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Fondamentali Alfredo Giacobbe 22 ottobre 2014 8'

Fondamentali: Roma – Bayern

Il Bayern di Guardiola ha giocato una prima mezz’ora da Storia del Calcio. Per la Roma la speranza è che in sconfitte di questo tipo siano nascoste le soluzioni per le vittorie future.

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Se si cerca su Wikipedia il cosiddetto effetto carrozzone si può leggere la seguente definizione: “In senso letterale il termine inglese bandwagon indica il carro che trasporta la banda musicale in una parata. Salire sul carro della banda è dunque attraente poiché permette di ascoltare la musica senza dover camminare. L’espressione jump on the bandwagon viene dunque usata nell’accezione di unirsi alla tendenza più diffusa”. Io correrò il rischio di passare per uno che sale sul carro del vincitore perché sono convinto che quello che abbiamo visto ieri sia stato uno spettacolo unico al mondo. E’ urgente per me capire cosa potrà ancora fare Pep Guardiola per il gioco del calcio, più di quello che ha già fatto. Perché sono convinto che la filosofia di gioco dell’allenatore catalano non è arroccata sulle proprie – seppur vincenti – posizioni, ma è in continua evoluzione e ieri sera ci è stata mostrata la sua ultima incarnazione.

 

La mia personale illuminazione sulla via di Damasco l’ho avuta al settantatreesimo minuto di una partita già in ghiaccio, sullo svolgimento di un’azione come tante che ho avuto l’impressione mi stesse dicendo cos’è il Bayern oggi. Alaba riceve la palla, che è scoperta ma la difesa della Roma resta alta. Il terzino sinistro Bernat segue una sua intuizione, sale sulla fascia e poi taglia in mezzo alle spalle della difesa. Franck Ribery, esterno esplosivo e anarchico, volta le spalle al proprio attacco e torna in difesa. È un messaggio forte: tutto il Bayern va in avanti ma lui fa il percorso inverso. Bernat attacca e Ribery ne prende il posto; poi lo spagnolo taglia al centro e finisce per trovarsi in posizione da centravanti. Allora Götze, automaticamente, scivola sulla sinistra per prendere il posto che era di Bernat e che era prima ancora di Ribery. L’azione dura ancora un po’ (Alaba ha preferito giocarla corta piuttosto che lanciare) ma Bernat rimane il centravanti della sua squadra.
Uno dei cardini dell’utopia calcistica di Guardiola è quel concetto di calcio posizionale e di completa interscambiabilità dei ruoli che fu teorizzata da Rinus Michels e messa in pratica da Johann Cruyff. Herr Pep si è schernito, alla TV nel post-partita, quando i commentatori hanno paragonato il suo Bayern alla funambolica Olanda del ’74. Ma è senza dubbio quello del Calcio Totale il magnifico ideale al quale Guardiola tende, cercando di fondere la capacità di controllo del possesso alla catalana con l’atletismo e la verticalità propri del DNA teutonico.

 

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Ribery controcorrente come Richard Ashcroft nel video di Bitter Sweet Symphony.

 

RIEN NE VA PLUS
C’è un proverbio che dice: “Quando il saggio indica la lista dei titolari, lo stolto guarda alla formazione”. La grafica che la UEFA passa alle TV mostra un 4-2-3-1, che sarebbe la norma a cui siamo abituati, ma il Bayern si schiera con un fantascientifico 3-3-4: Alaba, un fluidificante che con Guardiola sta diventando un tuttocampista, difende la porta di Neuer con Boateng e Benatia; il triangolo di centrocampo è formato da Xabi Alonso, vertice basso, Lahm e Götze; Lewandowski e Müller formano la linea degli attaccanti a cui vanno aggiunte le due ali Robben e Bernat. È un esperimento unico al mondo a questi livelli, ma non totalmente inedito perché si era già visto nella finale del Mondiale per Club del 2011 tra (guarda caso) Barcellona e Santos.
Rudi Garcia e suoi uomini hanno deciso di giocare la partita a viso aperto, così come avevano fatto col Manchester City, stavolta con il favore di un Olimpico stracolmo e tutto dalla parte della squadra, anche nei momenti peggiori. Il primissimo possesso della partita è lì a dimostrarlo: il Bayern non riesce a giocare palla ed è costretto a buttarla via sotto la pressione dei romanisti. Pjanic impedisce a Xabi Alonso di girarsi e il tridente romanista bracca i tre difensori bavaresi, Xabi verticalizza senza poter veramente guardare dove sono i compagni, a memoria, e Nainggolan intercetta.

