Big Fish
Il grande viaggio di Nicolò Melli.
Capitolo III – 2010-2015
Tanto più una cosa è difficile, tanto più grande è il premio finale.
Come prevedibile, su di lui nell’estate del 2010 si avventa l’Olimpia Milano. Con il suo appeal, l’Eurolega da giocare, un corposo buyout per Reggio e un contratto di 4 anni la società milanese batte la concorrenza, assicurandosi il miglior 1991 d’Italia in attesa di firmare l’anno successivo con il miglior ‘92, Alessandro Gentile.
È un momento spartiacque per Nicolò Melli: abbandona l’ovile dove è nato e cresciuto nella più classica delle transizioni dalla provincia alla grande città, ma il salto, come dirà lui stesso, è addirittura triplo «da una realtà di LegaDue a una squadra che gioca l’Eurolega».
Il primo anno a Milano, oltre a rinunciare al #9 che Marco Mordente vuole tenere per sé e di cui Nik si riapproprierà nel 2013, coincide con l’ultima travagliata stagione di coach Piero Bucchi cui dal gennaio 2011 subentrerà Dan Peterson fino a fine stagione. Il ragazzo è promettente, ma una società obbligata a vincere subito e ad essere competitiva in Europa non può permettersi di dare troppo spazio ad un giocatore evidentemente ancora in fase di adattamento, per cui dopo sole 18 partite Nik viene mandato in prestito a Pesaro da coach Luca Dalmonte, per continuare il proprio sviluppo con un minutaggio che l’Olimpia non poteva garantirgli.
Melli non delude le aspettative della piazza marchigiana: i minuti raddoppiano (da 8 a 16) e il suo contributo diventa sensibile, segnando proprio all’ultima di campionato contro Milano il proprio massimo stagionale (17 punti). I progressi sono evidenti, la maturità lo fa sembrare talmente più grande (vedere conferenze stampa di quegli anni: mai dichiarazioni banali, ironia, risposte brillanti…) che le prese in giro dei compagni sul “vecchio del gruppo” si protrarranno per tutti gli anni milanesi, e la nuova Milano di coach Sergio Scariolo non può che richiamarlo sotto la Madonnina per la stagione 2011/2012.
È in questo periodo che con lo staff di Milano Nicolò Melli inizia a preparare il terreno per l’ultimo salto di qualità, quello per diventare un giocatore d’impatto europeo. Coach Frates, che ha avuto Nik anche all’Olimpia come assistente di Scariolo, conferma così il grande lavoro messo in atto da Nicolò per scalare i vertici d’Europa: «Ho avuto Nicolò anche a Milano e posso dire che i suoi miglioramenti sono arrivati anche e soprattutto con il grande lavoro di Mario Fioretti, il vice allenatore dell’Olimpia [oggi ricopre ancora lo stesso ruolo con Jasmin Repesa, ndr] che seguiva i lunghi, mentre io seguivo i piccoli. Il lavoro fu fatto principalmente sull’equilibrio e sulla capacità di reggere gli urti, quindi di assorbire fisicamente i contatti in un ruolo dove questo aspetto era fondamentale considerati i fisici che s’incontravano a quel livello».
La figura di Mario Fioretti, anche secondo le parole del capo allenatore delle due stagioni migliori di Nik a Milano, Luca Banchi, è fondamentale se si analizza il percorso di successo di Nicolò Melli da giovane promessa a miglior ala forte d’Europa, come è stato consacrato da un sondaggio tra i General Manager dell’Eurolega lo scorso gennaio.
«Quando arrivò da noi» ci dice proprio coach Fioretti, «era conscio del fatto che dovesse lavorare molto sul suo tiro, ancora altalenante. Così iniziammo sia a ricreare gradualmente situazioni “da partita” per migliorare i problemi di rilascio della palla e di posizione dei piedi sulla ricezione, sia aumentando il grado di autoconsapevolezza con un lavoro di videotape, osservando il corpo e come si piegava.»
«Per costituzione fisica Nicolò aveva un baricentro particolarmente alto» continua Banchi, «e se questo lo agevolava sulla corsa, naturale tanto da sembrare un corridore nato, gli complicava la reattività e altri movimenti strutturalmente difficili per lui. Per cui le parti extra degli allenamenti con Mario Fioretti erano nate per curare certi dettagli:
– situazioni di pick and roll e di ricezione-e-tiro da scarico;
– gestire uno-contro-uno dinamici, da “4” di livello europeo: lo allenavamo a usare la finta di tiro, che poteva permettersi solo se fosse stato pericoloso da fuori, unendola alla partenza in palleggio con l’obiettivo di creare spaziature per la squadra – che diventano più ampie tanto più sei credibile. Per questo lavoravamo molto sia sull’aderenza con il terreno, fondamentale per eseguire al meglio nel minor tempo possibile, sia sulla distanza tra i piedi, la reattività e il corretto uso delle ginocchia.»
