Frank de Boer è stato esonerato da tre giorni e l’Inter ha già perso un’altra partita. In panchina è andato Stefano Vecchi, che Ausilio ha indicato come “una soluzione che la società sta valutando”, cercando di far credere che il posto sulla panchina nerazzurra non sia per forza vacante. Ma Ausilio smentì l’esonero di de Boer appena poche ore prima di esonerarlo effettivamente, e quindi non abbiamo ragioni di credergli.
Abbiamo immaginato tutte le possibili soluzioni, più o meno realistiche, per il nuovo allenatore dell’Inter, cercando di immaginare come giocherebbe la squadra.
Il pragmatismo di Marcelino
di Emiliano Battazzi
Marcelino García Toral è asturiano di Gijón, proprio come Luis Enrique, con cui condivide la gratitudine e la passione per la squadra della loro gioventù, lo Sporting Gijón, e la testa dura.
Bisogna subito chiarire che Marcelino è un maniaco del controllo: deve essere sua l’ultima parola su tutto ciò che riguarda la squadra, non solo per l’area tecnica ma persino per quella medica. I suoi giocatori sono sottoposti a dieta ferrea, con controllo giornaliero del peso. Potrebbe essere la soluzione giusta per l’Inter: un allenatore che occupi il vuoto di potere creato dalle varie fazioni societarie.
Non è il profilo di allenatore spagnolo a cui siamo abituati: è un pragmatico della scuola sacchiana. Il 4-4-2 è il suo modulo preferito, che si trasforma spesso in un 4-2-4. Marcelino è sacchiano perché le linee si devono muovere all’unisono e la squadra deve sembrare collaudata e organizzata come un’orchestra sinfonica. Per Marcelino conta quello che si fa in allenamento: ripetizione continua e sfinita di esercitazioni tattiche, perché non si può chiedere a un giocatore in partita ciò che non si è provato durante gli allenamenti. L’Inter ha evidentemente bisogno di un pragmatico, e Marcelino ha già preso delle squadre in corsa, con buoni risultati: salvezza con il Racing Santander nel 2010-11 e promozione con il sottomarino giallo nel 2012-13.
Marcelino è pragmatico perché i principi non si impongono ma si adattano alle caratteristiche dei giocatori. In un’intervista a El Mundo, prima di una partita contro il Real Madrid, da allenatore del Racing Santander, disse “Se l’avversario ha un cannone e noi un fucile, bisogna prima pensare a come rompere il cannone”. E forse nell’Inter sarebbe la sua prima volta al comando dell’artiglieria pesante.
Si gioca come ci si allena: spazi ridottissimi.
Per Marcelino giocare bene non significa appagare un senso estetico, bensì impedire all’avversario di creare occasioni, cioè aumentare le proprie possibilità di vittoria. In tre anni e mezzo ha riportato il Villarreal dalla Segunda alla Champions League, seguendo questo percorso: due linee vicinissime, copertura estrema della zona centrale (nessuna squadra in Europa spingeva gli avversari sulle fasce più del Villarreal), squadra corta nella zona del pallone, aumento vertiginoso del ritmo solo dalla metà campo in poi, per cercare i movimenti opposti delle due punte. Poi è stato esonerato ad agosto, per una presunta lite con il capitano Musacchio; ma il presidente del Villarreal ha insinuato che ci fosse un problema di onestà. In sostanza: avendo già raggiunto il quarto posto, Marcelino disse che avrebbe avuto piacere nel vedere lo Sporting Gijón salvo, suo club storico e rivale proprio nell’ultima giornata della passata Liga. Lo Sporting vinse e si salvò, la moglie di Marcelino twittò l’equivalente di “missione compiuta”.
Il Sergente: costringe Bailly a giocare 14 minuti con una lussazione alla spalla, e quando esce dolorante non lo degna di uno sguardo. In bocca al lupo ai giocatori dell’Inter, qualora fosse.
Si può immaginare l’Inter di Marcelino? Il recupero del pallone dipende anche dalle caratteristiche dei giocatori: la rosa dell’Inter sembra adatta a un blocco centrale basso, piuttosto che all’aggressione continua nella metà campo avversaria. Marcelino non disdegna il 4-2-3-1, l’ha usato 19 volte in 176 occasioni al Villarreal: a cambiare sarebbero i due esterni, con Perisic titolare per la sua capacità in transizione e nei tagli e Candreva in pericolo per far posto a Eder. Marcelino però è un amante del 4-4-2 e nell’Inter questo modulo creerebbe perplessità per la posizione di Banega: potrebbe giocare da centrale di centrocampo insieme a Medel (fedelissimo di Marcelino ai tempi del Siviglia), magari con Joao Mario sulla fascia con l’obbligo di entrare in campo e farsi trovare sempre tra le linee, con Perisic sull’altra fascia a garantire maggior ampiezza, e la coppia Icardi-Eder a dettare i classici movimenti opposti delle due punte.
Marcelino di sicuro ripartirebbe dalle grandi certezze dell’Inter in zona centrale, quella che da allenatore vorrebbe sempre controllare, per poi costruire un sofisticato edificio tattico automatizzato. Forse in un ambiente così fuori controllo serve proprio un testardo, maniacale e studioso allenatore asturiano.
