Chi ha vinto il 2016?
Arrivati alla fine, chi è stato il migliore dell’anno sportivo?
- Alexis Sanchez
Se non giocasse nell’Arsenal l’anno di Alexis Sanchez sarebbe stato perfetto. In estate ha portato il Cile a vincere la seconda Copa América consecutiva, stabilendo un regno che ha definitivamente rotto il duopolio di Argentina e Brasile. Sanchez ha vinto il premio di miglior giocatore del torneo ed è risultato decisivo in tutte le sfide ad eliminazione diretta fino alla finale contro l’Argentina. Quello che stiamo ammirando in questa prima parte di stagione è un giocatore arrivato alla maturazione definitiva: spostato punta da Wenger si è preso la leadership della squadra, diventando il perno della manovra offensiva. Nelle prime 28 presenze stagionali ha già messo insieme 15 gol e 9 assist ed è ormai nel club dei giocatori che da soli spostano gli equilibri delle partite. Neanche questo però al momento sembra sufficiente per portare un titolo all’Arsenal.
- Sergio Ramos e i suoi gol al 90’
Su Viale Palmiro Togliatti, a Roma, c’è una scritta su un muro che recita: “Sei bella come un gol al novantesimo”.
Di gol al novantesimo Sergio Ramos in carriera ne ha segnati ben sette (pensate anche solo per un attimo cosa può rappresentare Ramos per i tifosi del Real). Ma il 2016 ha dato una nuova dimensione della decisività di Sergio Ramos con i gol all’ultimo minuto in finali o partite decisive. Ecco i gol segnati da Sergio Ramos in questo modo solo quest’anno:
- 9 agosto, finale di Supercoppa Europea: pareggio per 2-2 al 93esimo (il Real vincerà 3-2 ai tempi supplementari).
- 3 dicembre, Clasico al Camp Nou: pareggio per 1-1 al 90esimo (salverà la striscia di 33 risultati utili consecutivi per il Real, un record).
- 10 dicembre, contro il Deportivo La Coruña al Bernabeu: vittoria per 3-2 al 92esimo (il 35esimo, un altro record).
Sergio Ramos in carriera, tra Spagna, Siviglia e Real Madrid, ha segnato in tutto 76 gol. Sì, avete letto bene: 76 gol per un difensore centrale corrispondono a circa 350 per un attaccante, calcolando anche che nella stragrande maggioranza dei casi il centrale ha solo le palle inattive come possibilità per segnare. Se ciò non bastasse, secondo Transfermarkt, 18 di questi 76 gol sono stati gol-vittoria.
Sergio Ramos è un fattore da considerare separatamente. Pesante quanto un gol decisivo al novantesimo.
(DS)
- Il Siviglia
Nel 2016 il Siviglia è diventata una delle squadre più iconiche d’Europa. Le partite in casa sono uno degli spettacoli più riconoscibili del calcio e la squadra è diventata un laboratorio tattico zeppo di giocatori unici pescati da tutta Europa. Ecco 5 fattori che hanno reso incredibile il 2016 del Siviglia:
– Ha vinto per la terza volta consecutiva l’Europa League, l’ha fatto in modo perentorio e scrivendo per sempre il suo nome nella competizione grazie ad un record ora quasi impossibile da battere.
– Ha sostituito uno dei migliori allenatori di Spagna (Unai Emery) con il miglior allenatore del Sudamerica (Jorge Sampaoli) e il miglior secondo di Spagna (Juanma Lillo), per creare un tandem in grado di dare un gioco eccitante quando vuole e tremendamente pragmatico in altre occasioni, capace di guardare all’occhio e ai risultati.
– Ha imbastito la sessione di mercato più eccitante dell’anno (“El Mudo” Vazquez, Nasri, Sarabia, Kiyotake, Kranevitter, Vietto, Ben Yadder, Correa e Ganso) pur dovendo subire le cessioni dei migliori centrocampisti (Krychowiak e Banega) e del miglior attaccante in rosa (Gameiro).
– È diventata la terza forza in Liga e la più credibile outsider per il titolo.
– Si è qualificata per la prima volta agli ottavi in Champions League pescando una rivale abbordabile come il Leicester.
In un periodo storico in cui è sempre più difficile entrare nell’élite se non si hanno petrodollari alle spalle, il Siviglia ci è riuscito e con ottimi risultati, in un anno che passerà alla storia del club andaluso.
