Manchester United e Liverpool hanno finito di nuovo, come all’andata, per spartirsi la posta in gioco, ma stavolta la partita è stata divertente, con poco o niente in comune con il pareggio a reti inviolate del 2016: lo scorso ottobre lo United aveva rinunciato a giocare, come aveva fatto poi, una settimana dopo, contro il Chelsea di Conte, una tattica che si è rivelata un suicidio.
Stavolta Mourinho partiva da presupposti diversi: lo United aveva il vento in poppa e ha potuto schierare l’undici tipo con il quale ha vinto 9 partite consecutive tra campionato e coppe. Raramente abbiamo visto il portoghese così rilassato come nella conferenza stampa pre-partita.
Klopp, invece, alla vigilia aveva qualche pensiero in più: da un lato è dovuto scendere a patti con il forfait di Clyne – sostituito con il diciottenne Alexander-Arnold – dall’altro ha scelto di tenere inizialmente fuori Coutinho, seppur recuperato dall’infortunio, preferendo la fisicità di Emre Can dal lato del campo di Paul Pogba.
La difesa è il miglior attacco
Nel primo tempo l’attenzione posta dalle due squadre alla fase difensiva ha fortemente condizionato la partita di entrambe, per quanto riguarda il Liverpool è arrivata persino a influenzare il loro modo di attaccare. L’aggressività necessaria al recupero del pallone portava gli uomini di Klopp, soprattutto i tre davanti, lontano dalle loro zone di competenza e, una volta riconquistato il pallone, la qualità e l’efficacia dell’attacco del Liverpool dipendeva dalle posizioni in cui erano andati a finire i suoi giocatori.
Con la palla, il Liverpool ha cercato anche di fare gioco partendo dal basso ma lo United, conscio della propria forza quando il pallone è in aria, ha provato a costringerlo a calciare lungo.
Herrera scherma Henderson e Lovren è costretto a tornare da Mignolet sulla pressione di Pogba: una situazione ripetuta nel corso del primo tempo.
Martial e Mkhitaryan marcavano i due terzini per evitare lo scarico laterale e per costringere Lovren e Klavan a venire in mezzo (il primo è stato il giocatore con più passaggi giocati nella propria squadra). Pogba ed Herrera si scambiavano i compiti alternandosi nel lavoro di pressione sul portatore di palla e di marcatura dell’uomo che dal centrocampo si abbassava per offrire un’opzione di passaggio in più (Henderson più di Can).
Il Liverpool ha accettato di buon grado l’idea di allungare il pallone in fretta verso la zona sinistra del campo, alzando il pallone su Origi e trasformando la partita in una battaglia sulle seconde palle, caratteristica propria del DNA delle squadre di Klopp.
Jones ha lavorato bene in uscita sull’attaccante belga, sempre ben coperto da Rojo alle sue spalle, e di fatto il Liverpool non è riuscito a creare occasioni dalla situazione di gioco appena descritta: Origi non ha vinto nessuno dei duelli aerei che ha ingaggiato (per la verità non ne ha vinti neanche col pallone a terra, visti i 4 tentativi di dribbling falliti su 4).
Senza palla, la squadra ospite non ha pressato in maniera arrembante l’avversario, preferendo coprire il centro del campo e spendendo le proprie energie solo in due specifiche occasioni: 1) quattro uomini del Liverpool provavano a creare una gabbia intorno al terzino dello United una volta entrato in possesso della palla, largo in fascia vicino alla linea laterale; 2) quando i centrali di difesa dello United ricevevano un pallone difficile da controllare, veloce, con rimbalzi irregolari o rivolti verso la propria porta, il Liverpool aggrediva in blocco. Per il resto, come detto, la squadra di Klopp copriva il centro del campo.
Il blocco a protezione del centro del campo, operato con la discesa di Lallana dalla linea degli attaccanti a quella dei centrocampisti.
Sul lato destro dell’attacco il meccanismo difensivo del Liverpool ha prodotto i risultati attesi, mentre a sinistra lo United ha trovato uno sbocco più facilmente, dove la posizione larga di Martial ha agevolato il compito a Darmian, che ha trovato il compagno per 9 volte: una delle combinazioni di passaggio giocate più di frequente nel primo tempo.
Sul lato opposto Mkhitaryan ha preferito tenere una posizione stretta, nella speranza di ricevere il pallone tra le linee alle spalle di Henderson, un progetto difficile data la densità di uomini tenuta dal Liverpool centralmente. Così facendo, però, Valencia era in costante inferiorità numerica ed è stato costretto a girare spesso il pallone all’indietro.
Certo, ogni volta che Mkhitaryan riesce a giocare un pallone alle spalle del centrocampo la pericolosità della sua squadra si alza di molto.
Non c’è da stupirsi che entrambe le squadre abbiano prodotto occasioni importanti partendo da palloni recuperati, sorprendendo un avversario sbilanciato in avanti nel tentativo di costruire la propria proposta di gioco. Per lo United, ancora una volta, è stato fondamentale il lavoro sporco di Herrera, ma abbastanza sottolineato: per lo spagnolo a fine partita ha collezionato 5 tackle vinti su 7 e 4 palloni intercettati.
