Bagno di Romagna è un paesino sull’E45. Nella frazione di Acquapartita c’è la sede del ritiro estivo del Cesena, che si distingue per la presenza di un laghetto di pesca sportiva, un verde abbacinante e un casermone abbandonato su cui qualcuno ha scritto a caratteri ciclopici “Cesena”.
È la prima volta che la Nazionale Under 16 si riunisce qui (anche se da qualche tempo la Figc ha cominciato a mandarci in ritiro, col beneplacito della società cesenate, anche l’Under 20 maschile e l’Under 19 femminile). Ed è la prima volta che una donna prende parte agli allenamenti come membro dello staff tecnico federale.
Stiamo parlando di Patrizia Panico, nata a Roma l’8 febbraio 1975 che ha vinto quattordici volte il titolo di capocannoniere in Italia. È stata attaccante di Lazio, Torino, Modena, Milan, Bardolino e Agsm (Verona), Torres e Fiorentina, con un’esperienza anche agli Sky Blue negli Usa, segnando in carriera 664 reti, di cui 31 in 44 partite nelle competizioni Uefa. Sono invece 110 i gol collezionati con la Nazionale in 204 presenze, che la collocano al primo posto nella classifica delle marcatrici e in quella delle presenze in azzurro. Ha vinto dieci scudetti, cinque Coppe Italia e otto Supercoppe italiane. Nessuna come lei prima: i record della leggenda Carolina Morace, polverizzati anche quelli.
Intelligente e di carattere, con un accento romano divertito, Panico è un personaggio non banale in un mondo del calcio sempre ossessionato dalla conservazione delle apparenze. Ci siamo incontrati il 24 Agosto, seconda giornata del ritiro Under 16 abbiamo parlato della sua carriera sul campo (terminata agli inizi di agosto ) e di quella appena iniziata a bordo campo, di politica sportiva e di calcio femminile.
- Una carriera leggendaria e il ricordo degli ultimi Mondiali disputati in Italia
Dopo un’estate tormentata, alla fine hai sciolto i tuoi dubbi e lasciato il calcio giocato. È stata una scelta sofferta?
E non ti manca il calcio giocato? Nemmeno ora che la stagione è ripartita?
Tecnica individuale, tiro preciso e potente, senso della posizione. Panico in sintesi (e ovviamente ci son più immagini di lei dal Giappone che nei media italiani)
Sulla tua pagina Facebook il 14 luglio hai scritto, riferendoti all’allenatore Sauro Fattori, «Lui è stato delegato di troppe cose se non di tutto». Cos’è che non funzionava? Scelte tattiche, la gestione? Te lo chiedo per cercare di sciogliere un nodo che ha animato molte discussioni tra chi segue il calcio femminile.
Ma figurati, lui è l’allenatore, io non contesto mai queste cose. Secondo me la cosa più bella è la trasparenza. E non c’è stata molta trasparenza.
A te nel progetto della Fiorentina Women’s sarebbe piaciuto avere un ruolo diverso?
A inizio anno c’era un progetto serio e continuativo. Da parte mia e di tantissime ragazze. E invece a fine anno sono state mandate via quelle che contestavano l’allenatore. Ma contestavano non a parole, fuori; contestavano andando da lui, chiedendo spiegazioni sul perché non si lavorava adeguatamente pur allenandosi tutti i giorni.
Fino a poco fa eri l’ultima calciatrice in attività ad aver preso parte ai Mondiali del 1999, l’ultima edizione a cui l’Italia abbia partecipato, e segnasti due reti, una con la Germania e una con il Messico.
Sì, poi con il Brasile, sempre nel girone, ma me l’hanno annullata per un fuorigioco della mia compagna. Si sono un po’ sbagliati lì, vabbè.
Mi racconti la rete annullata?
Che poi senza quel gol, e con il rigore…
Passavamo.
Le due reti valide, invece, te le ricordi?
E invece con il Messico?
Forse ho fatto un sombrero dentro l’area di rigore. Sì, ho fatto un sombrero dentro l’area di rigore a una, poi di destro a incrociare.
In generale come la ricordi quella manifestazione?
