C’è sempre una profonda tensione tra individuo e collettivo in Zlatan Ibrahimovic. Se da una parte non ha mai fatto nulla per contraddire l’idea che abbiamo di lui, quella del mercenario, dell’eroe solitario che con i suoi colpi piega l’idea collettiva del calcio; dall’altra troviamo un calciatore pieno di umanità, che parla come un leader positivo: «Penso di essere un tipo che ama fare felici gli altri. Mi metto sempre in secondo piano. Immagina che stia in gruppo, per me è più importante che il gruppo sia felice, piuttosto che io sia felice» oppure «Io ho la mia responsabilità. Sto cercando di aiutare tutti gli altri. La gente mi giudica prima di conoscermi, ma questo non mi preoccupa. Entra da un orecchio ed esce dall’altro. È importante quello che i ragazzi dello United pensano di me, è la cosa più importante. Se posso aiutare loro allora lo farò».
In questa intervista c’è tutto l’Ibrahimovic individualista e collettivo. Quando dice di essere contento del suo gol per compagni e società risulta molto credibile, anche più credibile di quando torna a fare lo Zlatan che tutti conosciamo.
Anche nella sua biografia Io, Ibra c’è un continua frizione tra individuo e collettivo. Quando parla del gruppo è sempre propositivo, tende a unire: «All’Inter, invece, i giocatori si raggruppavano per nazionalità. Era una roba da età della pietra, spesso non si salutavano nemmeno, fra gruppi. Giocavano insieme a calcio. Stop. Per il resto vivevano in mondi separati, e questa cosa mi faceva innervosire tremendamente, e capii subito che per vincere bisognava cambiare. Alcuni forse pensavano: “Che importanza ha con chi ci sediamo o no a tavola?”. Credetemi, ha importanza. Se non c’è coesione fuori dal campo, dentro si nota. Influisce sulla motivazione e sul senso di squadra. Il calcio è questione di dettagli e questo genere di cose può essere decisivo».
Quando parla dell’individuo invece si può capire facilmente il suo pensiero, un individualismo sfrenato che ha sempre guidato le sue scelte: «I tifosi, forse, sono fedeli alla loro squadra, ed è una bella cosa. Ma la carriera di un calciatore è breve, e lui deve curare i propri interessi. Cambia spesso club. I tifosi lo sanno, e io anche lo sapevo bene».
Per Ibrahimovic sembra molto facile distinguere tra gruppo e squadra, come se non esistesse nessun punto di contatto tra le due. Ma è poi vero? Tra tutti gli Zlatan possibili, quello da spogliatoio è il più difficile da individuare. Di lui sappiamo che è sfrontato, le leggende raccontano che appena arrivato all’Ajax la prima frase sia stata: «Io sono Zlatan, voi chi diavolo siete?» e che questo atteggiamento di superiorità l’abbia accompagnato di spogliatoio in spogliatoio. Secondo Coman, che con Ibra ha diviso un anno al PSG da giovanissimo, lo svedese «non è quel tipo di giocatore che cerca di stabilire un contatto coi giovani e che dà loro dei consigli, ma si preoccupa solo di se stesso ». Appena arrivato al Manchester United si è preso la maglia numero 9, senza preoccuparsi appartenesse a Martial, venendo meno a una delle poche regole non scritte del calcio. Eppure tanti dei suoi compagni lo adorano per quello che fa dentro e fuori dal campo, gli attestati di stima non mancano e le sue qualità di leadership sono indubbie.
I compagni della Nazionale svedese amano Zlatan Ibrahimovic.
Cosa vuol dire, quindi, essere compagno di squadra di Zlatan Ibrahimovic? Come si comporta nei loro confronti, cosa invece si aspetta da loro? Analizzando la carriera dello svedese ho notato come saltando di gruppo in gruppo segue sempre degli schemi di comportamento prestabiliti creando degli archetipi di compagno di squadra. Ne ho definiti 8.