(DVM)
- Wayde Van Niekerk
Detiene il record mondiale, è campione iridato e olimpionico sui 400 metri. A Rio ha spazzato via col suo 43’’03 un certo Michael Johnson che era il detentore del vecchio limite mondiale (43’’18) dai Mondiali di Siviglia 1999. Inoltre Wayde Van Niekerk, sudafricano di Cape Town, è il primo uomo nella storia dell’atletica ad aver corso i 100 metri in meno di 10’’, i 200 in meno di 20’’ e i 400 in meno di 44’’. Non male per un ragazzo di 24 anni che si fa allenare dalla nonna (più o meno).
L’unico errore di WVN è stato correre nella stessa sera della finale dei 100 metri.
Partiva con i favori del pronostico nella notte di Rio, perché campione del mondo in carica e perché aveva fin lì disputato una stagione in crescendo, e per questo Wayde ha voluto stupire tutti con il record, per di più corso in prima corsia. Proprio la sua tecnica così naturale, al contrario del passo impettito di MJ replicato senza la stessa fruttuosità dal grande sconfitto LaShawn Merritt, e quel fisico longilineo possono segnare un’epoca nuova nella corsa veloce. Van Niekerk è la dimostrazione che si può correre veloce senza avere pettorali espansi e glutei da bovini.
La IAAF avrà bisogno di trovarsi una nuova faccia fra dodici mesi quando il re Usain non ci sarà più. il nuovo sovrano è già pronto a salire sul trono.
(GC)
- La difesa a tre
Il 2016 sarà anche ricordato come l’anno che ha sdoganato definitivamente la difesa a tre a livello europeo. Non tanto perché prima non venisse utilizzata, quanto perché hanno iniziato ad adottarla anche grandi squadre dai principi di gioco proattivi, come il Borussia Dortmund di Tuchel, il City di Guardiola, il Tottenham di Pochettino, il Barcellona di Luis Enrique, e ovviamente il Chelsea di Antonio Conte.
Questo tipo di rivoluzione, se così possiamo chiamarla, non poteva che venire da un allenatore italiano proveniente dalla Serie A, dove la difesa a tre viene utilizzata anche da squadre proattive da anni, grazie soprattutto al lavoro di Gasperini e dello stesso Conte prima, e di Sousa e Juric poi.
Con l’affermazione del 3-4-3 di Conte al Chelsea nel campionato più seguito al mondo, la difesa a tre ha smesso definitivamente di essere considerata un’impostazione puramente difensiva, utilizzata per difendere lo spazio a ridosso della porta (come spesso ha fatto la Juve di Allegri in Champions League), ed ha iniziato ad essere pensata anche come un modo per controllare il pallone, soprattutto attraverso il consolidamento del possesso basso attraverso i centrali di difesa.
Se Conte dovesse vincere la Premier League, poi, la vittoria della difesa a 3 sarebbe completa. Ma questo lo sapremo solo col 2017.
- Juan Martin Del Potro
A febbraio 2016 Juan Martin Del Potro scende in campo al torneo di Delray Beach contro Martin Kudla. Non gioca a tennis da due anni ed è numero 1043 della classifica ATP. È l’inizio della sua quinta carriera: una per ognuna delle quattro operazioni subite al polso. Lo scetticismo che lo circonda è anche ciò che rende, a posteriori, Del Potro uno degli assoluti vincitori di questo 2016. Oltre che una grande storia di natale.
Non solo per la sua mostruosa risalita di classifica (ora è numero 38), non solo per l’argento alle Olimpiadi e la Coppa Davis. Ma anche per un tipo di energia emotiva di cui il tennis sentiva la mancanza. In un universo che ha imparato ad amare il distacco imperturbabile di Federer come l’autismo compulsivo di Nadal, un giocatore che gioca autenticamente per il pubblico come Del Potro ci aveva messo pochissimo ad entrare nel cuore di tutti. È stato come portare un tacchino ripieno a una mensa di affamati. Riguardate il matchpoint della finale di Coppa Davis: il carisma naturale che emana mentre esulta, Maradona in tribuna con gli occhi spiritati, gli argentini impazziti.
In un certo senso Del Potro somiglia a un martire che, come ha scritto Fabio Severo in un vecchio pezzo, ha disintegrato il suo corpo pur di mostrare al pubblico un modo inedito di giocare a tennis. Un’estremizzazione del “power tennis” così esasperata, così oltre sé stesso, da aver preso quasi una consistenza astratta. Il nuovo Del Potro ha leggermente modificato i propri movimenti, riducendo, per quanto possibile, la propria stravaganza tecnica. Ma non sarà mai un giocatore come gli altri: il suo ritorno è stato senz’altro la narrazione più emotiva dell’anno in uno sport spesso fin troppo avaro di emotività.
