Non è semplicissimo trovare un filo comune a questo secondo turno di playoff NBA. Dopo sedici gare disputate, due serie sono già state chiuse mentre altre due sono in perfetta parità sul 2-2; solamente una partita è finita con uno scarto inferiore ai 10 punti (ma nella serie più scontata di tutte), a cui se ne aggiunge un’altra finita al supplementare (ma con scarto finale in doppia cifra); le vittorie in trasferta sono state sei, nemmeno pochissime per la verità, ma quattro portano la firma di Golden State e Cleveland, che ora osservano le avversarie dai televisori esattamente come noi. Insomma, questa post-season sembra ancora mancare di qualcosa. Ma i playoff NBA non sono una serie televisiva e lamentarsi dei singoli episodi ha poco senso: molto di più ne ha andare a capire come stanno evolvendo le serie, come già fatto per il primo turno, partendo da quelle ancora aperte alla vigilia di due gare-5 cruciali per i destini delle quattro squadre coinvolte.
San Antonio Spurs-Houston Rockets
Situazione attuale: 2-2
Più passano le partite, più la situazione sulla scacchiera di San Antonio e Houston si fa complicata: da una situazione di partenza “standard” in cui tutti i pezzi erano nelle loro posizioni naturali (Beverley su Parker, Green su Harden, Leonard su Ariza, Aldridge su Anderson e Lee su Capela), ci troviamo ora dopo quattro partite con una situazione di accoppiamenti completamente sottosopra, in cui però nessuno è ancora riuscito a conquistare il Re avversario.
Andiamo con ordine ruolo per ruolo: Parker si è infortunato nell’ultimo quarto di gara-2 ed è fuori per il resto dei playoff, lasciando il rookie Dejounte Murray nella spiacevole situazione di dover affrontare un Beverley assetato di sangue (anche se i minuti seri li gioca Patty Mills). Dopo una discreta figura in gara-3, Murray è stato divorato – non per colpe sue, ovvio – da Beverley in gara-4 e Popovich potrebbe già essere costretto a cambiare quintetto in vista di gara-5.
Harden ha dovuto affrontare la prevedibile staffetta Green-Leonard, ritrovandosi però molto più spesso accoppiato al secondo – cosa che ovviamente avrebbe preferito evitare, visto che deve sudare molto di più per guadagnarsi ogni canestro. Dopo le prime due partite in cui è sembrato in difficoltà dal punto di vista fisico per i postumi della distorsione alla caviglia subita contro gli Oklahoma City Thunder, il Barba è tornato a metterne 43 in gara-3 (in cui però è stato lasciato solo) e a orchestrare l’attacco in gara-4: inutile sottolineare quanto sia importante per i Rockets averlo al 100% per pensare di andare a vincere a San Antonio, dopo aver perso il fattore campo in gara-3.
Al contrario ovviamente Harden non può essere lasciato in difesa su Leonard, e “nasconderlo” è un imperativo categorico per Mike D’Antoni: molto spesso è stato lasciato nell’accoppiamento naturale su Green, ma non è stato raro vederlo lasciato in marcatura su un lungo come Lee o perfino Gasol, sfruttando il baricentro basso e il suo fisico massiccio, in grado di reggere in post senza essere spazzato via. Per Houston è quasi preferibile vederlo coinvolto in quelle situazioni piuttosto che sul perimetro lontano dalla palla (dove tende ancora ad addormentarsi) o a difendere nello spazio contro un pick and roll (dove la sua lentezza di piedi e la scarsa applicazione vengono esposte).
