Classici: Juventus-Real Madrid 1998
Ci siamo riguardati lo storico precedente della finale di Champions League che si giocherà tra pochi giorni.
I rimedi di Lippi
L’impressione è che più passano i minuti e più gli spazi inizialmente presenti tra i reparti del Real vengono meno. La scelta dei “Blancos” di lanciare lungo dà più fastidio del previsto alla Juventus, che recupera sì palla facilmente, ma molto meno in alto di quanto sia abituata a fare e non può correre abbastanza una volta fatto. La soluzione pensata da Lippi è l’ingresso in campo di Tacchinardi per Di Livio e il passaggio alla difesa a quattro con l’arretramento di Pessotto.
Lippi decide quindi di andare a specchio contro il Real Madrid: perde profondità sugli esterni ma toglie agli avversari i lanci facili sull’esterno (lì ora ci sono i terzini). Tacchinardi aumenta la varietà di palloni da far arrivare davanti e permette di non perdere la supremazia fisica centrale. La duttilità tattica è una delle caratteristiche principali della Juventus di Lippi, e lo si nota dalla semplicità con cui si adegua a un cambio di sistema tanto radicale nel corso di una partita tanto importante.
Lo sviluppo del secondo tempo è in linea con il primo per numero di occasioni create, ma le due squadre a specchio, invece di bloccare la situazione la aprono un po’. Il Real è disposto ora a giocare palla a terra e la partita assume finalmente connotati più piacevoli, pur rimanendo priva del talento di Del Piero, ormai cancellato dalla gara. Lippi alla lunga però trova i frutti della sua mossa: la Juventus assume il controllo tattico della gara riassestando le distanze a centrocampo riuscendo quindi a recuperare palla subito e ovviando all’assenza di Del Piero coinvolgendo di più Inzaghi, ora libero di svariare non avendo esterni a dargli fastidio sulle fasce. Inzaghi riesce a tirare in porta due volte consecutive, raddoppiando rapidamente il numero delle conclusioni in porta della Juventus di tutto il primo tempo.
Anche lui però non sembra veramente in giornata. Sbaglia anche l’occasione più da Inzaghi di tutta la partita sprecando una palla che rimpallato gli finisce tra le grinfie libero in area.
Il gol di Mijatovic
Quello che però si aspettava da tanto, l’episodio in grado di cambiare le sorti dell’incontro non arriva come l’inerzia sembra poter portare a favore della Juventus. A metà del secondo tempo, con le due squadre che giocano a viso aperto, la Juventus che sembra costruire piano piano i presupposti per il suo vantaggio. Però ecco che Mijatovic tira fuori dal cilindro il gol decisivo, quello per cui ancora oggi viene fermato per strada a Madrid.
Da un cross sul secondo palo deviato arriva il tiro al volo con poche velleità di Roberto Carlos viene però deviato involontariamente da Iuliano in scivolata, che semplicemente lo aggiusta la ricezione per Mijatovic che al limite dell’area piccola raccoglie e segna con eleganza.
La posizione di fuorigioco di Mijatovic è quanto ci si ricorda ancora oggi della partita. Questo gol è l’unica vera istantanea che abbiamo in testa, ed è un peccato perché parliamo di un giocatore di assoluto livello, arrivato addirittura secondo dietro a Ronaldo per il Pallone d’Oro della stagione precedente. Capire se sia regolare o meno è impossibile. L’inquadratura stretta delle telecamere dell’epoca non permette di capire se al momento del tiro Pessotto, rimasto indietro dal cross di Panucci, sia dietro la linea tenendo in campo il montenegrino.
Ancora oggi i tifosi della Juventus giurano sia chiara la posizione di fuorigioco e quelli del Madrid invece come sia chiara la posizione arretrata di Pessotto al momento del tiro. Nell’anno del rigore negato a Ronaldo, la Juventus è ancora al centro di un episodio controverso, solo dalla parte di chi pensa di aver subito un torto.