Fantastica. Era la prima – la prima e ultima competizione Fifa per noi – ma avevo il termine di paragone con la Uefa. A livello di organizzazione gli Stati Uniti erano già molto avanti, anche se come arbitraggi credo che la Uefa sia meglio. Però ovviamente bello, contro il Brasile ripeto c’erano 60.000 spettatori, una catena di fotografi impressionante. Ce ne saranno stati 50.
E questo quindi ha influito sull’approccio…
Invece gli Stati Uniti quel Mondiale lo vinsero.
Sì, con Brandi Chastain.
Fu il loro secondo Mondiale e da lì nacque il mito della generazione delle ’99ers. Voi non ci avete giocato contro in quell’occasione, ma le hai viste in campo. Cosa ricordi di loro?
Mi ricordo Mia Hamm. Noi ci avevamo già giocato, forse l’anno prima. Era una Nazionale inarrivabile, per noi poi. Le vedevi, avevano una velocità di circolazione palla superiore a tutti; la forza dei passaggi era tre volte la nostra. I nostri passaggi erano tutti intercettabili, sui loro non ci arrivavi mai. Cioè troppo più forti. Poi Mia Hamm era un mostro.
Più forti fisicamente, ma sul piano tattico invece?
Neanche me le ricordo tatticamente. Un conto è quando le vedi in televisione e hai una valutazione diversa. Ma dal vivo vedi solo che vanno al triplo di te.
Dovessi fare un paragone tra loro, generazione del ’99 vincitrice del Mondiale in casa, e quella del 2015, quale ti piace di più?
Forse quella del 2015 era più completa. Aveva meno individualità rispetto a quella del ’99 ma più strutturata da un punto di vista di caratteristiche delle giocatrici: la torre davanti con Abby Wambach, Alex Morgan velocissima, Rapinoe sull’esterno che ti salta l’uomo e ti crea superiorità numerica. E poi Hope Solo, altro che Briana Scurry.
Panico – 110 gol e 204 presenze in Nazionale – durante i Mondiali del 99.
- Le politiche di promozione nel calcio italiano
Quello che è cambiato da allora, sul piano della politica sportiva negli Stati Uniti, è il finanziamento pubblico sempre maggiore all’attività sportiva femminile. La generazione del ’99 fu la prima a raccogliere i frutti del famoso Title IX e oggi, per quanto sconfitte a Rio, la loro tradizione continua. E la realtà italiana?
In Italia, dagli anni Novanta a oggi, non credo ci siano sostanziali differenze. Però devi viaggiare su due canali diversi, club e Nazionali. Dal punto di vista delle Nazionali, c’è stata un’enorme crescita: adesso ne hai cinque, all’epoca ne avevi due, la maggiore e l’Under 19. Quindi da un punto di vista di investimenti l’Italia ha avuto un incremento assurdo. Per i club si è rimasti a com’era allora: con la passione di un presidente che fatica a reperire risorse economiche. E anche fisiche.
Dovendo individuare responsabilità: è più una questione di politiche generali del Governo, del Coni, della Federazione o della Lega?
Secondo me non possiamo prendere come modello il riferimento americano, perché già soltanto con i college nascerebbe viziato. Perché nelle università italiane, ma già nei licei, se fai sport sei penalizzato con le assenze. Secondo me il punto è che alle società, ai club femminili mancano dei prerequisiti. È lasciato tutto al dilettantismo. Invece ci deve essere una regolamentazione tale da responsabilizzare il club. È chiaro che più stringi le regole più determinati club non possono starci dentro. Ma se vogliamo professionalizzare i club femminili purtroppo si deve perdere anche qualcosa per strada. Per quello dico che la via più breve è affiliarsi ai club maschili già esistenti.
Che è poi la linea promossa dalla Federazione e seguita dalla Fiorentina
Esatto, perché sei incanalato in una struttura già professionale.
E l’investimento è sempre un privato che deve decidere di farlo…
Bisogna che ci siano degli incentivi. Tipo, se vuoi partecipare alle coppe europee devi avere anche il settore femminile. E secondo me in questo è la Uefa che deve spingere.
Patrizia alla celebrazione della Hall of Fame del calcio italiano, nel 2015.