- Dopo una partenza stentata il Brasile è riuscito a qualificarsi per i Quarti. L’obiettivo è sempre vincere l’oro? O dobbiamo prepararci a un’altra tragedia nazionale?
Stefano Borghi
L’obiettivo è l’oro per forza, anche perché non può esserci obiettivo diverso per la Nazionale brasiliana, nonostante si stiano vivendo i tempi più bui nella storia di questo movimento. Premetto: non sono assolutamente abbagliato dal 4-0 alla Danimarca, favorito anche dall’atteggiamento estremamente cordiale degli avversari. Però ho l’impressione che questo Brasile abbia effettivamente delle possibilità.
È la squadra con il miglior tasso tecnico del tabellone, discussioni non ce ne sono: i tedeschi sono forti ed energici, i coreani sono splendidamente organizzati, però Neymar e Marquinhos non ce li ha nessuno. E forse nemmeno Gabriel Jesus, Gabigol e Renato Augusto. Il problema, lampante, emerso dalle prime due partite è così semplice da pensare che si possa risolvere: ok il talento, ok l’appuntamento con la storia, però nel calcio di oggi – a qualsiasi livello – devi avere un piano, altrimenti vai fuori persino con Honduras. Questo Brasile forse un piano l’ha trovato per strada, chissà se per merito del CT (ho qualche dubbio), se per imposizione dello spogliatoio (già più credibile) o addirittura per caso (mai mettere limiti alla provvidenza se devi fare la storia). Fatto sta che il Brasile totalmente improvvisato sul piano tattico delle prime due partite ha lasciato spazio, nella terza, a un Brasile sulla carta molto credibile: Renato Augusto è il regista naturale di questa squadra e di questo gruppo, e Luan è un’opzione estremamente più consigliabile di Felipe Anderson in questo momento, perché a differenza del laziale (visibilmente svuotato fisicamente e ancor di più mentalmente) il fantasista del Gremio sprizza energia e voglia di mettersi in mostra.
Credo anche che Walace sia un partner migliore per Renato Augusto rispetto a Thiago Maia, sempre per la necessità di avere fisico oltre che tempi di gioco: quando hai 4 funamboli da sostenere più due laterali pirateschi, ti serve un pilastro in mezzo al tutto. In più due dati importanti: la difesa non ha mai preso gol, nonostante le incertezze marchiane del portiere e la scioglievolezza agonistica di Rodrigo Caio, per me ancora tutt’altro che pronto per essere un centrale di spessore in Europa. Il secondo è che Neymar non si è ancora acceso. E di una cosa possiamo stare sicuri: checché ne pensino in Brasile, O Ney è superiore a Marta. E a qualsiasi altro giocatore presente a queste Olimpiadi.
Federico Principi
L’obiettivo DEVE essere l’oro. Il Brasile ha esordito contro il Sudafrica giocando un calcio poco associativo, e soprattutto un tipo di gioco in cui Neymar pensava di dover essere l’unico catalizzatore; quando già dalla partita successiva Micale ha portato delle correzioni, il Brasile ha preso ad attaccare con più efficacia specialmente con la catena di destra, dove Zeca è un giocatore molto interessante e Gabigol sta confermando le qualità attese.
Lo One Man Band Show di O Ney contro il Sudafrica.
Il tecnico mi sembra preparato, sa che il Brasile palla al piede può essere devastante e ha cercato di bilanciare le due fasi inserendo ben due centrocampisti equilibratori come Thiago Maia e Renato Augusto. Dal punto di vista qualitativo non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che il Brasile sia nettamente candidato all’oro, ma tutto dipenderà anche dalla capacità di reggere la pressione.
Gabriele Anello
L’oro al Brasile sembra un fatto addirittura fisiologico. Ma dopo la clamorosa eliminazione dell’Argentina e la fatica che comunque la Germania ha fatto nel girone, io non ne sarei così sicuro. Il gruppo di Londra 2012 era infinitamente più forte e ha comunque fallito: perché dovrebbe reggere alla pressione dell’Olimpiade casalinga una squadra meno dotata e in un momento storico ben più complicato?
Bisogna anche capire chi la prenderà come una tragedia, eventualmente. Un tifoso che ha vissuto il Mineirazo non vede la sconfitta alle Olimpiadi come una calamità. Chi potrebbe vederla così, magari, è la CBF.