(EA)
- Gareth Bale
«Il periodo calcistico che stiamo vivendo è così inedito, tra valutazioni di calciatori che non hanno più niente a che fare con un ipotetico valore assoluto (e a volte si fatica a trovare un senso anche a quello di mercato), calciatori con statistiche mostruose su base pluriennale e fenomeni magari alktrettanto eccezionali ma solo per una stagione, o per qualche partita all’interno di una stagione, e altrettanti fenomeni che non riescono ad esprimersi con una costanza tale da farli emergere dalla moltitudine di ottimi giocatori, che anche se fa un effetto strano scriverlo ho l’impressione che Gareth Bale sia sottovalutato».
Ho scritto questo a maggio, quando al Real Madrid è mancato Cristiano Ronaldo per due giornate e Gareth Bale si è rivelato per quello che effettivamente è: un calciatore completo, associativo, con alcuni strappi superomistici che gli permettono anche di essere decisivo. Ma che, insomma, non vive per essere decisivo sempre.
Ma il 2016 di Gareth Bale è soprattutto nell’Europeo, in cui ha portato il Galles a una storica semifinale (lasciando la sensazione, come registrato dal radar di Daniele Morrone, di poter arrivare persino più lontano). Certo non è stato solo Bale, ma soprattutto perché Bale non è un solista. Ha una splendida voce, suona bene la chitarra e il pubblico comprerebbe i suoi album, ma Bale preferisce dedicarsi al lavoro col gruppo. Durante l’Europeo si è vista la versione finalmente piena, straripante (pur con un’assistenza di minore qualità) di quel giocatore che era venuto fuori a maggio.
Sempre a maggio scrivevo che sarebbe assurdo confrontare Bale a Ronaldo, più assurdo di quanto non sia confrontare Cristiano e Messi (che comunque è assurdo; e infatti ormai il discorso “è meglio Messi o Ronaldo” si sta riducendo al conteggio dei gol stagionali o i trofei vinti), ma devo ammettere che è ironico che quello stesso Europeo che ci farebbe guardare Bale con occhi totalmente diversi se in finale ci fosse arrivato il Belgio, lo abbia vinto proprio Cristiano Ronaldo, e che sia stato proprio lui con un colpo di testa su calcio d’angolo a decidere la semifinale tra Portogallo e Galles. Forse è ancora più ironico il secondo gol portoghese di quella partita: un tiro sbagliato di Cristiano che si trasforma in assist per Nani… e insomma, voglio dire, qualcuno invece ricorda che la punizione di Toni Kroos che ha portato al gol di Sergio Ramos in finale di Champions League è stata prolungata da Gareth Bale di testa? Ecco, appunto.
Se la Storia si scrivesse nei commenti di Facebook, il 2016 non potrebbe essere anche l’anno di Gareth Bale, perché è prima di tutto l’anno di Cristiano Ronaldo. Adesso si deve riprendere da un grave infortunio e il 2017 inizierà in salita; qualcosa però mi dice che la sera del 31, quando penserà all’anno appena passato, Bale lo farà ricordando una delle sue migliori stagioni in assoluto.
(DM)
- Katie Ledecky
Cosa vuol dire andare ad una Olimpiade a 19 anni per difendere un titolo? Chiedetelo a Katie Ledecky, l’essere umano più vicino al mondo marino che si sia visto dai tempi di Michael Phelps. Lei vi risponderà che si possono vincere quattro titoli, di cui tre individuali su 200, 400 e 800 stile libero, stabilendo pure due record mondiali (400 e 800), nonché quello di donna più decorata di Team USA ai Giochi. Il tutto senza eccessive pressioni, questioni di fidanzati, lezioni di alta moda e compagnia. Ma semplicemente sorridendo e nuotando.
E dire che la sua Olimpiade si era aperta con la mezza delusione dell’argento nella staffetta 4×100, se delusione si può chiamare l’aver portato da sola ad un soffio dal trionfo una squadra non stratosferica, stabilendo per di più il record nazionale sulla distanza. Dopo ci sono stati solo trionfi per Katie del Maryland, antidiva per eccellenza, che è stata seconda soltanto al Cannibale di Baltimora in quanto a medaglie portate a casa.
Lo stile libero ha un nome e un cognome.
Quella nella 4×100 (distanza non sua, vale la pena di ricordarlo) è stata la prima sconfitta di Ledecky in una finale di valore mondiale. Una carriera ancora relativamente breve ma lastricata d’oro, infatti dopo Rio siamo a diciannove titoli vinti in palmares. A pensarci un record pazzesco, ma non per lei che nei record praticamente ci è nata. Infatti quando si presentò a Londra era la più giovane atleta di sempre a stelle e strisce a presentarsi ai Giochi. Per non farsi mancare nulla vinse la gara degli 800 metri facendo segnare il record nazionale che apparteneva a Janet Evans dal 1989.