Il compagno Strasser
Tutto quello che c’è da sapere sul compagno Strasser è che non vorreste mai essere il compagno Strasser. Per Ibrahimovic è alla stregua di una punch ball: un oggetto inanimato privo di sentimenti e abilità calcistiche da colpire a piacimento. Al PSG il compagno Strasser era Kevin Trapp, tedesco, che Ibra aveva soprannominato “Adolf”. E se lui lo chiamava così, a quanto pare, anche tutti i compagni dovevano chiamarlo così. Secondo il portiere questo soprannome, leggermente oltre la linea del buongusto, glielo aveva affibbiato per aver fregato il posto da titolare a Sirigu, suo amico.
Tipico esempio di compagno Strasser.
Il compagno Strasser è una sfumatura dei rapporti umani difficile da individuare. Più che antipatia, si può parlare di bullismo: Ibrahimovic usa la sua forte personalità per prevaricare il compagno più debole all’interno del gruppo principalmente per mostrare a tutti la sua forza. Se, interrogato, dovesse spiegare il motivo di questo comportamento credo userebbe qualche abusata metafora sui lupi e il branco.
Attenzione: non tutti i compagni che Ibra colpisce con i suoi calci sono compagni Strasser, ma Strasser in particolare, sì.
Il compagno Van Der Vaart
Il compagno Van Der Vaart è quello che Ibra non sopporta. A differenza del compagno Strasser qui possiamo parlare tranquillamente di antipatia, non c’è nessuna sovrastruttura alle spalle. Dalla sua biografia si capisce che uno di questi era Ljungberg (anche se non lo nomina mai) per i suoi atteggiamenti da star all’interno della Nazionale svedese. Non doveva esserci particolare simpatia neanche con Marco Materazzi – strano vero? – e sono diversi i momenti di frizione tra i due. Al termine della gara di andata degli ottavi di Champions a Liverpool (l’Inter perde 2-0, il difensore italiano rimedia un espulsione), Ibra non ha nessun problema ad andare davanti ai giornalisti e dire: «Perché abbiamo perso? Chiedetelo a Materazzi».
Questa è una frase violenta, poco consona all’Ibrahimovic collettivista che abbiamo visto, giustificabile solo da cattivi rapporti tra i due. Materazzi riuscirà a vendicarsi tempo dopo infilando il coltello nell’unica piaga dello svedese durante un’intervista in cui gli si chiedeva di quella frase «Acqua passata: io poi la Champions l’ho vinta».
I due non fanno altro che beccarsi, quando era al Barcellona Ibrahimovic fu testimone dello scontro tra Balotelli e Materazzi in occasione della semifinale di Champions e non manca di criticare il difensore: «I miei compagni non avevano mai visto una cosa del genere, non avevano mai visto un giocatore scagliarsi così contro un compagno. Se Materazzi l’avesse fatto con me, l’avrei lasciato a terra in due secondi». Quasi come se fosse un botta e risposta programmato, da wrestler, anche Materazzi parla spesso dello svedese: «Ibrahimovic insultava costantemente i suoi compagni di squadra quando era all’Inter. Era uno che voleva vincere sempre e secondo lui tutto è talmente facile da non arrivare mai ad ammettere quando fa degli sbagli. Ma quando era un suo compagno ad essere in difficoltà, non lo aiutava ma lo massacrava. È questo è il suo grandissimo difetto, perché una squadra è fatta da tanti giocatori, non solo da uno. Per questo motivo lui non arriverà mai a essere Messi o Cristiano Ronaldo».
Ma proprio la cosa che più di tutti mi conferma l’antipatia di Ibra verso il compagno, tanto che avrei potuto chiamare tranquillamente questa tipologia compagno Materazzi, è l’entrata di Ibrahimovic nel derby.
