Se, come tutte le persone normali, negli ultimi dieci giorni siete stati troppo impegnati a godervi i weekend lunghi di Pasqua e del 25 aprile, vi sarà sicuramente sfuggito qualcosa del primo turno di playoff NBA. Non preoccupatevi! La redazione basket de l’Ultimo Uomo ha raccolto mano a mano un po’ di appunti e ha provato qui a riassumere l’andamento delle otto serie del primo turno, tra quelle che sono già finite (Golden State, Cleveland e Houston aspettano già di scoprire chi affronteranno al secondo turno), quelle che stanno per farlo (Utah ha sulla racchetta il primo match point della serie coi Clippers, Toronto e San Antonio lo hanno in trasferta a Milwaukee e Memphis) e quelle che sono sul 2-2 e promettono di portarci fino al weekend con la promessa di una gara-7 (le due rimanenti: Washington-Atlanta e Boston-Chicago).
Golden State Warriors – Portland Trail Blazers
Risultato finale: 4-0
La serie contro i Portland Trail Blazers è stata una discreta corsa a ostacoli per i Golden State Warriors: in gara-1 C.J. McCollum e Dame Lillard sono impazziti segnando 75 punti in due; poi Kevin Durant, Shaun Livingston e Matt Barnes hanno dovuto saltare delle partite per infortunio; quindi persino Steve Kerr è stato costretto ad alzare bandiera bianca; e in gara-3 sono finiti sotto di 16 punti a metà terzo quarto, tra un misto di fomento da rientro di Jusuf Nurkic (durato pochissimo) e le solite follie di Dame & C.J.. Tutte prove brillantemente superate con uno slancio a dir poco impressionante, visto che gli Warriors hanno chiuso i conti già nel primo quarto di gara-4 e hanno continuato a giocare la pallacanestro schiacciasassi e divertentissima a cui ci hanno abituati da un mesetto e mezzo a questa parte.
Se i Cleveland Cavaliers sono alla ricerca di quel famoso “interruttore” da premere per i playoff, gli Warriors sono ormai certi di averlo — e la cosa che li rende veramente terrificanti per tutte le altre è che, nonostante siano una delle squadre più talentuose di sempre, lo possono premere quasi più in difesa che in attacco. E questo perché Draymond Green è al suo assoluto picco come difensore a tutto tondo — come già analizzato da Nicolò Ciuppani settimana scorsa — e il resto degli Warriors ha ormai raggiunto un grado di conoscenza reciproca da rendere la comunicazione difensiva sostanzialmente telepatica.
Draymond Green's defensive impact goes beyond the box score. Keep your eyes on Draymond here. https://t.co/2TM1NnN1Ls @ringer @Money23Green pic.twitter.com/ov45QCgZBt
— Kevin O'Connor (@KevinOConnorNBA) 24 aprile 2017
Aver chiuso così in fretta i discorsi sul passaggio del turno permette loro di gestire i recuperi di KD (solo 20 minuti in campo in gara-4) e delle altre due riserve con relativa tranquillità, anche se a preoccupare di più è la situazione della schiena di Steve Kerr. Per quanto ancora si parli di una rivalutazione delle sue condizioni settimana prossima, Kerr non ha escluso che possa saltare gli interi playoff — e questo sì che sarebbe un colpo duro per gli Warriors, perché la sua capacità comunicativa, emotiva e psicologica non può essere replicata da nessuno dei suoi assistenti, tantomeno da Mike Brown. Perché quando Draymond Green perde la testa (e i playoff dello scorso anno ci dicono che può succedere anche fin troppo frequentemente) non avere in panchina né Kerr né Luke Walton può essere un problema anche per una macchina da guerra come questi Warriors, in grado di rendere un giocatore funzionale persino JaVale McGee (+42.2 di Net Rating in 49 minuti!).
Dall’altra parte, per Portland l’infortunio di Jusuf Nurkic ha spento anche l’ultimissima speranza di poter “dare una serie” a Golden State: senza di lui sono tornati a essere la squadra altalenante che erano prima della pausa per l’All-Star Game, e non appena Lillard e McCollum (semi-leggendario il suo primo tempo di gara-1) sono scesi di colpi, i limiti della squadra sono venuti a galla. Sarà interessante osservare cosa faranno in estate, anche perché con l’estensione di McCollum il monte salari decollerà oltre quota 140 milioni di dollari – un prezzo esorbitante per una squadra da ottavo posto & uscita al primo turno ai playoff.
San Antonio Spurs – Memphis Grizzlies
Situazione attuale: 3-2
Per strano che possa sembrare, sono state quattro parole in conferenza stampa a cambiare i rapporti di forza all’interno di questa serie. Perché è inevitabile individuare in quell’ormai leggendario “TAKE THAT FOR DATA!” di coach David Fizdale il momento in cui i Grizzlies hanno ritrovato compattezza di squadra (tanto è vero che la multa da 30.000 dollari è stata pagata dai giocatori) e hanno cambiato marcia, vincendo le due partite in casa e mostrando una voglia di combattere che nella seconda parte di regular season sembrava essere svanita.