Le cose si fanno veramente interessanti quando si affronta la situazione delle ali, il vero punto nevralgico della serie: Trevor Ariza è in marcatura fissa su Leonard (e non potrebbe essere altrimenti, visto che i Rockets non hanno altri difensori da opporgli), ma in difesa viene preso da un lungo come Aldridge, su cui ha un vantaggio di velocità e di skill che però gli Spurs sono ben felici di concedergli, visto che è un attaccante perimetrale molto meno pericoloso rispetto a Harden, Eric Gordon o Lou Williams. Le prestazioni di Ariza sono state l’ago della bilancia delle partite: 19.5 punti col 77% “reale” al tiro e il 54% da tre nelle due vittorie; 9.5 punti col 47.6% “reale” al tiro e il 31.3% da tre nelle sconfitte. Vincere quell’accoppiamento è fondamentale per scombinare il sistema difensivo di San Antonio.
Un’azione presa dalla pessima gara-3 di Houston: Ariza sul perimetro non riesce a battere Aldridge, Beverley sbaglia pur bucando il recupero di Gasol.
Di particolare interesse è anche la marcatura di Ryan Anderson, che ha fatto penare Aldridge in gara-1 con il suo pick and pop e da quella partita in poi si è ritrovato addosso Danny Green (con Leonard su Harden) proprio per prevenire quelle situazioni di gioco a due col Barba. Accoppiati in questo modo i Rockets non sono più riusciti a creare vantaggi, anche perché D’Antoni ci ha messo fin troppo tempo ad effettuare l’accorgimento che ha girato tatticamente gara-4, ovverosia schierare Anderson da centro per tirare fuori dal pitturato Pau Gasol, che ha potuto campeggiare tranquillamente per due partite rimanendo su Capela o Nene (fuori per il resto dei playoff dopo l’infortunio in gara-4). Houston non può permettersi di lasciare in campo Gasol o David Lee senza punirli continuamente: toglierli dal campo significa costringere San Antonio ad andare piccola con Aldridge da 5 (una strutturazione che Popovich in generale non gradisce), ma soprattutto spostare la serie su binari più offensivi che difensivi – uno scenario decisamente più congeniale ai Rockets, che nelle vittorie veleggiano a 103 possessi di media e nelle sconfitte vengono tenuti nella melma dei 95.
Popovich però ha trovato una contromossa insperata in Jonathon Simmons, fondamentale col suo mix di atletismo e imprevedibilità (che lo rende poco affidabile agli occhi della panchina degli Spurs) e in grado di avere impatto ogni volta che scende in campo: +8.2 di Net Rating (il migliore di squadra su 78 minuti) quando c’è e -10.5 quando non c’è (solo Kawhi Leonard prima di lui a -13.9). Un suo inserimento in quintetto al posto di Murray – con Leonard a portare palla in attesa dell’ingresso di Mills e Ginobili – potrebbe essere la mossa che fa ulteriormente girare la serie in questa infinita partita a scacchi che Popovich e D’Antoni stanno giocando ormai da una settimana – peraltro con tempi di reazione piuttosto lenti visto che gli aggiustamenti sono arrivati quasi tutti tra le partite e non durante le partite, che difatti sono state tutte decise con scarti in doppia cifra. Questa rimane, in ogni caso, la serie-cartello di questo secondo turno, e dalle due partite rimanenti è lecito aspettarsi un netto miglioramento delle due squadre, quantomeno a livello di equilibrio negli ultimi quarti.
Boston Celtics-Washington Wizards
Situazione attuale: 2-2
Al contrario di San Antonio e Houston, nella serie-cartello della Eastern Conference nessuno è ancora riuscito a vincere in trasferta – eppure di cose ne sono successe a pacchi. Nelle prime due gare Isaiah Thomas ha segnato 86 punti, ha perso un dente (e poi lo ha ri-perso in gara-3), ha continuato a fare i conti con il suo lutto personale sotto gli occhi fin troppo curiosi del mondo e ha realizzato la prestazione di questo secondo turno con 53 punti. Eppure, in tutto questo, il miglior giocatore in campo nella serie è sembrato essere John Wall, che sta giocando dei playoff assolutamente celestiali per efficacia e continuità di rendimento, tenendo in piedi sostanzialmente da solo gli interi Washington Wizards (-23.4 di Net Rating nei 41 minuti in cui non è stato in campo, solo Otto Porter meglio di lui).
