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Come Dirk Nowitzki è diventato un simbolo della pallacanestro nel mondo.
Come Dirk Nowitzki è diventato un simbolo della pallacanestro nel mondo.
Romantische Straße
Per chi si avventura lungo la strada romantica partendo da sud, la maestosa facciata della Würzburger Residenz rappresenta il punto d’arrivo. Per Dirk Nowitzki, invece, quello è il punto di partenza, dove tutto è cominciato.
Würzburg, profonda Baviera, una città che all’alba del 17 marzo 1945 di fatto non esiste più. Il giorno precedente, in un bombardamento ancor più devastante rispetto al più celebre di Dresda avvenuto un mese prima, l’aviazione britannica aveva distrutto il 90% del paesaggio urbano. Le vittime del raid sono più di 5.000 e quando, tre settimane dopo, gli alleati prendono possesso della città ci sono solo macerie, pile di cadaveri e la popolazione locale sopravvissuta è allo stremo. Il processo di ricostruzione sarà lungo, i detriti lasciati da quei terribili 20 minuti di morte e devastazione saranno smaltiti del tutto soltanto a metà degli anni Sessanta. Il risveglio civico ed economico andrà di pari passo, tra le intuibili difficoltà e la ferrea volontà di lasciarsi alle spalle l’incubo del nazismo.
Questa è la Würzburg dove nasce e cresce Jörg Nowitzki. Dotato di fisico e altezza non comuni, il ragazzo matura un’attrazione fatale per la pallamano, sport in cui viene considerato un talento di livello mondiale. Purtroppo per lui, la pallamano gode di una popolarità relativa, e di percepire un vero stipendio da professionista non se ne parla nemmeno: per mettere insieme pranzo e cena occorre fare altro. Nowitzki si adegua e se con la pallamano non trova modo di mantenersi, nel circuito sportivo cittadino incontra l’amore. Helga Bredenbröcker è alta quanto Jörg, ma lo sport a cui ha dedicato la sua vita è un altro: la pallacanestro. Non che qui i marchi piovano dal cielo, ma le possibilità di ritagliarsi una carriera dignitosa sono decisamente più favorevoli. La futura signora Nowitzki arriverà anche a vestire la maglia della nazionale, disputando il torneo femminile di Eurobasket 1966 in Romania. Dall’unione nascono due eredi: Silke e, quattro anni più tardi, Dirk.
Il corredo genetico viene trasmesso in perfetta continuità, ma se per Silke è subito chiaro quale sia il percorso da intraprendere, per il giovane Dirk i primi passi sono decisamente più tortuosi. La sorella maggiore diventa in fretta una gloria locale e, seguendo le orme di mamma Helga, arriverà a vestire la maglia della nazionale a metà anni Novanta per poi proseguire come volto televisivo e infine manager del fratello. Dirk, spinto dal padre che cerca in ogni modo di convincerlo del fatto che la pallacanestro sia roba da femmine, prova ripetutamente a lanciarsi nella pallamano. L’impetuosa crescita in altezza, però, non lo aiuta. Anzi, Dirk è sempre più a disagio trovandosi a competere con pari età decisamente più minuti e per questo dotati di maggiore mobilità. Affascinato dall’idolo nazionale Boris Becker, prova allora a passare al tennis, ma anche sotto rete l’altezza è più un problema che una risorsa. A tredici anni, infine, convinto dai consigli degli insegnanti, decide di provare con la pallacanestro. Comincia a giocare nella squadra del liceo locale, intitolato al fisico Wilhelm Röntgen, l’inventore dei raggi X. L’altezza da imbarazzo si trasforma velocemente in dono e Dirk si innamora del gioco.
Un amore che non lo abbandonerà mai, nemmeno per un secondo, nei successivi venticinque anni.
Dalla squadra del liceo a quella cittadina, il passo è breve. A 15 anni Nowitzki è già in grado di battagliare nel pitturato contro avversari parecchio più vecchi di lui e appare ben avviato verso un’onesta carriera di centro nella non irresistibile seconda serie tedesca, magari con l’ambizione di poter diventare un giocatore professionista una volta terminato il liceo. Fin qui è la tipica storia di provincia, del talento locale che attira un po’ di attenzioni e promette di portare Würzburg sulla piantina della Germania da poco riunificata.
Nell’estate del 1994, però, poco prima di compiere 16 anni, Dirk fa il primo di una serie d’incontri destinati a cambiargli la vita, senza dubbio il più decisivo. Holger Geschwindner, ex-nazionale tedesco, ama il sibilo delle scarpe che inchiodano sul parquet e, a cinquant’anni suonati, ogni sabato carica nove coetanei sul suo vecchio Westfalia e guida lungo le strade della Bassa Franconia per sfidare le altre squadre iscritte al campionato senior regionale. Il livello della competizione è rivedibile, l’impianto di gioco spesso e volentieri è in condivisione con altri tornei, tra cui quello giovanile. Il DJK Würzburg, quel pomeriggio, gioca in trasferta e la sfida con la squadra locale va ai supplementari. Geschwindner, nell’attesa che il campo venga liberato, decide di dare un’occhiata a quel ragazzo di cui si sente tanto parlare tra appassionati e addetti ai lavori. Se l’innamoramento di Dirk per la pallacanestro è stato un percorso lungo e accidentato, quello di Geschwindner per il giovanissimo Nowitzki è un vero e proprio colpo di fulmine che lo colpisce sulle tribune del palazzetto di Schweinfurt.