Marcello Lippi, re dei compromessi
di Alfredo Giacobbe
Marcello Lippi sarebbe una sintesi perfetta tra le esigenze della fronda italiana dell’organigramma societario interista e quelle della nuova proprietà cinese. Pioli non ha una reputazione spendibile sui mercati internazionali e uno come Hiddink è a digiuno di esperienze in Serie A. Il nuovo CT della Nazionale cinese possiede invece entrambe le cose. Lippi ha vinto tutto con la Juventus negli anni ’90 e si è consacrato sugli altari alzando la Coppa del Mondo nel 2006, mentre dal 2012 al 2014 ha collezionato successi dall’altra parte del pianeta col Guangzhou Evergrande. Chissà, magari gli permetterebbero di allenare sia la Cina che l’Inter, contemporaneamente.
Lippi condivide con Mancini la predilezione per gli undici fisici e nella rosa attuale avrebbe materiale umano a disposizione per i suoi scopi. L’Inter bis di Lippi, schierata con il 4-4-2, avrebbe una linea di difesa con Miranda a coprire le spalle di Murillo, oltre a D’Ambrosio e Ansaldi utilizzati come terzini bloccati. A centrocampo Lippi sacrificherebbe Banega in un ruolo non suo per farne il nuovo Paulo Sousa, con Kondogbia fido scudiero dell’argentino a interdire il gioco degli avversari. Ai loro lati due frecce come Perisic e Biabiany fungerebbero da portatori d’acqua per l’attacco pesante, formato da Icardi e Gabigol.
Lippi, che dalla panchina della Juventus batté il calciatore Frank de Boer e il suo Ajax nella finale romana di Champions League, restaurerebbe all’Inter la tradizione del coaching all’italiana. All’insegna del “Primo: non prenderle”, l’Inter diventerebbe attenta a coprirsi e a disinnescare i punti di forza dell’avversario prima di badare ad offendere, in barba ad ogni velleità progettuale all’olandese. “Brutti e vincenti” potrebbe essere uno slogan adeguato al nuovo, vecchio corso.
A 68 anni suonati, Lippi tornerebbe sulla panchina di una squadra di club europea dopo 12 anni, un’era geologica calcisticamente parlando: nel 2004 Mourinho vinceva la Champions League col Porto, Guardiola ancora giocava, in Serie A avevamo 18 squadre. Lippi siederebbe di nuovo sulla panchina della “Beneamata” dopo l’esonero alla prima giornata del campionato 2000-01. Senza più Massimo Moratti a difendere i giocatori, chi potrà impedire a Lippi di “inchiodarli al muro degli spogliatoi e prenderli a calci”?
Guus Hiddink, il normalizzatore
di Daniele V. Morrone
Da quando Guus Hiddink ha portato il PSV a vincere due campionati consecutivi e la prima e unica Champions League della sua storia sono passate diverse vite calcistiche. Nel mezzo ha fondato e esaltato interi movimenti calcistici. Forse il calcio lo ha superato nelle idee, ma lo scorso anno un Hiddink ormai alla soglia dei settant’anni, e ormai in piena fase “santone”, ha portato fuori il Chelsea dalla zona retrocessione in cui era sprofondato dopo un inizio choc con Mourinho, finendo a metà classifica nonostante un gruppo spaccato e mentalmente distrutto.
Hiddink con l’età ha perso il tocco, ma è diventato molto pragmatico: inutile aspettarsi miracoli, ma la sua capacità di adattarsi immediatamente ai contesti e capire dove intervenire potrebbe dare all’Inter una base solida per costruire nella stagione successiva. A costruire magari sarà anche un altro, magari quel Simeone che si libera nel 2018 da Madrid. Ma per ora Hiddink rimane una buona opzione per sussurrare le parole giuste alle tante fazioni in spogliatoio e ricreare una visione comune che sembra persa.
Sul campo Hiddink creerebbe un contesto tattico in grado almeno di fare da rete di sicurezza per giocatori che hanno perso la bussola. Riportare quindi tutto alle cose semplici, senza esagerare: difesa a quattro, due centrocampisti fisici davanti alla difesa di cui uno bloccato in Medel o Kondogbia e uno con più libertà di movimento in Joao Mario o Brozovic, un giocatore avanzato con visione di gioco per fare da raccordo tra i reparti e l’ultimo passaggio in Banega, due giocatori veloci sugli esterni come Perisic e Candreva e una punta unica da servire in Icardi. Tante occasioni a partita in corso per chi come Gabigol ha bisogno di minuti per dimostrare di valere l’investimento estivo. Riportare tutto alle basi. Non arriverà mai l’Inter che ha battuto la Juve, ma sicuramente neanche quella che ha perso contro l’Atalanta. Non ci sarà spettacolo se non nella giocata del singolo, non ci sarà la sensazione di assistere ad una squadra con un progetto tattico, ma se sono i risultati minimi per rialzarsi in classifica e provare a riacciuffare l’Europa League che la dirigenza vuole, allora almeno quelli con Hiddink potrebbero arrivare.