(GC)
- Steph Curry
Devo dire che per un breve ma significativo attimo ho avuto la tentazione di inserire Steph Curry tra i flop della stagione. Non perché sia un hater (anzi, tutt’altro), ma per il modo in cui la sconfitta dei suoi Golden State Warriors ha cambiato la percezione attorno al suo personaggio. Da quando Curry ha perso, si è levato un coro di “Ahhh, ma io lo sapevo che LeBron era più forte!” di cui sinceramente non si capisce il senso (cos’è, non possono esistere due giocatori fortissimi contemporaneamente?), ma che per qualche motivo ha trovato un certo qual seguito tra quelli che seguono la NBA. Poi mi sono reso conto da solo che il risultato finale di quella partita — anzi, di quel minuto di gioco, perché le due squadre erano sul 689 pari nella totalità della serie a 60 secondi dalla fine di gara-7 — non può e non deve far dimenticare tutti i momenti memorabili che Curry ci ha regalato nel 2016, dall’incredibile cavalcata che sono state le 73 vittorie degli Warriors lo scorso anno fino alle 402 triple in una singola stagione, tra cui spicca quella totalmente insensata con cui ha deciso la partita a Oklahoma City. Si potrebbe aggiungere il fatto che ha chiuso la scorsa entrando nel club del 50+40+90, o la serata del record di triple in singola partita, o il titolo di MVP della regular season (il secondo) vinto all’unanimità, come non era mai successo nella storia della lega. Si potrebbe aggiungere, soprattutto, il suo essere diventato personaggio globale e l’aver trasceso i limiti della pallacanestro. Ecco, forse è questo ciò che rende Curry uno dei top del 2016: l’essere diventato bigger than basketball, un volto che il vostro amico vagamente appassionato di sport può riconoscerlo dopo averlo visto così tanto sulla sua bacheca di Facebook. È il primo passo per diventare veramente dei Grandi dello sport.
(DV)
- Antonio Conte
Il 2016 di Antonio Conte era iniziato male: la Lega aveva rifiutato la disponibilità per uno stage in vista degli Europei; i giornali inglesi rivelavano il suo approdo al Chelsea dopo gli Europei e nel frattempo si facevano nomi di tutti i tipi (tipo Mancini, ma persino Cannavaro e Del Piero) come successori sulla panchina azzurra. La sua Nazionale si è riunita per la prima partita dell’anno solo a fine marzo, a più di quattro mesi dall’ultima occasione: un pareggio con la Spagna, seguito da una disastrosa sconfitta a Monaco contro la Germania.
L’Italia è arrivata agli Europei circondata da negatività, con le solite accuse di aver trascurato alcuni giocatori dalle convocazioni, e insomma erano in pochi a sostenere che Conte fosse davvero un grandissimo allenatore, nonostante il suo lavoro sia nella Juve che nella Nazionale fosse già estremamente eloquente (al di là dei successi). Poi quando gli Europei sono davvero iniziati, il 2016 di Conte ha preso una piega esaltante e bizzarra: il successo nella prima partita contro il Belgio, tra i favoriti per la vittoria finale, ha lanciato gli azzurri verso un torneo di grande livello.
Accusato dal povero CT belga Wilmots di praticare il catenaccio, dopo la vittoria negli ottavi contro i campioni in carica della Spagna è parso evidente a tutti che la Nazionale giocava un calcio moderno e proattivo. Nonostante i limiti tecnici del gruppo, il cammino della Nazionale di Conte si è interrotto solo ai rigori contro la Germania: e la caratteristica dell’Italia è stata quella di saper sempre imporre il contesto di gioco all’avversario.
Il suo passaggio al Chelsea, in un ambiente calcistico così diverso, era atteso da molti come un’ennesima prova di valore: lo aspettavano già al varco. Ma forse per l’animo battagliero che lo caratterizzava anche da giocatore, Conte in queste situazioni ci sguazza: dopo le sconfitte contro Liverpool e Arsenal, già si parlava di “naufragio”. Invece, proprio dopo il 3-0 subito da Wenger, Conte ha gettato le basi per la sua ennesima risalita. Con il passaggio alla difesa a tre e soprattutto la ridefinizione di alcuni giocatori in ruoli specifici (tipo la valorizzazione di David Luiz), il Chelsea ha ottenuto 11 vittorie consecutive ed è la capolista in fuga della Premier League. Un anno che ci riassume il paradosso della vita da allenatore: nel 2016 Conte non ha vinto titoli, ma ha conquistato tifosi e critica.
(AG)