«Anche per il passaggio avevamo creato attività specifiche» aggiunge Fioretti, «con l’obiettivo di renderlo più efficace, simulando delle difese che costringevano Nik a scegliere il perno a seconda di come andasse incontro alla palla. Inoltre provavamo a migliorarne le partenze in palleggio, tipo quelle “stessa mano-stesso piede”, proseguendo il lavoro dentro l’area: assorbire i contatti mantenendo la stabilità, uso delle spalle e del perno. C’è da dire che nessun progresso ci sarebbe stato senza l’etica lavorativa di Nicolò, che non ha veramente mai smesso di lavorare.»
Un lavoro meticoloso, puntuale, svolto con pazienza e dedizione in sala pesi e sul parquet da Nik, da Fioretti e Banchi, all’interno della più bella stagione fino ad oggi della gestione Armani, quella del primo Scudetto dal 1996 e dei playoff d’Eurolega.
«Milano non era reduce da una stagione esaltante quando arrivai», afferma coach Banchi. «Ma fin da subito avevo l’idea chiara di costruire la mia Olimpia con un’ossatura italiana, con caratteristiche fisiche e tecniche definite. Melli coincideva con queste mie idee, rappresentando la scuola tecnica italiana in un ruolo che prevedeva taglia fisica, atletismo e tecnica di un certo tipo, valori che mi avevano portato ad identificarlo come il nostro titolare.»
Ultimi indugi sul ruolo tolti dunque, e da “4” con velleità da “3”, Nik si ritrova ad affrontare una trasformazione anche mentale per trovare quella che ad oggi è la sua dimensione ideale nella pallacanestro contemporanea: un’ala grande con minuti anche da centro in un sistema che può cambiare faccia più volte nella stessa partita grazie alla sua mobilità e alla sua versatilità.
«Chiaramente Nik sentiva su di sé un po’ di pressione e la conseguente voglia di dimostrare qualcosa, anche a causa dell’oneroso buyout pagato a Reggio Emilia e un contratto che alla mia prima stagione era in scadenza» continua Banchi. «Nulla comunque che ostacolasse il suo progresso, cosa che mi aveva portato a nominarlo vice-capitano grazie a grandi qualità umane dovute ad una spiccata sensibilità, interessi fuori dal campo, grande disponibilità al lavoro e al sacrificio e una famiglia eccellente alle spalle.»
Uno dei leggendari cambi difensivi di Melli, con scivolamenti e stoppata su Matt Janning.
L’Olimpia, soprattutto dopo l’arrivo a Natale 2013 di Daniel Hackett dall’agonizzante rivale Siena, decolla sia in campionato che nelle Top 16 d’Eurolega, giocando un basket corale, efficiente, solido e pure esaltante, che ha tra i suoi cardini proprio il 23enne Melli, cruciale nel dettare i tempi dell’attacco di coach Banchi: «Avendo altre cinque punte di un certo calibro da alimentare era necessario avere qualcuno che scandisse i ritmi dell’attacco. Nik, con la sua versatilità sia da 4 che da 5, un IQ molto più alto della media e la conseguente precisione e concentrazione nell’esecuzione, era diventato un elemento imprescindibile per noi, oltre alla consueta aggressività difensiva sui P&R, gli “show” alti, le “trap” o i suoi [leggendari] “switch”, i cambi difensivi sulle guardie avversarie».
La stagione, trionfale in Italia e chiusa tra gli applausi e l’amaro in bocca in Europa contro un Maccabi Tel Aviv che proprio al Forum di Milano conquisterà poi la coppa, si rivelerà essere anche un piccolo calvario per Melli, alle prese con un problema al ginocchio difficile da tamponare a causa dei ritmi serrati di una squadra competitiva su due fronti. Ma stringere i denti e risollevarsi dai momenti di difficoltà fisica non era mai stato un problema per un giocatore mentalmente tostissimo, che lo stesso Banchi, ringraziandolo, definisce «stoico per come ha tenuto duro», sia di testa dopo il famoso antisportivo su Ricky Hickman nel finale di gara-1 della serie contro il Maccabi, sia soprattutto «durante i playoff e l’epica finale Scudetto contro Siena». Una condizione però non più sopportabile e che porta «prima all’operazione appena conclusasi la stagione, e poi ad una continua rincorsa ed un lavoro individuale extra per riprendere forma, ritmo e condizione nella stagione 2014-15».