Quello che colpisce dei minuti successivi al gol è che la risposta della Juve non è nervosa, ma immediata (con un tiro di prima di Inzaghi che finisce fuori di pochissimo) e razionale. La Juventus è cosciente di essere una squadra in nulla inferiore al Madrid e ricomincia semplicemente da dove aveva lasciato. Mancano però poco meno di venti minuti e Lippi non vuole assolutamente arrivare agli ultimi minuti per trovare il pareggio. L’entrata di Fonseca per Pessotto va proprio in questa direzione. La Juventus torna con la difesa a 3 inserendo Fonseca accanto a Del Piero e Inzaghi.
Il centrocampo non è esattamente quello adatto a reggere una squadra che vuole attaccare, avendo Davids e Deschamps parcheggiati sulle fasce e uno Zidane molto lontano dall’area, ma Lippi non vuole stravolgere subito il sistema e non ha comunque tante altre possibilità dalla panchina.
Il messaggio che però passa ai giocatori è proprio quello che serve un gol assolutamente, cosa che affretta la manovra della Juventus già afflitta dal problema di trovare l’uomo in area. L’occasione che Davids si crea da solo dal nulla è l’unica che porta ad un tiro nello specchio.
Diventare anche più verticali per la voglia di arrivare davanti il prima possibile non aiuta la situazione.
Il Real Madrid è bravo ad approfittarne: dà spago alla foga della Juventus e assesta il possesso invece di affondare. Qualsiasi cosa arrivi in area c’è sempre Hierro a fermarla e ricominciare l’azione. La dinamica della partita sembra prendere una brutta piega, Lippi inserisce Conte (unico centrocampista rimasto in panchina) al posto di Deschamps.
C’è poco da poter cambiare tatticamente e la strategia è ormai in mano ai giocatori, la palla se non passa per Zidane arriva troppo presto e senza molto senso in area. Praticamente al Real Madrid basta non perdere la calma per portare a casa la coppa negli ultimi minuti di forcing inconcludente della Juventus.
La fine di un ciclo
Una finale che aveva tutto per rappresentare l’apogeo del dominante ciclo di Lippi ne segna invece la fine. Sembra quasi un segno del destino che anche il ginocchio di Del Piero faccia crack nel novembre del 1998, lui non sarà più lo stesso e Lippi durerà solo qualche mese in più. La Juve non è più la stessa, il ciclo sembra veramente essersi esaurito dopo Amsterdam: Lippi non ha più il controllo della sua rosa, non ha la voglia o la forza di provare una rivoluzione a metà anno per aprirne uno nuovo, e nel febbraio del 1999 dà le dimissioni dopo un clamoroso 2-4 interno contro il Parma.
La Juventus di Carlo Ancelotti, dopo un periodo di assestamento in campionato, rimarrà una delle squadre più forti d’Europa, ma perderà l’aura di dominio avuta sotto Lippi. Con quella che era una squadra in grado di andare ben oltre l’immaginario di grande in Italia, in grado di ispirare perfino il Alex Ferguson nella costruzione del suo Manchester United poi campione d’Europa battendo in semifinale proprio la Juventus di Ancelotti. «La Juventus ha rappresentato un modello per il mio Manchester United quando negli anni ’90 dominava in Europa. La vittoria al Delle Alpi nella semifinale di UEFA Champions League è stata la dimostrazione della nostra crescita».
Con un simile dominio una sola coppa può essere considerata un bottino magro, ma così va il calcio degli scontri diretti.
Per il Real Madrid invece non ci sarà nessuna inversione di tendenza. Certo rialzare la coppa 32 anni dopo l’ultima rende giustizia alla sua storia e toglie quel peso che per anni aveva ossessionato la squadra, ma il Real Madrid campione non è ancora realmente pronto ad aprire un ciclo vincente. È una squadra ancora in costruzione e lo stesso Heynckes lascia subito dopo la vittoria, ritenendosi incapace di fare di meglio con questo gruppo.
Ci vorrà Florentino Perez come presidente due anni dopo e la sua scelta di inaugurare l’era dei Galattici da affidare alla leggende Del Bosque per aprire il ciclo che risvegliasse realmente il gigante facendolo tornare ai fasti di un tempo. L’anello di congiunzione tra la Juventus di Lippi e il Real Madrid di Del Bosque è la presenza in campo di Zinedine Zidane.