 

Guardiola ha fatto una scommessa rischiosa, ma come tale ha pagato dividendi altissimi. Ha lasciato tutta la fascia destra ad Arjen Robben, accettando di lasciare uno contro uno Gervinho con Benatia, coperto da Boateng. Le consegne di Guardiola sono chiare, l’olandese doveva restare larghissimo per cercare di aprire le maglie della difesa della Roma e Cole non è mai riuscito a prendergli le misure: se provava a stringere su Robben alto lasciava spazio dietro di sé per gli inserimenti di Lahm; se restava stretto vicino a Yanga-Mbiwa per raddoppiare quel cavallo pazzo di Müller, in movimento perpetuo alla ricerca di spazio su tutto il fronte offensivo, finiva per stendere un tappeto rosso davanti ai piedi di Robben, che poteva così puntare l’area di rigore palla al piede come in occasione del primo gol, dopo otto minuti. La Roma ha tenuto botta e si è resa subito pericolosa, già un minuto dopo il gol, arrivando vicinissima al pareggio con Gervinho (azione, a dir la verità, nata da un’iniziativa palla al piede di Yanga-Mbiwa).

 

Due piccoli ma decisivi cambiamenti effettuati da Guardiola sullo 0-1 dimostrano quanto l’allenatore dei tedeschi fosse preoccupato e guardingo. Un minuto dopo il gol di Robben, De Rossi prende palla tra i due centrali ed effettua un lancio a scavalcare il centrocampo; sulla respinta della difesa Totti può toccare palla e servire Nainggolan. Fino a questo momento Xabi Alonso si stava sdoppiando in un duplice ruolo: quando la Roma provava a iniziare l’azione, giocando palla fin dalla propria area, Alonso era alto per pressare Pjanic; successivamente, Alonso abbassava la propria posizione andando in marcatura su Totti, per impedire che il capitano giallorosso potesse ricevere palla tra le linee e innescare Iturbe e Gervinho. L’azione di De Rossi e Totti è abbastanza veloce da sorprendere l’ex madridista che sta ancora compiendo la transizione tra i due compiti.
Nainggolan quindi pesca Pjanic libero, il bosniaco può girare per Torosidis. I bavaresi scappano all’indietro, attaccati da tre romanisti, e il cross del greco dietro la linea della difesa è appena troppo lungo. Venti secondi dopo, l’azione di Yanga-Mbiwa che intercetta palla e serve Gervinho in profondità alle spalle di Boateng e solo un marziano come Neuer può negargli il gol del pareggio.

 

Guardiola allora cambia: Xabi Alonso resta basso su Totti e la marcatura su Pjanic a inizio azione passa a Götze. Ma la mossa da scacco matto è un’altra: Alaba inizia ad alzarsi in maniera sistematica, il triangolo di centrocampo diventa un quadrilatero, le possibili linee di passaggio si moltiplicano. La traccia che porta il pallone da Xabi Alonso ad Alaba e da Alaba a Götze è la chiave con la quale il Bayern fa propria la partita.

 

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L’avanzata di Alaba rende vana la marcatura di Xabi Alonso e crea una linea di passaggio verso Götze.

 

La seconda rete, quella che sul piano mentale fa uscire la Roma dalla partita per il resto del primo tempo, nasce da un’azione simile nella quale Götze riceve palla alle spalle di Pjanic e punta la difesa. Il resto del lavoro lo fa ancora Müller, che con un suo movimento sposta Yanga-Mbiwa dalla zona che poi lo stesso Götze va ad attaccare. La quarta rete, la seconda personale per Robben, è un’azione in fotocopia con Lewandowski a fare il Götze, a proposito di interscambiabilità dei ruoli.

 

ESSERE O AVERE
La superbia è un vizio capitale e Garcia forse ne ha peccato ieri sera (lo ha ammesso lui stesso dopo la gara). Affrontare il Bayern con la “solita” Roma, senza mettere in campo soluzioni idonee, senza voler fare la partita sull’avversario, è stato quanto meno presuntuoso. Dopo pochi secondi di gioco era evidente come Gervinho stringesse la propria posizione sistemandosi giusto davanti a Totti, cercando la verticalità alle spalle di Boateng e il momento giusto per battere Benatia in velocità. Bisogna riconoscergli che è stato l’unico ad impensierire Neuer, sia nel disastroso – in termini di collettivo – primo tempo che nel secondo tempo, certamente più ordinato. Così facendo però, la Roma ha consegnato la partita nelle mani di Robben, che nei primi minuti di gioco era molto più basso e attento, in linea con Lahm e Xabi Alonso in fase di non possesso, e che successivamente ha potuto disinteressarsi di ogni compito difensivo. Perché non c’era alcun uomo da marcare, semplicemente.

