- L’Atlético Madrid
Più che di flop stagionale dovremmo parlare di incubo. Perdere il secondo derby in finale di Champions League, e trasformare la possibilità di una rivincita storica, che avrebbe addolcito persino il ricordo della prima finale persa, nel contrario esatto. Perdere subendo gol che era qualcosa di più di una madeleine, ancora Sergio Ramos di testa, sbagliando un rigore prima di pareggiare a pochi minuti dal termine, e poi, proprio quando sarebbe il momento per la fortuna di pareggiare i conti pari per ripagare il dolore passato, no: altro dolore. Dal punto di vista dei tifosi il 2016 dell’Atlético Madrid (3° in campionato a 3 punti dal Barcellona) anche se non privo di soddisfazioni sarà purtroppo ricordato, soprattutto, come l’anno della seconda finale di Champions League persa contro il Real Madrid. Quella che ha tolto senso alla parola rivincita e che ha trasformato un evento sportivamente tanto drammatico quanto eccezionale in una strana abitudine.
(DM)
- Oscar
Se il calcio trovasse la sua realizzazione nella ricerca del miglior contratto possibile, potremmo di certo mettere Oscar tra i top del 2016. Il suo passaggio allo Shangai SIPG gli frutterà quella che, in mancanza di numeri chiari, deve essere letteralmente una tonnellata di soldi. Questa scelta invece è proprio quella che lo mette tra i flop del 2016: l’idea che a soli 25 anni abbia rinunciato a trovare il suo spazio all’interno del calcio europeo è deprimente non solo per lui, ma anche per tutto il movimento.
Nel 2016 Oscar ha perso il posto nella selezione brasiliana, ha iniziato ad essere messo in discussione da Hiddink, ha litigato con Diego Costa e infine si è ritrovato ai margini del progetto tecnico di Conte. Tutti eventi spiacevoli, ma non irrimediabili. Le sue qualità non si scontrano con quelle richieste dal calcio europeo, anzi, Oscar aveva tutte le carte in regola per essere importante in qualunque club di livello, e anche se nel 3-4-3 di Conte non trova collocazione, l’idea di rinunciare così è semplicemente stupida. Come ha detto lo stesso allenatore del Chelsea riferendosi ad Oscar, «Credo che la cosa più importante per noi deve essere la passione. Va bene? La passione per il calcio. Se non ce l’hai, non va bene. Non va bene». Il 2016 è l’anno in cui abbiamo scoperto che Oscar questa passione non ce l’ha.
(MDO)
- Fabio Aru
Il ciclismo è uno sport che vive di tempi lunghi per questo non è mai facile prevedere la crescita di un corridore, come avviene in altre discipline. Detto questo erano in molti a guardare al 2016 come l’anno della definitiva consacrazione di Fabio Aru, liberatosi dalle catene del gregariato, ma così non è stato. Dopo due giri d’Italia da podio e una vittoria alla Vuelta, il 2016 del sardo era tutto incentrato sul Tour de France coi gradi di capitano dell’Astana.
Investito di grandi responsabilità Aru ha fornito una prova anonima, mostrandosi ancora carente nei suoi punti deboli e mai in grado di fare la differenza in salita, quello che dovrebbe essere il suo più grande pregio. Forse Aru ha sofferto l’idea di essere uno dei favoriti nella corsa a tappe più competitiva del mondo, messo a confronto con corridori che hanno una maggiore esperienza di lui e che probabilmente oggi sono anche più forti. La crisi dell’ultima tappa gli ha tolto anche la consolazione di un sesto posto, con la speranza che in futuro non possa mai essere una consolazione per lui, relegandolo fuori dai primi 10.
La caduta di Nibali nella discesa finale della gara olimpica gli ha poi impedito anche il possibile riscatto di squadra, in una giornata in cui Aru aveva dimostrato di essere ancora una volta il miglior gregario possibile per il messinese.
Il 2016 è stato quindi un anno sicuramente negativo per Aru e per noi che pendiamo dalle labbra degli italiani che volano in salita, ma come detto il ciclismo ha tempi lunghi e spesso dai fallimenti partono le grandi carriere. Per questo sono pronto a riporre ancora grandi aspettative nel 2017 di Aru, convinto di trovarlo presto nella classifica dei migliori sportivi.
(MDO)
- Valentino Rossi
Inserire Valentino Rossi nella categoria dei flop poteva essere un esercizio ambiguo. A fine 2015, per colpa soprattutto di Marc Márquez, Rossi aveva perso un’opportunità di vincere il decimo titolo nel motomondiale che molti consideravano irripetibile. Eppure alle soglie dei 37 anni si è nuovamente presentato in una versione smagliante, soprattutto dopo l’utilizzo delle alette sulla carena implementate inizialmente solo dalla Ducati. Lo stesso Márquez lo ha definito come il miglior Rossi contro cui mai avesse battagliato.
Eppure restano grandissimi rimpianti. Ad Assen il pesarese nella prima parte di gara aveva fatto il vuoto su tutti gli altri rivali del Mondiale, rimanendo in lotta per la vittoria soltanto contro le Ducati di Petrucci, Redding e Dovizioso, con il quartetto minacciato solo dal feroce rientro di Pedrosa. La bandiera rossa ha azzerato tutto, facendo ripartire la corsa e creando una gara-sprint nella quale Rossi è caduto mentre era in testa, consegnando a Márquez un regalo di 20 punti guadagnati che lo spagnolo non aveva minimamente messo in preventivo. Al Sachsenring, la gara dopo, i famosi 5 giri di ritardo nel cambio di moto disobbedendo all’ordine dai box, mentre lo stesso Márquez si ritrovava in testa e vinceva dopo essere stato uno dei primi ad effettuare il cambio di moto.