- La Nigeria, a vent’anni dallo storico oro di Atlanta, può puntare a ripetersi?
Gabriele
In linea di massima, va fatto lo stesso ragionamento del Brasile: la Nigeria del ‘96 è stata una squadra irripetibile anche per il nuovo formato olimpico, quello solo con gli U-23. Credo che questa Nigeria sia più solida di quanto ci si aspettasse – hanno vinto la gara con il Giappone pur essendo arrivati in Brasile da cinque ore! – e potrebbe far strada verso una medaglia. Ma l’oro mi pare un obiettivo un filo eccessivo.
Giulio Di Cienzo
L’oro sarebbe un risultato inatteso, e dovrebbe necessariamente passare per un paio di delusioni altrui. La Nigeria comunque è una squadra da non sottovalutare perché ha fisico ed è più organizzata di quanto i luoghi comuni vogliano far credere. Poi c’è John Obi MIkel, che col 10 in nazionale si trasforma da Clark Kent a Superman.
Forse la partita più divertente finora.
Fabrizio Gabrielli
Se ci prendessimo la briga di mettere a confronto le due selezioni delle Super Eagles, quella attuale e quella che si guadagnò l’oro nelle Olimpiadi di Atlanta, noteremmo subito un particolare: la differenza di contesti di provenienza. La Nigeria ‘96 poteva contare su quella che in parte già era, o comunque sarebbe diventata, la crème de la crème del talento continentale: Celestine Babayaro da due anni solcava i campi della Champions League; Kanu l’aveva già vinta. Ikpeba sarebbe esploso di lì a poco con il Monaco, che avrebbe portato per mano al titolo l’anno successivo, e Jay-Jay Okocha e Sunday Oliseh erano già due stelle di assoluta caratura di una Bundesliga meno stellare di quella attuale, ma certamente più predisposta a lanciare talenti africani. Erano gli anni in cui si parlava davvero con convinzione dell’Africa come focolaio del futuro calcistico mondiale.
SWAG.
Nella Nazionale attuale i giocatori che militano in campionati di prima fascia sono essenzialmente due, Obi Mikel e Sadiq, e il loro peso specifico nelle rose di Chelsea e Roma è quello che è. Per il resto c’è una mezza-colonia turca, una delle stelle (Etebo) va in scena su campi di provincia lusitani e il prospetto più interessante, Imoh Ezekiel, gioca in Qatar.
Una medaglia potrebbe però diventare alla portata se, sconfiggendo la Danimarca (ipotesi tutt’altro che remota), i nigeriani riuscissero a trovare la chiave della consapevolezza nei propri mezzi. Finora si sono mostrati troppo insicuri quando si apre una crepa tra il loro livello tecnico e quello degli avversari (come è successo contro la Colombia).
Stefano
Il 2016 calcistico di sicuro è un anno strano, ma non esageriamo. Il calcio nigeriano sta mandando qualche messaggio di ripresa dopo una forte crisi: ha qualche giovane interessante e ha trovato dei buoni circuiti per tornare a promuoversi (vedi la tournée spagnola dell’All Star del campionato locale), però siamo ancora molto indietro rispetto al grande ciclo della prima metà degli anni ’90.
Fabrizio
In generale mi sembra che ci si sia un po’ dimenticati dell’Africa, che la scommessa sia per certi versi stata data un po’ per persa, e che in ogni caso la Nigeria non goda più del credito di cui godeva vent’anni fa. Anche se il mismatch magari è più tra la nostra percezione delle potenzialità e le reali potenzialità, che altrove.
- Teófilo Gutiérrez, Pabón, Preciado, Borja: la Colombia ha un roster d’attacco scintillante, potrà bastare?
Giulio
Il problema della Colombia è tutto nella tenuta mentale. Hanno fisico, tecnica e in attacco due/tre giocatori che possono risolvere ogni partita a questo livello. In particolare i fuoriquota Pabón e Gutiérrez sono di caratura superiore, entrano in ogni azione offensiva e cambiano completamente il ritmo alla squadra. Questo insieme ai tagli dei vari Borja, Preciado, Roa e ai terzini in perenne proiezione offensiva rende i Cafeteros sempre pericolosi. Il problema, appunto, è che ogni tanto si spengono, per distrazione o eccesso di confidenza, e allora emergono limiti individuali e di squadra, da cui nascono i pareggi per 2-2 nelle prime due partite. Da tifoso neutrale guardare le partite della Colombia è divertente proprio per questo, che nelle partite secche diventa un rischio mica da poco. Altro serio problema è l’inaffidabilità del portiere Bonilla, la riserva di Armani nell’Atletico Nacional, uno che sembra in perenne affanno su ogni intervento.