Dai la cera, togli la cera
Cresciuto anche lui a Würzburg, Geschwindner ha ereditato il trasporto per la pallacanestro dalla frequentazione coi soldati americani rimasti a presidiare la città nel lungo dopo-guerra, costruendosi poi una lunga carriera in Bundesliga arricchita da oltre 150 presenze con la Nationalmannschaft. Appese le scarpe al chiodo, si dedica all’altra sua grande passione: la fisica. Non solo, ma esplora e trova un modo tutto suo per fondere scienza e sport, che sfocerà nella creazione dell’Istituto per il Nonsenso Applicato, anche se gli esordi non sono brillantissimi.
In un mondo caratterizzato dalla ritrosia verso le contaminazioni con altri ambiti, Geschwindner viene catalogato come ex-giocatore dalle teorie strampalate. La verità è che i suoi studi — che comprendono sofisticati sistemi per elaborare le parabole di tiro nell’atmosfera di Marte o sulla Luna — sono teoricamente ineccepibili, solo che all’epoca non aveva ancora trovato il soggetto da laboratorio in grado di provarne l’efficacia. Quel ragazzino biondo, che tra le pieghe della più classica delle goffaggini adolescenziali dimostra una familiarità con la palla a spicchi non comune, sembra proprio fare al caso suo.
Tuttavia, dal loro primo incontro ai margini del campo di Schweinfurt, non scaturiscono premesse incoraggianti. La domanda diretta spiazza Dirk: «Vuoi diventare una stella in Germania o uno dei migliori giocatori di sempre?» Per un ragazzo che fino a due anni prima preferiva pallamano e tennis, forse era un po’ troppo. Geschwindner, agli occhi del giovanissimo Nowitzki, risulta poco più di un vecchio eccentrico. Nelle settimane successive al primo incontro, però, il vecchio eccentrico insiste e finisce per chiedere ufficialmente ai coniugi Nowitzki di poter allenare il figlio. Il parere positivo di mamma Helga, che ben conosce l’ex-capitano della nazionale, ha un peso specifico importante nell’orientare la scelta. I metodi d’allenamento ideati da Geschwindner sono tutto fuorché tradizionali e partono dal presupposto che lo sviluppo di un atleta debba comprendere l’accrescimento della persona.
Fuori dal campo, insegna a Dirk a suonare strumenti musicali, nozioni i cui risultati si riveleranno col tempo modesti, consiglia la lettura di libri sugli argomenti più disparati, dalla poesia alle scienze e lo convince a non lasciare la scuola prima di aver ottenuto il diploma. Nelle parole del suo mentore, l’intenzione è di evitare che Dirk si trasformi in uno di quelli che Geschwindner definisce fachidioten, ovvero idioti professionisti, gente ultra-preparata nel proprio campo ma che ignora tutto ciò che ne esula. Il concetto trasmesso, che risulterà essenziale per l’equilibrio psicologico di Dirk negli anni a venire, è che lo sport non è tutto.
Le esercitazioni sul campo, a maggior ragione, non seguono i dettami classici. Per Geschwindner il basket è quanto di più vicino al jazz e transitare sul parquet altro non è che un esercizio complesso di danza. Così, assistito dall’ex-compagno Ernie Butler al sax, fa allenare Dirk a ritmo di musica, studiando per lui esercizi che hanno poco a che spartire con l’ortodossia cestistica, dallo yoga all’uso corretto della respirazione. Il tutto avviene tra le mura dell’angusta palestra del liceo Röntgen, dove quando fuori fa caldo l’atmosfera si fa irrespirabile e in inverno occorre indossare capi pesanti per non congelare. Ma Geschwindner, da buon tedesco, non disdegna nemmeno l’attività all’aria aperta. Invece di rinchiudere il suo pupillo in sala pesi, lo fa uscire per remare nel vicino lago o gli fa spalare palle di fieno nella fattoria di proprietà.
Se non è una trasposizione nella realtà degli allenamenti immaginati nel cult Karate Kid, poco ci manca.
A dispetto dell’iniziale diffidenza del giocatore, il rapporto con il nuovo mentore cresce in parallelo ai miglioramenti del ragazzo sul campo. Adolescente timido e impacciato, Dirk trova nello strambo mondo di Geschwindner l’ambiente perfetto in cui coltivare la sua personalità ancor prima che le sue abilità con la palla. I risultati sono evidenti e il nome comincia a girare con insistenza tra gli addetti ai lavori. Il Barcellona gli offre il suo primo contratto da professionista, Dirk ringrazia ma dice no: deve finire la scuola e poi partire per il servizio militare. Ovviamente, per un prospetto di quel livello, le scorciatoie per evitare entrambe le incombenze ci sarebbero, ma siamo nell’universo di Dirk Nowitzki e nell’universo di Dirk Nowitzki non si fa ciò che tutti si aspetterebbero, si fa sempre quello che è giusto fare. Il resto del mondo, col tempo, se ne renderà conto.
Nel 1996 Geschwindner diventa capo allenatore del DJK e il suo pupillo, fin lì ai margini delle rotazioni, diventa da subito il perno della squadra: 19.4 punti di media e promozione sfiorata. L’anno successivo, dopo aver portato la squadra della sua città in Bundesliga segnando 28 punti di media, Dirk sente che il momento per il grande salto è arrivato. Quella che inizia a primavera del 1998 è un’avventura lunga quasi vent’anni, difficile da rappresentare nella sua interezza. Come per una delle opere più celebri di un altro illustre tedesco, il Parsifal di Richard Wagner — guarda caso andato in scena per la prima volta nel 1882 a Bayreuth, poco più di un’ora d’auto da Würzburg — il percorso in NBA di Nowitzki può essere suddiviso in tre atti preceduti da un antefatto.
Dario Costa è nato trentotto giorni dopo Kobe Bryant. È innamorato e scrive di musica e pallacanestro, spesso mescolate insieme. Ha collaborato con Barracuda Rock Tour e Rivista Ufficiale NBA.
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