Big Fish
Il grande viaggio di Nicolò Melli.
Capitolo IV – 2015-2017
Tu eri un pesce grosso nel tuo paesello, ma qui nel vero mondo non sei nessuno.
Nel frattempo Nicolò Melli è diventato gradualmente un elemento essenziale nella nazionale, prima di coach Simone Pianigiani agli Europei di Slovenia 2013 e Germania 2015 e poi di coach Ettore Messina per il pre-olimpico di Torino 2016. Dell’esperienza azzurra ci hanno parlato in due: Pietro Aradori, che di Melli ha visto tutto il percorso dai primi giorni di ritiro alla sanguinosa finale torinese di Italia-Croazia; e Giordano Consolini, che da quel “Jordan Classic” se l’è ritrovato nell’appuntamento più importante per l’Italia degli ultimi anni al Preolimpico.
«Quando arrivò in Nazionale maggiore a 22 anni giocava in maniera diversa rispetto ad oggi, probabilmente perché aveva meno fiducia nei propri mezzi» ci racconta Aradori. «Umanamente invece è sempre stato un grande, sin dal primo giorno: all’inizio, forse anche per i tre anni di differenza, non si parlava troppo, poi il rapporto si è evoluto in modo naturale. Soprattutto però il progresso tattico di Melli in Nazionale ci è stato di grande aiuto, fino a diventare fondamentale: nel pre-olimpico ad esempio Ettore gli chiedeva di contribuire dalla panchina a livello di punti e, seppur fosse una richiesta particolare per quel tipo di lungo, sapevamo tutti che aveva le qualità per farlo, mentre difensivamente ci ha sempre dato una grande mano sia negli “show” che nelle “trappole” sui raddoppi. Ad esser sincero non mi aspettavo un’evoluzione così rapida, la sua inedita fiducia nel tiro da tre punti mi ha stupito in positivo, sono contento per lui».
Una bella sorpresa anche per coach Consolini – vice di Messina che avrà di nuovo il piacere di lavorare con Melli per gli Europei 2017 in Israele – visibilmente compiaciuto dai miglioramenti dell’azzurro fatti negli anni: «Nik ha sempre avuto, ed ha a maggior ragione tutt’ora, un’ottima comprensione del gioco: è quello che si può definire in gergo un giocatore “aperto”, per il quale non c’è bisogno di creare situazioni particolari. Avevo avuto una sorta di visione del suo potenziale durante quel torneo Under-17 di San Lazzaro, e sono stato molto contento di vederla concretizzata al massimo livello continentale».
Operatosi al dannato ginocchio il 22 Luglio 2014 Nik rinnoverà per un solo anno con l’Olimpia, replicando numeri e performance della stagione precedente e liberandosi infine nell’estate del 2015, diventando un target automatico per i maggiori club d’Europa. A convincerlo è il progetto ambizioso e pieno di nuove responsabilità del Brose Baskets Bamberg di coach Andrea Trinchieri e di Daniele Baiesi come direttore sportivo.
La sfida definitiva è quella di abbandonare l’Italia e l’etichetta dell’eterna promessa per diventare non “un” giocatore tra i tanti del ruolo, ma “il” giocatore di riferimento là fuori, in un Paese nuovo e dove nessuno “ti protegge”, di una squadra che, nonostante parta dietro ai team più blasonati, vuole imporsi anche a livello Eurolega. Il “Trinka” non solo gli assegna il ruolo di “4” titolare, ma lo carica di fiducia sin dalla stagione 2015-16, facendogli toccare nuovi massimi in carriera in tutte le categorie statistiche, possessi e minuti in primis (in Eurolega passa dai 20’ di media del biennio Banchi ai 30’ delle prime due stagioni tedesche).