Se riusciranno a migliorare la concentrazione, allora potranno veramente puntare all’oro, perché nessuna squadra è superiore alla Colombia sia in fisico che in cifra tecnica.
Oh, Teo.
Stefano
Non può bastare, altrimenti il Brasile sarebbe già campione olimpico e l’Argentina ancora in corsa. Però la Colombia non ha solo questo: ha alle spalle un movimento che sta vivendo la sua età dell’oro, per il semplice fatto che un’eccellente generazione di giocatori è stata affidata a una serie di tecnici che ha svolto molto bene il proprio lavoro. I risultati? A Dicembre 2015 l’Independiente Santa Fé vince la Sudamericana, a Luglio 2016 prima la Nazionale centra il terzo posto in Copa América e poi il Nacional si prende di imperio la Libertadores: se non è dominio, poco ci manca. Anche questa selezione viene trascinata dall’onda: ha molteplici modi per colpire e può anche ambire a trovare dell’equilibrio, perché in mezzo al campo (da Kevin Balanta a Barrios fino a Jefferson Lerma e passando ovviamente da quello che sembra il fratello brutto di Séba Pérez ma che rimane sempre lui…) ci sono giocatori in grado di sostenere un impianto offensivo del genere. Purtroppo c’è subito il Brasile… o per fortuna?
- La generazione tedesca che stiamo vedendo in queste Olimpiadi è pronta per raccogliere il testimone dei Campioni del Mondo in carica?
Gabriele
Decisamente. Credo che la Germania sia arrivata a queste Olimpiadi nel silenzio generale e invece abbia la squadra più completa ed equilibrata: ha in squadra un campione del Mondo (Ginter), diversi giovani di spicco (Horn, Brandt, Meyer, Goretzka) e un finalizzatore sconosciuto come Petersen, che in realtà in Germania ha spesso segnato gol pesanti.
La magia di quest’Olimpiade è tale che persino Gnabry – praticamente inattivo nelle ultime due annate tra Arsenal e WBA – è la stella a Rio. Se Hrubesch vincesse la medaglia d’oro, può lasciare il posto a qualcuno di più giovane e godersi il suo posto nella storia del calcio tedesco.
Uno dei CINQUE gol di Gnabry finora.
Federico Principi
E non scordiamoci che all’Olimpiade attuale mancano alla Germania tutti gli under 23 dell’Europeo: Joshua Kimmich, Emre Can, Julian Weigl, Leroy Sané, tutti già in club di prestigio.
La squadra olimpica ha comunque degli elementi interessanti (elencati da Gabriele) che sembrano già indottrinati alla filosofia di base che Joachim Loew ha mostrato agli ultimi Europei nelle fasi finali. Da qui si può già pensare che Hrubesch li stia facilitando all’inserimento in Nazionale maggiore.
Rispetto al roster di Euro 2016 i centrali Sule e Ginter sembrano meno propensi a prendersi responsabilità in costruzione di quanto non fossero Hummels e soprattutto Boateng. I princìpi però sembrano gli stessi: si forma un quadrato mobile davanti al portiere Horn (formato dai due centrali e dai due mediani, i fratelli Bender) per facilitare l’uscita della palla, i terzini (Toljan a destra e Klostermann a sinistra) si alzano subito a inizio azione e occupano l’ampiezza, mentre i due trequartisti laterali Meyer e Brandt sfruttano il loro talento ricevendo palla in una posizione abbastanza centrale tra le linee, spazio se possibile allungato dalla punta.
Giulio
Della Germania probabilmente si è parlato troppo poco fin dal pre-Olimpiadi, perché tutti eravamo intenti a pensare al Brasile e alle sudamericane. Hanno un gruppo di qualità e gioco, che promette grandi cose oggi nel torneo e in futuro tra i grandi. L’oro olimpico sarebbe l’ennesima conquista di un ciclo tedesco mica male tra giovanili e nazionale maggiore.