Il più odiato però è stato sicuramente Van der Vaart, che divenne il pretesto di Ibra per lasciare l’Ajax. Pur molto giovani, i due erano in competizione per il ruolo di leader della squadra – Van der Vaart capitano e capo del gruppo di olandesi, Ibrahimovic miglior giocatore e capo del gruppo “resto del mondo”. A far esplodere la miccia fu un intervento di Ibra durante un amichevole tra Svezia e Olanda, con Van der Vaart pronto ad accusarlo davanti ai microfoni di avergli fatto del male intenzionalmente. Ibrahimovic prima si scusa, ma specifica di non averlo fatto apposta, dalle immagini non è chiara la volontà o meno dello svedese di colpire l’avversario; poi davanti all’insistenza del compagno, e di fronte al resto della squadra, lo minaccia: «Se provi ancora ad accusarmi, ti spezzo tutt’e due le gambe, e questa volta di proposito». La società prende le parti di Van Der Vaart, capitano di quella squadra, e Ibra coglie quell’occasione per farsi vendere alla Juventus. Ma nell’ultima partita prima di lasciare la squadra, con i tifosi dell’Ajax che fischiano lui e osannano l’olandese, Ibra segna il suo gol più iconico con la maglia dei lanceri, dedicandolo proprio al compagno. L’odio fa bene a Zlatan.
Dicono che l’olandese non se la sia legata al dito:
Ora, io non sono pratico con l’olandese, però…
Il compagno Onyewu
Questa è probabilmente la tipologia di compagni preferita da Zlatan Ibrahimovic. Non perché siano particolarmente interessanti, forti o simpatici, ma perché sono lì principalmente per fare a botte con lui.
Ogni squadra in cui va Ibrahimovic deve organizzarsi per firmare almeno un compagno Onyewu, non che stia scritto da qualche parte, ma è una cosa risaputa. Alla Juventus, ad esempio, si erano organizzati con Zebina. Nel 2004 il francese è arrivato a Torino con l’idea di godersi i musei, non è che te lo dicono che devi fare il compagno Onyewu, ma qualche settimana più tardi è arrivato Ibrahimovic e Zebina ha capito da sé (alla fine di quella stagione chiederà un raddoppio di stipendio anche senza essere uno dei cardini della squadra). Zebina ha scelto di sbrigare il suo compito in maniera abbastanza classica: entrata dura su Ibra, reazione violenta dello svedese, testata accennata come risposta e a quel punto Zlatan gli ha spaccato un occhio. Tutto secondo le regole.
Ma il principale e più fantasioso interprete del compagno Onyewu è stato senza dubbio Oguchi Onyewu: alto 198 centimetri, con un peso forma di 93 chili (secondo la sua pagina Wikipedia il suo peso è di 117 chili, io non ci credo, se qualcuno riesce a pesarlo mi faccia sapere), conta lo stesso numero di presenze in campo che di risse con Ibra: una. Onyewu il suo lavoro lo prese molto sul serio, nonostante fosse praticamente ai margini della squadra andava dallo svedese e lo sfidava: «Io non sono come gli altri difensori», «non mi lascio condizionare dalle tue chiacchiere. Da quella bocca che non sta mai chiusa», «Tu e la tua cazzo di bocca», frasi che sono il perfetto protocollo per chi deve fare il compagno Onyewu. Questo continuo parlare infastidì Ibra, che come risposta durante un allenamento entrò particolarmente duro sull’americano. Quello che successe dopo non è chiarissimo, Onyewu come reazione pare l’abbia preso al collo, scatenando la reazione ancora più violenta dello svedese che lo cinturò dando vita ad una specie di combattimento di MMA, con i due che si rotolavano a terra colpendosi con pugni e ginocchiate, tanto da costringere Massimiliano Allegri a fermare l’allenamento per qualche minuto in attesa che finisse la sigla di Dragonball. Divisi dai compagni – stando alla ricostruzione dell’episodio di Ibrahimovic – Onyewu si inginocchiò a terra per pregare Dio e piangere, mentre a quanto pare Zlatan uscì dall’incontro con una costola rotta.
