della Lazio sta già pensando a come rivalersi dei fischi precedenti.
Dopo aver minacciato il difensore che ha davanti facendolo indietreggiare (Ibra può andare sia sul destro che sul sinistro, questo il difensore lo sa) così da mandarlo fuori equilibrio quando si sposta il pallone verso l’interno, Ibra scarica un collo pieno sul secondo palo che fa segnare 106 sul contachilometri (vale a dire che la palla consuma la sua traiettoria nel giro di mezzo secondo). Lo stadio esplode, Ibra lo zittisce nuovamente, come un minuto prima.
A più riprese Ibra ha detto di considerare l’Italia la sua seconda casa e il campionato italiano il più bello del mondo: «C’è una passione infinita, calda, totale, qualcosa che assomiglia al mio modo di intendere lo sport». Qualcosa che assomiglia molto all’arte di scatenare le risse.
Cosa sarebbe potuto essere Ibrahimovic a Barcellona
di Daniele V. Morrone
from Auraafy1
La parentesi a Barcellona è l’unica crepa nel monolite di successi che è la carriera di Zlatan Ibrahimovic. Se le cose per cui il connubio Ibra+Guardiola non ha funzionato sono abbastanza risapute, è divertente fare l’esercizio opposto: andare a cercare quei momenti in cui l’esperimento sembrava poter funzionare.
In quest’azione Piqué recupera palla in area e fa partire la transizione offensiva correndo in conduzione. Il Real Madrid può difendere con tranquillità, con la difesa schierata. Il Barcellona allora sviluppa la manovra appoggiandosi a Xavi. Qui entra in gioco Ibra: Xavi riceve il pallone orizzontalmente e si guarda intorno per scegliere l’opzione migliore, ma invece di andare sulla diagonale sinistra dove si trova Iniesta (opzione classica) va in verticale per appoggiarsi a Ibra, in grado di proteggere senza problemi il pallone spalle alla porta sulla pressione di Pepe e di ridarglielo con precisione poco dopo. Quando Xavi raccoglie il pallone ecco che i compagni sono riusciti a risalire il campo e si trova quindi con il lato debole a destra libero per poter servire Dani Alves utilizzando Keita come intermediario. Nel frattempo Ibrahimovic si è girato ed è scattato in area per poter raccogliere il cross di Dani Alves con il mancino e segnare il gol della vittoria nel Clásico.
Questo gol di Ibra è tratto dai suoi primi mesi di stagione al Barça. Sono quelli in cui le cose vanno bene, dove i gol arrivano a raffica (11 nel prime 13 partite), in cui sia Henry che Iniesta stanno bene fisicamente e si intravede il motivo per cui Guardiola lo avesse voluto in squadra. Perché Ibrahimovic era disegnato per il Barça che Guardiola aveva in mente al suo primissimo anno come allenatore: quello con Henry a sinistra a dare profondità e Messi a destra a fare Messi, aiutato da una punta centrale attorno a cui sviluppare il gioco.
Guardiola voleva Ibra non solo per via della sua presenza in area quando la squadra accerchiava gli avversari, ma anche per il suo sublime gioco spalle alla porta. Ibra come punta in grado di fare da perno alla manovra in transizione, scambiando palla con le mezzali prima di andare in area. Va anche detto quanto Ibra fosse bravo quando si gioca in verticale nello spazio, un aspetto del calcio del primo Barça di Guardiola spesso sottovalutato.
Il gol al Real Madrid è talmente perfetto nel sintetizzare tutto quello che sarebbe potuta essere l’unione di Ibra e Pep da far quasi male. Non abbiamo visto il talento di Ibrahimovic esaltato a pieno da quella squadra, così come non abbiamo mai visto il massimo potenziale di un Barça allenato da Guardiola con a disposizione una punta di immenso talento.
Il senso del fallimento catalano
di Emiliano Battazzi
Sulla storia di Ibrahimovic al Barça si è detto e scritto già molto ma possiamo sintetizzare dicendo che Ibra in quel momento era il più grande attaccante del mondo e che, però, il gioco del Barça di Guardiola era un sistema di valori sia culturali che calcistici (quelli del settore giovanile in cui molti titolari erano cresciuti) in un certo senso più grandi di lui.
La partita che più di tutte sintetizza questa mancata assimilazione di Ibra nel sistema Barça, è quella contro il Saragozza, nel marzo del 2010.
Nel tridente d’attacco, Pedro deve mantenere l’ampiezza a sinistra, Ibra è la punta centrale e Messi parte dalla destra per rientrare e trovare soluzioni in zona centrale. Il primo assurdo della giornata è il gol di testa di Messi. Sul secondo gol, Messi in area dribbla un difensore e ha l’opzione di servire Ibra da solo al centro; invece dribbla di nuovo lo stesso difensore, e nonostante abbia la possibilità di servire Ibra ancora più solo, tira e segna, scatenando gli applausi persino del pubblico locale.
E poi arriva la sintesi definitiva della stagione di Ibra al Barça: a 15 minuti dalla fine (nel video a 1:12), in una transizione offensiva, Pedro serve lo svedese da solo a centro area. Il passaggio è leggermente lungo, ma Ibra riesce ad arrivare bene sul pallone, calciando poi incredibilmente fuori. Ibra si dispera e sembra dire un’imprecazione in italiano, la regia manda in onda il replay, e poi ritorna in diretta sempre su di lui che cammina ancora a testa bassa.
Nel frattempo però si sta giocando, il Barça ha recuperato palla, e mentre Iniesta e Messi si scambiano il pallone ecco che appare il numero 9 svedese in netto fuorigioco. Messi segna la sua tripletta, e la sintesi è: il Barça non ha bisogno di Ibra. Pedro va a dirgli qualcosa, sembra quasi volerlo rincuorare.
La giornata terribile però non è ancora finita: Messi recupera un altro pallone sulla trequarti e serve Ibrahimovic che è solo. Il passaggio è un po’ strozzato, ma lo svedese prima guarda indietro l’avversario, poi controlla col destro e se la mette sul sinistro: davanti al portiere, nel momento in cui calcia, il corpo è spostato all’indietro. La palla finisce in curva, di parecchio fuori. Poi, di nuovo, lo svedese ha l’opportunità per chiudere la partita: splendido cross di Iniesta dalla trequarti, lui si mette davanti all’avversario che nel tentativo di rincorrerlo frana a terra. Sembra una classica azione da strapotere zlataniano. Invece il pallone in area gli rimane leggermente dietro, e invece di incrociare con il sinistro (o provare anche uno stop), Ibra calcio con un esterno che lo fa sembrare goffissimo.
Nel frattempo gli avversari segnano, così ci deve pensare di nuovo Messi, che salta tutti e si prende un rigore e poi fa una cosa molto da Barcellona: lascia tirare il rigore al compagno in difficoltà, cioè Ibrahimovic. Lo svedese segna, e quasi non esulta ma sembra fare un gesto di imprecazione, e tutti ma proprio tutti lo vanno ad abbracciare: sembra una cosa bella, ma forse lui l’ha vissuta come una grande umiliazione personale.
Perché a lui era proprio questo mondo Barça a non piacere, l’umiltà dei campioni, la loro capacità di far parte di un gruppo senza essere superuomini: “Messi, Xavi, Iniesta e tutta la combriccola sembravano tanti scolaretti. I migliori giocatori del mondo stavano lì a inchinarsi e io non ci capivo niente” . In quella strana stagione catalana, magari Ibra ha capito davvero la sua natura.