Motore in fumo, Mondiale in fumo.
A tutto questo si sono aggiunte cadute in Texas e a Motegi, anche se in Giappone il Mondiale era ormai compromesso, e la dolorosissima rottura del motore al Mugello che a Lorenzo era toccata nel warm up della domenica mattina, con molta più fortuna. Valentino Rossi forse non avrebbe vinto lo stesso il titolo, anche perché rimangono ancora troppo indigeste alcune piste come Aragón e Valencia, ma di certo ha contribuito fortemente a ritardare al 2017 le ultime, forse, speranze per il tanto sospirato decimo Mondiale.
(FP)
- Fiorentina
Nel 2016 la Fiorentina ha racimolato 56 punti, finendo al settimo posto della classifica di serie A dell’anno solare. Oggettivamente un grosso rallentamento dal secondo posto occupato alla fine del 2015, figlio di ben 75 punti in 39 partite, a soli 6 punti dalla Juventus capolista di questa particolare classifica.
L’ottimo risultato del 2015 era il frutto del campionato 2014/15 terminato da Montella al quarto posto e dell’incredibile girone di andata del 2015/16 giocato alla guida di Paulo Sousa, concluso con 38 punti in 19 partite e in piena lotta scudetto.
La squadra di Sousa aveva mostrato per distacco il calcio migliore e più interessante della serie A. La Fiorentina metteva in mostra principi di gioco e sperimentazioni tattiche originali, basate principalmente, ma non esclusivamente, sul 3-4-2-1 estremamente fluido che in fase difensiva si trasformava in 4-4-1-1.
Proprio all’inizio dell’anno e in coincidenza col mercato invernale, da cui Paulo Sousa si aspettava un allungamento quantitativo di una rosa oggettivamente corta, qualcosa nel giocattolo viola si è rotto. L’allenatore non aveva fatto mistero della sua delusione e i perenni dubbi sulla sua permanenza in panchina, continuati in estate a fronte in un mercato altrettanto deludente, sembrano aver privato il tecnico e la squadra dell’entusiasmo necessario ad andare oltre ai propri limiti e continuare ad esprimere efficacemente un calcio altamente rischioso e dispendioso come quello pensato da Sousa.
La Serie A è una macchina tattica terribile e senza pietà. Tutte le squadre hanno preso le misure all’avanguardistica Fiorentina e giocato sui suoi difetti come solo le squadre italiane sanno fare. Questo ha sicuramente influito sul rendimento dei “viola” e, in effetti, il suo allenatore, tenendo comunque saldi i suoi principi di gioco, non si è mai fermato nel cercare sempre soluzioni nuove per sorprendere ancora gli avversari.
Se confrontato con il 2015 questo è certamente un anno flop per la Fiorentina, incapace di mantenersi ai livelli dell’anno precedente. Ma per rispetto del lavoro di un allenatore onesto e coraggioso è bene sottolineare come la squadra di Sousa sia stata all’avanguardia in Serie A in alcune soluzioni tattiche, una su tutte: la fluidità dei moduli nelle due fasi, adottati in seguito da tante altre squadre. La Fiorentina, al di là dei risultati e della qualità della propria rosa, sviluppa quasi sempre un calcio propositivo e tatticamente ricercato e rimane forse la più interessante squadra di Serie A per chi ama vedere in campo idee chiare e originali.
(FB)
- Draymond Green
Come detto nel pezzo di ieri nella parte su Steph Curry, ci sarebbe la tentazione di inserire gli interi Golden State Warriors tra i flop dell’anno. Perché nonostante lo storico record di vittorie e l’essere andati a tanto così dal titolo, è inevitabile che la loro sconfitta da un vantaggio di 3-1 nella serie sia stato il crollo più clamoroso di tutto l’anno. Tra tutti gli Warriors, però, ce n’è uno che spicca in particolare — perché se c’è un capro espiatorio per tutti i peccati di Golden State, quello non può che essere Draymond Green. Di lui abbiamo parlato a lungo in questo pezzo, ma lasciate che vi riassuma rapidamente i termini della sua candidatura: i suoi ripetuti tentativi di colpire gli avversari nelle parti basse, culminato nel pugnetto a LeBron James che gli è valso la squalifica in gara-5 delle Finali, lo hanno reso il principale colpevole della disfatta di Golden State — sebbene sia stato l’unico a giocare sopra le proprie possibilità in gara-7. Se a questo aggiungiamo l’arresto estivo dopo una zuffa in un ristorante nel Michigan, le foto delle sue parti basse spedite su Snapchat e il ruolo a dir poco marginale avuto nella spedizione olimpica di Team USA, ci sono abbastanza motivi per considerarlo il vero perdente del 2016 della NBA. Solo tenete bene in mente che tra dodici mesi potremmo ritrovarcelo tra i top, perché il ragazzo tende ad affrontare la vita come un continuo giro sulle montagne russe.
(DV)