Se le prime due partite sembravano preludere all’ennesimo cappotto o al massimo un “gentlemen sweep” (serie chiusa in cinque), gara-4 ci ha regalato la miglior partita di questi playoff a mani basse, anche perché dall’altra parte Kawhi Leonard ha scalato ulteriori marce e si è elevato a un livello impensabile all’inizio della sua carriera. Nelle prime quattro partite di playoff Leonard ha ritoccato per tre volte il suo massimo in carriera, arrivando ai 43 di gara-4 di cui 24 tra ultimo quarto e overtime.
Dice coach Fizdale: «L’altra sera era in piedi di fianco a me e non respirava. Controllerò il regolamento per vedere se i robot possono giocare nella NBA, perché Pop e gli altri sanno qualcosa che io non so. Se sanguinasse, uscirebbe dell’anti-ghiaccio o una cosa del genere». Aggiungiamo noi: TOLD YA.
Le due partite a Memphis hanno regalato alla NBA il ritorno in grande stile dei Big Three dei Grizzlies: Zach Randolph è rientrato in quintetto in gara-3 e ha riportato indietro le lancette dell’orologio manco fosse il 2011, prendendo a culate e spallate la frontline degli Spurs come ai vecchi tempi; Marc Gasol nel primo quarto di gara-1 ha giocato da miglior Gasol della famiglia e in gara-4 ha mandato a segno il canestro della vittoria, rispolverando gli alto-basso con “Zibo” che li hanno resi una coppia di culto per i decenni a venire; Mike Conley è stato semplicemente immenso, chiudendo gara-4 con 35 punti, 9 rimbalzi e 8 assist e canestri in the clutch nonostante la marcatura dell’automa con il numero 2.
Soprattutto, nonostante gli enormi limiti, il supporting cast di Memphis (da Ennis a Selden, da Harrison a Green, da Daniels fino al vecchio Vince Carter) sta dando tutto ciò che ha, opponendosi a un gruppo nettamente più talentuoso ma in qualche modo reso balbettante al di là della grandezza di Leonard. In gara-5 la panchina guidata dai 20 di Patty Mills e i 10 di un redivivo Ginobili (quattro volte a secco e 0/15 al tiro per aprire la serie) hanno rimesso le cose a posto in una partita che San Antonio non poteva perdere. Ma in vista delle prossime serie, dato che comunque passeranno gli Spurs, viene da chiedersi: è tutto qui il supporting cast di Kawhi?
Houston Rockets – Oklahoma City Thunder
Risultato finale: 4-1
Visto che siamo in tema di supporting cast, è paradossale che la serie che proponeva il “marquee matchup” di questo primo turno – quello tra James Harden e Russell Westbrook – sia stato deciso proprio da tutti gli altri. Gara-4 tra Houston e OKC da questo punto di vista è stata emblematica: in una serata in cui Harden ha litigato con pallone e canestro (5/16 dal campo, 0/7 da tre, 7 palle perse), i suoi compagni sono stati in grado di produrre una fondamentale vittoria in trasferta, in particolare con il trio dalla panchina Lou Williams-Eric Gordon-Nene. E se i primi due erano attesi a livelli del genere – visto che sono la miglior coppia di esterni immaginabili dalla panchina per il sistema di D’Antoni, nonché i due migliori realizzatori tra le riserve dell’intera NBA -, il terzo è stato il vero giocatore in grado di far saltare il banco, realizzando un 12/12 per 28 punti che ha un solo precedente nella storia dei playoff (risalente al 1975). Allo stesso modo, anche in gara-5 i Rockets sono riusciti a spuntarla di nuovo nonostante un 8/25 al tiro di Harden e un terrificante 6/37 dall’arco di squadra: due segnali estremamente incoraggianti per coach D’Antoni.
Al contrario, i compagni di Russell Westbrook sono stati inevitabilmente oggetto di discussioni infinite tanto quanto il loro leader: nelle cinque gare della serie, il differenziale su 100 possessi tra quando lui è stato in campo (+4.9 in 194 minuti) e quando si è riposato (-51.3 in 46 minuti!) è profonda quanto la Fossa delle Marianne – o, come suggerisce ESPN Stats&Info, è peggio di quanto fatto dalla Tune Squad contro i Monstars nel primo tempo di Space Jam. Molto semplicemente, i Thunder sono una squadra da altissima Lottery senza il loro leader, perché così erano stati costruiti avendo in mente di poter contare anche su Kevin Durant (sigh) e anche perché in questa serie si è giocato a un ritmo talmente elevato e col campo talmente aperto da rendere la presenza di Enes Kanter (fulcro della second unit di OKC) totalmente ingiocabile.