«Nik sarebbe stata la nostra prima, seconda e terza scelta anche nel 2012, a Cantù» racconta coach Andrea Trinchieri, «per cui quando c’è stata la possibilità di prenderlo a Bamberg tre anni dopo ero ancor più sicuro dell’impatto che avrebbe avuto. La ragione principale è che Nicolò appartiene a quella categoria di giocatori che migliorano realmente i compagni, giocando un ruolo, quello del “4”, che nel basket moderno è uno dei più importanti e trasversali. Ricordo che al primo allenamento nel 2015 il nostro play Brad Wanamaker [ora al Darussafaka di coach David Blatt, ndr] ne rimase folgorato, e in poco tempo fu evidente quanto potesse impregnare positivamente la squadra con il suo gioco e con la sua intelligenza totale, sia in campo che fuori. In questo credo la famiglia sia stata fondamentale nel trasmettergli un certo tipo di valori e nel crescere una persona super, con cui ho un gran rapporto».
Nicolò Melli in Germania compie il salto tecnico più importante, diventando finalmente consistente nel tiro da fuori. Un’arma che lo completa e lo rende ancor di più una delle ali più difficili da marcare d’Europa: a parità di triple tentate rispetto alle stagioni milanesi, le sue percentuali spiccano il volo, diventando d’élite e superando il 40%. Ma per il “Trinka” le statistiche sono l’ultima cosa da guardare, se si deve parlare di Nik: «Per noi Melli è un uomo-franchigia, è il nostro Stonerook 2.0, è talmente più importante per ciò che fa per la squadra, al di là del singolo canestro o passaggio o rimbalzo, che l’esplosione planetaria che ha avuto è una conseguenza di tutto questo, della sua sua serietà e della sua dedizione ad una causa che ha sposato con anima e corpo. È molto più importante il ruolo che lui e Zisis hanno all’interno dello spogliatoio, presentandosi sempre con la faccia giusta, il giusto atteggiamento. Nik è quasi più bravo con gli altri che con se stesso».
Una rinnovata fiducia e cattiveria agonistica evidenti nei momenti cruciali delle partite e una concentrazione, una presenza di spirito che sono alla base dei canestri pesanti e delle giocate decisive. Se il Bamberg gioca una tra le pallacanestro più ammirate e vincenti d’Europa – sono campioni in carica di Germania, hanno appena vinto la coppa di Lega e sono ancora in corsa per i playoff nella durissima nuova Eurolega -, è grazie all’aristotelico passaggio del gioco di Nik da potenza ad atto, una metamorfosi che l’ha spinto verso il livello successivo – il più alto. Della sua credibilità perimetrale ne hanno beneficiato direttamente compagni e spaziature, dai ribaltamenti di lato e la ricerca del compagno libero al punire i mismatch e scegliere se rollare, aprirsi per un tiro da fuori o penetrare.
La nuova consapevolezza di una potenza fisica maturata con il lavoro quotidiano in palestra (che insieme al barbone biondo gli hanno fatto perdere esteticamente almeno 2-3 anni di imberbe giovinezza) lo hanno reso un totem cui aggrapparsi sia offensivamente – non arretra più in area, la qualità dei blocchi è salita, i tagliafuori sono solidi – che difensivamente, dove con tempismo ed energia è una macchina da rimbalzi e un intimidatore di prima categoria, essenziale per le rotazioni e per i frequenti cambi sui piccoli.
I prodromi del giocatore attuale si erano intravisti anche sotto la gestione Banchi dell’avventura milanese (a Milano ancora ricordano le triple di gara-6 contro Siena, in Nazionale vale la pena ricordare il tap-in che regalò il supplementare contro la Croazia), ma è a Bamberg che Nik è esploso definitivamente, trovando in questo nuovo sistema quel “quid” che l’ha aiutato a concludere una prima parte di percorso della sua carriera dove il lavorare «come una bestia» (cit. Banchi) ha portato dei frutti che molti, solo due stagioni fa e solo per semplice impazienza, non reputavano neppure possibili.
Il viaggio, però, non è finito: Nik a soli 26 anni deve ancora migliorare, ma quanto fatto fino ad oggi può far pensare solo ad un pesce che sta continuando ad alimentarsi di tutto ciò che lo circonda, con l’obiettivo di diventare tra i più grossi dell’oceano cestistico. Soprattutto da quando hanno ripreso a parlarne con stima e stupore anche dall’altra parte dell’Atlantico.
Nicolò Melli, a dirla con le parole del film di Tim Burton, sta diventando ciò che è sempre stato: “A big fish”, un pesce molto grosso. Ed è così che tutto ciò è avvenuto.