Lo scontro tra Thomas e Wall per la corona di miglior point guard a Est (non ce ne voglia Kyrie Irving) finora è stato il motivo principale per seguire la serie, che ovviamente ha vissuto sui binari fragili delle marcature difensive di entrambi. Thomas infatti non ha una chance di tenere Wall in uno-contro-uno (le poche volte che ci ha provato è stato scherzato in post basso), ma trovargli un posto dove nasconderlo contro il quintetto base degli Wizards non è semplicissimo. Finora è stato Otto Porter a poter sfruttare il mismatch (13.3 punti col 71% al tiro quando Thomas è in campo, 3.3 quanto non c’è), ma Brad Stevens è attentissimo a togliere Isaiah contro il quintetto base degli avversari e utilizzarlo soprattutto contro la second unit nel momento in cui entra Kelly Oubre, decisamente meno pericoloso di Porter.
Se si giocasse solamente cinque contro cinque senza sostituzioni, Washington avrebbe un enorme vantaggio nei confronti degli avversari, visto che il loro quintetto base ha un Net Rating di +45.2 in 69 minuti – frutto dei parziali sprint con cui hanno dominato i primi quarti delle prime tre gare e il clamoroso 26-0 che ha deciso la vittoria in gara-4. Il problema, quindi, è che non appena entra un membro della panchina le cose si fanno drammatiche per Scott Brooks: il secondo quintetto più utilizzato, quello con Oubre al posto di Porter, ha un Net Rating di -26.7, e con Bogdanovic al posto di Markieff Morris si precipita a -40.8.
Boston, dal canto suo, sta avendo enormi problemi a trovare il quinto titolare nel ruolo di ala forte che possa produrre qualcosa – o perlomeno che non sia dannoso. L’esperimento Gerald Green che ha girato la serie coi Bulls è morto dopo gara-1 (-25.8 il Net Rating con lui in campo in 43 minuti) e ancora peggio è andato Amir Johnson (-32.8), la scelta di Stevens nelle ultime partite. È lecito però attendersi un cambiamento in quintetto quando la second unit sta andando così bene? Terry Rozier in particolare con la sua energia sta avendo un impatto difficilmente pronosticabile a inizio playoff (+29.4 nelle quattro partite contro Washington) e ha anche finito in campo l’unica partita tirata di questa serie, vale a dire la divertente gara-2 vinta dai Celtics ai supplementari.
Lo scontro tra i lunghi è stato particolarmente interessante, più per quello che è successo all’altezza della linea da tre punti che per quanto realizzato in area. I lunghi di Washington, Morris e Gortat, fanno fatica a tenere Isaiah Thomas – un po’ perché è compito improbo per chiunque in questa stagione, ma anche perché arrivano stanchissimi nei finali di gara, dato che il loro unico cambio è Jason Smith. Sotto questo punto di vista è importante che Ian Mahinmi possa dare qualche minuto di sostanza quantomeno per dar loro fiato, se non proprio per avere un impatto difensivo nella serie chiudendo l’area, perché anche solo un corpo in più potrebbe fare la differenza in uscita da una panchina disastrosa.
Dall’altra parte, pur avendo a che fare con un mammasantissima come Wall, Al Horford sta facendo un buonissimo lavoro contro i pick and roll di Washington, anche perché il trio di esterni di Boston (Smart-Bradley-Crowder) sta mettendo enorme fisicità sulle due stelle di Washington – specialmente contro Beal che solo in gara-4 ha ritrovato precisione dall’arco chiudendo con 29 punti. Sulle sue percentuali si gioca la serie, perché se da Wall e Thomas ci si può attendere una produzione quantomeno pari, è lui a dover dimostrare di il terzo giocatore più forte della serie.