E dire che, tolto il massacro di gara-1, il quintetto dei Thunder se l’è giocata più che egregiamente contro quello degli avversari (+21.2 di Net Rating), venendo però a mancare tanto nei minuti senza Westbrook quanto nei sanguinosissimi ultimi quarti. Gara-2, da questo punto di vista, è stata emblematica: Thunder avanti anche in doppia cifra per quasi tutti i primi tre quarti imponendo la superiore stazza fisico-atletica; parziale di 9-0 immediato non appena Westbrook si siede; rientro in fretta e furia del leader e serbatoio della benzina del numero 0 che si svuota fin troppo presto, portandolo a scelte sbagliate (il famoso 4/18 al tiro nell’ultimo quarto in cui ha cercato fin troppe volte di procurarsi falli invece di chiudere le azioni) che inevitabilmente hanno portato al solito ginepraio di discussioni attorno al numero 0 – su cui ormai è impossibile avere un’opinione giusta semplicemente perché una giusta non c’è.
Un piccolo appunto su una deriva tecnica che mai come in questa serie sta dilagando: si è sempre pensato che procurarsi tanti viaggi in lunetta derivasse dall’attaccare costantemente il ferro, ma ormai è sempre più comune che i tiratori – specialmente quelli dei Rockets che possono vantare su due autentici maestri della materia come Harden e Williams, che ovviamente e giustamente fanno i loro interessi – riescono a lucrare preziosissimi viaggi in lunetta anche tirando tantissimo da dietro l’arco. Spesso però lo fanno rendendo impossibile la difesa agli avversari, ad esempio arrestandosi all’improvviso non appena girato l’angolo sul pick and roll e provocando il contatto col difensore che prova a passare sopra il blocco, oppure cercando le braccia protese del difensore che prova a mettere la classica “mano in faccia”. Gli arbitri continuano a fischiare questo tipo di falli anche quando i contatti sono minimi o totalmente involontari da parte della difesa, rendendo di fatto semi-impossibile difendere contro di loro: siamo sicuri che sia la direzione giusta?
L.A. Clippers – Utah Jazz
Situazione attuale: 2-3
Mai come in questa serie l’asse dell’inerzia si è spostato da una parte o dall’altra in maniera improvvisa e imprevedibile. Che tra Jazz e Clippers le cose fossero in sostanziale equilibrio era già stato ampiamente discusso in sede di preview, ma l’immediato infortunio di Rudy Gobert dopo 11 secondi di gara-1 ha dato immediatamente un vantaggio ai Clippers. I quali, being the Clippers, ne hanno raccolto i frutti solamente in gara-2 e 3, lasciando invece per strada una gara-1 decisa dal buzzer beater di Joe Johnson.
Poi la serie è cambiata di nuovo nelle gare dello Utah, perché Blake Griffin – ovviamente – si è procurato un infortunio all’alluce che lo terrà fuori per il resto della serie e in gara-4 Rudy Gobert è resuscitato, cambiando di nuovo i rapporti di forza all’interno del pitturato (58 punti a 36 in favore dei Jazz dopo che in gara-2 e 3 era finita con un +42 Clippers complessivo). Blake Griffin era il fattore X della serie, dato che con la sua presenza in campo rendeva difficilissimi gli accoppiamenti per i Jazz, costretti a impiegare i pur ottimi Joe Johnson o Joe Ingles su di lui per fronteggiarlo ma senza poter reggere il suo dinamismo in post. Ora i Clippers, che hanno ritrovato Austin Rivers solo in gara-5, sono costretti o ad andare piccolissimi con Mbah A Moute da “4”, oppure a ricorrere a scelte tutt’altro che ottimali come schierare Paul Pierce o Wesley Johnson: decisamente un brutto scenario da qualunque parte la si guardi, e subito sfruttato da coach Quin Snyder che sta allenando alla grande nella serie.
In tutto questo, a Doc Rivers rimane un solo appiglio a cui aggrapparsi, e ovviamente si chiama Chris Paul. Il playmaker di L.A. ha attivato la modalità “POINT GOD” e ha spiegato pallacanestro nei finali delle partite, rimanendo poi fin troppo solo in gara-4 e 5 per pensare di vincere la serie da solo. Ai Clippers, prima di gara-5, rimanevano sostanzialmente due vantaggi: quello di avere “CP3” e quello di poter giocare due partite su tre tra le mura amiche dello Staples Center. Ora che hanno perso il secondo, rimane solo Paul a cui aggrapparsi per non salutare la post-season per l’ennesima volta al primo turno. Ma dopo quello che si è visto in gara-5, con Joe Johnson a dominare ancora una volta nel finale e con i Jazz in grado di trovare canestri cruciali da Hayward e Hood, Doc Rivers e soci possono già iniziare a fare i conti con un’estate decisamente complicata.