 

Garcia, comunque, ha provato alcune contromosse. Prima ha allargato Totti, coperto però da Lahm. Poi ha provato a portare Iturbe a sinistra, per costringere Robben ad abbassarsi. La coperta si è rivelata subito cortissima: non appena effettuato il cambio di fascia, la superiorità numerica che si era perpetrata sulla fascia sinistra fino a quel momento, il Bayern l’ha messa in mostra sulla fascia opposta, con Bernat che si libera al cross per l’incornata vincente di Lewandowski.

 

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L’azione del secondo gol: Götze riceve palla ancora una volta alle spalle di Pjanic, De Rossi dovrebbe uscire sul tedesco oppure offrire copertura a Manolas; invece resta nella Terra di Mezzo.

 

Discutibili anche le scelte degli uomini nell’undici iniziale. Cole non aveva il passo di Robben nella marcatura, ma neanche la forza per attaccarlo e per dare l’ampiezza alla manovra che Gervinho, con compiti diversi, non poteva offrire. Totti e Pjanic contemporaneamente in campo elevano la qualità del gioco ma privano la squadra di dinamismo e aggressività. Se la palla ce l’hanno sempre loro (un possesso palla del 33,5% alla Roma non è capitato neanche nel 3-0 subito in nove dalla Juventus) della qualità nel palleggio te ne fai poco. La coppia di marcatori Manolas e Yanga-Mbiwa non era forse la più adatta per una partita in cui più che gli uomini andavano controllati gli spazi, con il francese tra i peggiori in campo. L’ex cagliaritano Astori, in panchina, ha un senso di posizione migliore ed avrebbe offerto più garanzie quanto meno dal punto di vista dell’ordine.

 

Inspiegabile poi l’utilizzo di Daniele De Rossi, praticamente libero da compiti di marcatura mentre Pjanic e Nainggolan venivano fatti a fette da Götze e Lahm. Nel secondo tempo, quando con l’uscita di Totti la Roma si è sistemata con il 4-4-2, De Rossi e Nainggolan hanno offerto una protezione maggiore alla propria difesa centralmente.
Forse è il caso di chiedersi che tipo di vantaggi dia giocare con un playmaker così difensivo (Keita garantisce maggiore mobilità in quello stesso ruolo): serve per impostare il gioco con calma mandando a vuoto il pressing avversario, per quelle partite in cui la Roma è sicura di tenere la palla per la maggior parte del tempo? O per avere un difensore in più al centro? Con il Bayern non funzionava né in un senso né in un altro, allora perché continuare con lo stesso modulo per tutto il primo tempo?

 

Nella ripresa, dopo dieci minuti, i bavaresi sono stati costretti ad un cambio e a passare stabilmente al 4-3-3 perché la Roma era messa meglio in campo, con due uomini per fascia (Florenzi+Cholevas e Iturbe+Torosidis), Pjanic a ricevere palla su una distanza medio-corta e Gervinho ad attaccare la profondità. La Roma avrebbe potuto fare più di un gol, che non avrebbe cambiato di molto il risultato finale o diminuito l’impressione del divario quasi incolmabile che la separa dal Bayern, ma magari avrebbe lasciato meno danni a livelli psicologico. Come si dice, bisogna pur continuare a vivere e ad avere una speranza. Il Bayern invece si è adattato presto e recuperato il parziale 1-0 romanista nel secondo tempo in un, se ce ne fosse stato bisogno, chiarissimo 1-2.

 

CONCLUSIONI
Sul piano tattico Guardiola ha messo giù un’equazione matematica con troppe variabili e Garcia per renderla risolvibile ne avrebbe dovuto bloccare qualcuna. Quello che adesso deve preoccupare il tecnico francese è la tenuta mentale in campo, perché la Roma è uscita dalla partita troppo presto: sullo 0-2 tutto era ancora virtualmente aperto e la squadra aveva àgi costruito delle opportunità per far male a Neuer (o per farsi far male da Neuer).
L’allenatore esce ridimensionato nelle sue convinzioni e forse anche qualche calciatore, sopravvalutato per il proprio livello tecnico e agonistico. In sconfitte così importanti per lo meno non è difficile capire chi è all’altezza della situazione e chi no. In ogni caso l’ambiente romano non può permettersi di deprimersi in un’autocritica troppo severa: la qualificazione è aperta e il bonus dell’ultima partita in casa contro il Manchester City non va sprecato. L’Olimpico visto ieri sera, che intona cori sul 3-0, che non fischia all’intervallo, che applaude vincitori e vinti alla fine della partita, merita gli ottavi di finale. La squadra di Rudi Garcia, nonostante tutto, anche.

 

 

Tags : bayern monacochampions league 2014/15pep guardiolaromarudi garcia

Alfredo Giacobbe è nato a Napoli, dove vive e lavora. Ingegnere come Manuel Pellegrini, ha dipinto l’area tecnica attorno al suo divano.

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