Il problema di essere un compagno Onyewu è che quando non sei più nella squadra di Ibrahimovic i rapporti non sono necessariamente amorevoli.
Il Compagno Nenê
L’insieme compagno Nenê non è molto ampio, solitamente comprende l’uomo da cui passava il gioco della squadra prima dell’arrivo di Ibra. Il Compagno Nenê più famoso è stato probabilmente Alessandro Del Piero, che ha iniziato a vedere le prime panchine dopo l’arrivo dello svedese in squadra. E se Del Piero è riuscito a sopravvivere al ruolo di Compagno Nenê, ritagliandosi anche dello spazio, ad altri è andata peggio: Nikolaos Machlas, ad esempio, nonostante una prolificità mai sopita (38 gol in 74 partite all’Ajax) perse il posto e fu ceduto proprio perché quel posto era di Zlatan, finendo a fare la comparsa nella seconda stagione di The Wire (non è vero, ma meglio questa ipotesi della realtà che l’ha visto finire all’Iraklis dopo una sfortunata parentesi al Siviglia). Un altro compagno Nenê è stato el jardinero Julio Cruz, che dopo una stagione da 21 gol e uno scudetto post-assegnato, ha visto il suo minutaggio calare repentinamente a favore dello svedese, tranne per l’incredibile colpo di coda della stagione 2007/08 in cui riusci a giocare solo 100 minuti in meno di Ibrahimovic. Ora tiene seminari autocelebrativi per gli attaccanti delle squadre in cui si trasferirà Zlatan. Il Milan fu un caso particolare, perché praticamente arrivò al Milan e non c’era più nessuno da esiliare, ma solo vassalli.
Ma – ovviamente – quello a cui è andata peggio è stato il giocatore che dà il nome a questa tipologia: quando Ibrahimovic arriva al PSG Nenê è il numero 10 di quella squadra, il miglior attaccante in rosa e fresco capocannoniere della Ligue 1 con 21 gol. Al primo allenamento Zlatan gli fa sentire il fisico, l’entrata non è particolarmente violenta, ma serve a mandare un messaggio.
C’è un solo capocannoniere in città.
Zlatan infatti è venuto per prendersi il posto del Compagno Nenê e non fa nulla per negarlo. Alla prima di campionato Ibrahimovic è in campo a fare doppietta mentre il brasiliano siede in panchina; a gennaio Nenê ha segnato 1 gol, lo svedese 21. Il 28 gennaio, svincolato dal PSG, Nenê va a curarsi le ferite nel deserto qatariota firmando per l’Al-Gharafa. Il 28 gennaio Ibra lascia la numero 18 e si prende la maglia numero 10 del PSG.
Il compagno Maxwell
Il compagno Maxwell è Maxwell. I due hanno una delle prime e più durature bromance del calcio moderno. Vennero acquistati lo stesso giorno, giovanissimi, dall’Ajax e per superare il trauma del cambio di paese Zlatan visse le prime tre settimane nella casa di Maxwell dormendo su di un materasso. Si ritrovarono all’Inter, per poi giocare insieme anche al Barcellona e al PSG. Nella sua biografia Ibrahimovic racconta di quando si rividero per la prima volta a Milano: «Ricordo quando lo vidi all’allenamento: fu veramente bello, devo ammetterlo. Ebbi la sensazione che qualcosa negli anni era rimasto uguale, nonostante tutte le squadre che avevo cambiato e i problemi che avevo dovuto superare. Ma non mi venne in mente niente di meglio che gridare: «Allora, come la mettiamo, mi segui come un’ombra?». «Ovvio. Qualcuno deve pur fare in modo che tu abbia sempre dei cornflakes nel frigo.» «Ma questa volta mi rifiuto di dormire in terra su un materasso.» «Se fai il bravo, troveremo qualcosa di meglio».