Per chi fosse totalmente a digiuno di questa squadra, consiglio l’esercitazione di tiro finita sotto il nome di Germania-Fiji.
Fabrizio
A proposito del concetto di sottovalutazione, mi sembra non si stiano spendendo abbastanza parole per Davie Selke. Non capisco perché al centro dell’attenzione, in tutti i discorsi di doppie e triple nazionalità che rendono i calciatori affascinanti per motivazioni e livello di clamorosità delle loro scelte definitive, si sia parlato spesso di Gedion Zelalem e mai di Selke. Il centravanti di origini etiopi, se non il più pronto, è di certo quello che sarà prima chiamato a ritagliarsi un ruolo come successore di Mario Gomez, del quale ha movimenti, tendenza alla dominanza fisica e fiuto per il gol.
Prove tecniche di futuro, guest starring Leroy Sané.
Nell’ultima Bundesliga II ha contribuito alla promozione del RB Leipzig con un gol ogni due partite: in coppia con Yusuf Yurari Poulsen diventa esplosivo, ma anche nell’U21 tedesca ha già lasciato più volte il segno, e ora lo aspetta la Bundesliga alla riprova del campo. Le Olimpiadi sono raramente un trampolino di lancio, più spesso una galleria che taglia una montagna in due: da come saprà solcare le vallate che si aprono dopo il traforo capiremo se Davie è già, qualcosa di più che in nuce, il nove del futuro teutonico.
- Dopo il bronzo di Londra, la Corea del Sud continua a confermarsi a suo agio nei tornei olimpici: ora che ha eliminato i campioni in carica del Messico, dove può arrivare?
Fabrizio
Shin Tae-yong, l’allenatore dei Sud-Coreani che è anche il vice di Stielike nella Nazionale maggiore, è soprannominato “Il Mourinho asiatico”, anche se in realtà somiglia di più a Joachim Löw, per stile dell’outfit e delle squadre che guida: è, anzi, in un certo senso, l’evoluzione del Pokémon Low messa in modalità Scheggia Impazzita .
Contro la Germania i coreani hanno praticamente inscenato una specie di esaustivo saggio delle qualità e della dottrina della squadra, che fino ad adesso – insieme al Giappone – è sicuramente la più “Olimpica” vista a Rio, dove per Olimpica-tra-virgolette intendo una squadra con un approccio scevro da ogni razionalizzazione, burrascoso, impetuoso, quasi trascurato nella sua arraffazzonatezza vorticosa.
Ryu è il giocatore che poi incespica nel tentativo di un colpo ad effetto, un gesto caratteristico e costante nelle squadre Olimpiche-tra-virgolette.
La Corea è rapida, di gamba e di pensiero. Pressa alta e innesca transizioni offensive fiammeggianti, anche se non sempre precise: gli piace cercare costantemente triangolazioni nello stretto e incursioni tanto centrali, per mano delle mezzali (qua per esempio è Moon Chang-jin che si avventura, dopo uno scambio con Son, prima di servire in profondità il centravanti), quanto sulla fascia per mano dei suoi laterali più offensivi,spesso Son e Ryu.
Contro le squadre che denotano un minimo di organizzazione il suo impianto difensivo barcolla fino a implodere su se stesso: la difesa in linea non riesce ad arginare gli attacchi avversari sulle fasce, e centralmente fa molta fatica a non perdere irrimediabilmente il timone. Però dalla trequarti in su è fuoco puro, non solo sulla linea dei fantasisti funamboli ma pure in avanti, dove Hwang Hee-Chan dei RedBulls Salzburg, il più giovane della rosa, è il punto di riferimento mobile, il centravanti di manovra, e Suk Hyun-jun uno degli uomini secondo me con più prospettive in Europa.
A livello di scommesse-a-rischio-controllato, io due monetine su una medaglia, per i Guerrieri del Taegeuk, ce le spenderei.
Gabriele
Credo che una medaglia sia possibile. Gli accoppiamenti con il girone D hanno regalato ai sud-coreani i quarti con l’Honduras, non proprio il maggiore degli ostacoli (anche se Jorge-Luis Pinto è sempre un diavolo). Aver eliminato il Messico campione uscente – pur con tutte le sue assenze e difficoltà – è un merito. Una finale per il terzo posto, magari contro la Nigeria, è più che possibile.