Il vantaggio per il Liverpool è arrivato in maniera piuttosto casuale: sugli sviluppi di un corner, Pogba ha perso il suo uomo a causa di un blocco; nel tentativo di recuperare la marcatura, si è frapposto tra Lovren ed il pallone tenendo le braccia alte e finendo per commettere un fallo da rigore (ed è subito meme).
Mou torna all’origine
Rotto così l’equilibrio della partita, a Mourinho è toccato l’onere della prima mossa. Anche perché, grazie alla sonora sconfitta subita dal City sul campo dell’Everton, una vittoria avrebbe dato allo United l’occasione di raggiungere i cugini al quinto posto. Così, confidando forse nell’animo da derby della Mersey di Wayne Rooney, Mourinho è tornato ad un assetto simile a quello di inizio stagione: fuori Carrick per passare dal 4-3-3 al 4-2-3-1, con il capitano alle spalle di Ibrahimovic.
Per quindici-venti minuti si è rivisto l’animus pugnandi del Manchester United di Sir Alex: l’atteggiamento richiesto ora ai terzini era radicalmente diverso, Valencia e Darmian hanno avuto licenza di spingere a piacimento, anche in contemporanea; di conseguenza, la posizione degli esterni d’attacco era molto più stretta, alla ricerca di una superiorità numerica in zona centrale che permettesse di sfondare in area di rigore.
Ma il Liverpool ha fatto un buon lavoro e pur rinchiusa a protezione dell’area di rigore con quasi tutti gli effettivi la squadra di Klopp è riuscita a costruire occasioni per far male allo United: nel secondo tempo, pur con l’impressione che si sia trattato di un assedio dei padroni di casa, si contano 13 conclusioni ad 8 a favore del Liverpool.
Klopp ci ha messo del suo con la sostituzione di Coutinho per Origi: il belga era ormai incapace di tenere su il pallone e tanto valeva utilizzare un uomo capace di far fluire la palla a terra partendo dal basso. Solo l’imprecisione sotto porta del generoso Wijnaldum, i cui inserimenti profondi erano difficili da leggere e seguire per Herrera e Pogba (Mou li ha invertiti più volte invano), hanno impedito al Liverpool di segnare il secondo gol.
A un certo punto Mourinho deve aver capito di poter recuperare la partita solo spostandola sullo scontro fisico, o per dirlo con altre parole buttandola sulla rissa (qui un esempio di “leadership by example”). La sostituzione di Darmian con Fellaini al settantacinquesimo ha ratificato il passaggio ad una nuova strategia: anziché ricercare una circolazione di palla veloce sulla trequarti prima dell’imbucata in area, conveniva alzare subito il pallone per i due pivot Ibrahimovic e Fellaini e andare a combattere sulle spizzate.
E proprio in una situazione caotica in area di rigore Zlatan ha trovato il pareggio, poco dopo il palo colpito dal belga (tralascerò il dettaglio dei quindici minuti finali in cui Mou ha schierato Mkhitaryan da terzino, perché è troppo doloroso).
Se Atene piange, Sparta non ride
Il Manchester United è tornato con i piedi per terra dopo un’invidiabile striscia positiva, la squadra di Mourinho è migliorata rispetto all’inizio di stagione, soprattutto nel modo di difendere, ma è lontana dall’aver risolto tutti i suoi problemi. Il suo modo di attaccare è scolastico e il limite tra successo e insuccesso dipende dalla vena dei giocatori migliori, ovvero Ibrahimovic e Pogba.
Pur in una partita con tanti errori (Pogba ha completato solo il 71% dei passaggi tentati), il francese è stato comunque il fulcro della manovra della sua squadra, le linee di passaggio “da” e “per” Pogba sono state le più battute. Al di là del gol, Ibrahimovic è stato a lungo fuori dal gioco, con soli 25 tocchi palla in 90 minuti (de Gea ne ha toccati 52, Rooney 35 in 45 minuti).
Per quello che può contare, Klopp è il vincitore morale della sfida dalle panchine: il suo Liverpool ha dei tratti estremamente riconoscibili, il suo calcio diretto e reattivo lo rende una minaccia soprattutto quando cede il pallino del gioco: da quando l’allenatore tedesco è in Premier League, il Liverpool non ha ancora perso un confronto diretto fuori casa.
Klopp è più avanti di Guardiola nell’operazione di decrittazione del calcio inglese perché è la natura del suo gioco ad essere più adatta e il compromesso richiesto allo spagnolo è probabilmente troppo grande (forse è troppo grande per essere accettato dallo stesso Guardiola). Pep ricerca il controllo, che molto spesso in Inghilterra è impossibile da avere per un’intensità che diventa spesso confusione, e che sembra parte integrante di quella cultura di cui si è lamentato qualche settimana fa, dove il pallone è in aria più tempo di quanto stia sull’erba. Il Liverpool di Klopp si nutre proprio delle fasi di transizione, cerca l’oro nella “spazzatura”, nelle situazioni di gioco nelle quali non è chiaro chi sia in possesso.
Per i valori mostrati sul campo, la classifica attuale della Premier League potrebbe avvicinarsi di molto a quella finale e insieme alle gerarchie tra le squadre si sta probabilmente delineando un nuovo ordine tra i migliori allenatori del mondo. Tutto scorre e l’universo, si sa, non è mai lo stesso del giorno prima. Nessuna stella brilla per sempre con la stessa energia.